ROSA FARAGI, Morte di un garibaldino scomodo

Giovanni Corrao
Il tre agosto del 1863, vicino ai mulini di Brancaccio, a circa quattro km dalla città di Palermo, Giovanni Corrao, mentre con il suo calesse si dirigeva verso la località di San Ciro, viene colpito alle spalle e al collo da colpi sparati da due sicari travestiti da carabinieri e muore sul colpo. Perché è importante questa data? E chi era la vittima?

Lo storico Giuseppe Carlo Marino, nel suo libro “Storia della mafia”, considera l’omicidio Corrao come il primo omicidio di mafia. Infatti, prima di allora, in nessun documento ufficiale si era parlato di mafia. Qualche altro storico afferma invece che si tratta del primo omicidio “eccellente” della nuova Nazione italiana. Analizziamo meglio la figura della vittima.
Corrao era un fervente e convinto mazziniano che partecipò attivamente alla “Impresa garibaldina”. Insieme a Rosolino Pilo fu inviato in Sicilia per preparare il terreno alla spedizione. Dopo lo sbarco a Marsala, fece confluire centinaia di picciotti nelle truppe garibaldine. Nonostante fosse un semplice operaio, Garibaldi, per il suo contributo al successo dell’Impresa, lo nominò generale.
Dopo l’Unità d’Italia, Corrao manifestò apertamente il suo dissenso alla politica annessionistica dei piemontesi. Si congedò dunque dall’esercito e incominciò a fare politica contro il governo sabaudo, ritenendolo responsabile delle mancate promesse verso il popolo siciliano e, in particolar modo, verso i contadini meridionali. Fu uno dei primi ad aver capito che “Era cambiato tutto, affinché restasse tutto uguale”. Insieme ad altri patrioti, si dissociò dalla sinistra ufficiale, assumendo posizioni sempre più critiche. A causa di ciò, su Corrao cominciarono a circolare una serie di voci; veniva accusato di essere colluso con la mafia e di essere stato responsabile della morte dell’amico Rosolino Pilo, etc. Tali diffamazioni avevano lo scopo ben preciso di metterlo in cattiva luce di fronte all’opinione pubblica e di isolarlo rendendolo vulnerabile. Dopo la sua uccisione, l’inchiesta condotta dai carabinieri non portò ad alcuna conclusione, per cui mandanti e sicari rimasero sconosciuti alla giustizia.
Che Corrao fosse scomodo anche da morto, soprattutto alle autorità di allora, lo dimostra il fatto che il corpo fu seppellito, in fretta e in furia, nelle Catacombe dei Cappuccini di Palermo, insieme alle altre mummie, muti testimoni del passare del tempo. Solo nel 1960, un nipote del patriota riuscì a scovare il suo corpo mummificato e a darle finalmente una degna sepoltura. Attualmente, il corpo del Corrao, riposa nel chiostro di San Domenico. Non fu possibile tumularlo dentro la chiesa, come tanti altri patrioti, perché le autorità ecclesiastiche vi si opposero.
Anche dopo cento anni, evidentemente, la sua figura di uomo libero, continuava a creare imbarazzo. Ci è sembrato giusto ricordare questo garibaldino scomodo, la cui ansia di libertà e di giustizia fu presto stroncata dall’arroganza e dalla violenza del potere.

Rosa Faragi

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