Intervento alla presentazione del libro Il mondo eterno di Domenico Turco (Canicattì, Palazzo Stella, 9 Marzo 2007)
Premessa
Questa breve biografia del poeta-filosofo Domenico Turco, elaborata lungo il filo degli interventi critici alle sue raccolte di poesia, tende a individuare in esse quei concetti che saranno sviluppati in una prospettiva nuova nell’ultima opera “Il mondo eterno”.
Sono i seguenti concetti chiave presenti nelle pagine di Corrado Di Pietro, Vittoriano Esposito, Marilla Battilana, Ghanshyam Singh, Diego Guadagnino e Pasquale Di Stasio: metafisica, ermeneutica, esoterismo, tempo, conoscenza, storia, salvezza, cristianesimo.
Se ne deduce che l’ultima opera “Il mondo eterno” non è il prodotto di estemporanee e frettolose costruzioni filosofiche, ma il frutto di tre lustri di profonde meditazioni e di intensi studi.
Domenico Turco è nato a Canicattì (Agrigento) il 9 agosto 1976. All’età di otto anni si ammala di distrofia muscolare. A undici anni comincia a scrivere i primi versi. Una straordinaria armonia familiare e la grande sensibilità dei genitori gli consentono di proseguire gli studi e di poter pubblicare la sua prima opera poetica.
Ermeneutica dei testi poetici
Il percorso intellettuale di Domenico Turco inizia nel 1994, quando pubblica con la Venilia Editrice, la raccolta di poesie “Sottovoce”, presentata dal critico Corrado Di Pietro il quale, osando un parallelismo fra Rimbaud e il giovane Turco, scrive di una «“maledizione” metafisica» riferita alle passioni e sensazioni che pervadono i testi dei due poeti. Nell’opera sono presenti dei «riferimenti alla morte» che però, precisa l’autore, «non derivano da una concezione pessimistica della realtà, ma scaturiscono da una continua divagazione sul tema del tempo». (E sul tema del tempo Domenico ritornerà nel suo primo saggio filosofico affrontando «la concezione ciclica del tempo peculiare del pensiero delle origini»; un tema affrontato, ricordiamo, dal grande storico delle religioni Mircea Eliade ne “Il mito dell’eterno ritorno”). A muovere i «pensieri» del poeta c’è «una preoccupazione prevalentemente filosofica» scrive Di Pietro. Lo sviluppo del suo pensiero e della sua poetica confermerà, come vedremo, l’intuizione del critico.
Nel 1995 Lucio Regazzo include la poesia “Morale” di Domenico nel suo lavoro “Adulti che tacciono”, pubblicato sul “Journal of the society for Existential Analysis”. Inoltre, nello stesso anno, alcune sue poesie sono tradotte in sloveno dalla scrittrice Jolka Milic e pubblicate sulla rivista culturale “Vitrum” di Lubiana.
Nella seconda raccolta di poesie, “Numi del sortilegio non mi dite”, pubblicata dalla Venilia Editrice nel 1996, il critico Vitaliano Esposito evidenzia la corrispondenza di pensiero fra Turco ed Eliot che risiede nei comuni «interessi metafisici». Tema dominante della raccolta è ancora il «Tempo». Egli avverte nel profondo dell’anima del poeta «una tensione d’ordine metafisico». «La minaccia del “Nulla eterno”, di foscoliana memoria» aggiunge, «lo accompagna come un’insidia segreta, ma non lo abbandona l’ansia di un possibile riscatto». (Riscatto che profeticamente avverrà con la imponente costruzione di un Mondo Eterno: «Abbiamo perso di vista il cielo per dominare meglio la terra, - dirà nel saggio che qui stiamo presentando - ma alla fine in molti sembrano essersi stancati anche di questo dominio, preferendo rifugiarsi nell’ultimo mito alla moda, quel nichilismo integrale quale religione del Nulla eterno che non è mai stato così in auge come adesso»). Il critico conclude la sua presentazione dicendo che Turco è «un poeta vero, un poeta di razza, destinato a far parlare di sé in futuro».
Nel 1999 Domenico si laurea in Filosofia, con lode, all’Università di Palermo discutendo la tesi “L’ermeneutica e la questione del testo filosofico”, un tema questo ripreso in “Il mondo eterno”. In essa tiene a precisare di essere «da sempre in disaccordo con chi intende separare in compartimenti stagni filosofia e letteratura, anzi convintissimo della necessità di un dialogo tra queste due esperienze fondamentali della realtà umana». (Domenico svilupperà questa tematica filosofica inserendo la cosiddetta «rivoluzione ermeneutica» «“sulla rotta” della Tradizione», cioè teorizzando la sua rivoluzione spirituale).
La grandezza del poeta è riconosciuta da due autorevoli personalità della cultura europea, Marilla Battilana, poetessa e americanista, e Ghanshyam Singh, in quel grande poema che è “I limiti e l’immenso”, pubblicato dalla Era Nova – Bancheri Editrice nel 2000.
La Battilana individua nell’opera «squarci di una filosofia che a volte sconfina in intuizioni metafisiche, esoteriche». L’americanista mette in rilievo l’«analisi insieme lirica e visionaria» di “Voci dal deserto”, titolo della quarta parte dell’opera, «imperniata su due dottrine soteriologiche: il culto orfico-pitagorico e la religione cristiana». Il tema centrale della parte è «l’esigenza di salvezza universale, scontata a priori la credenza nell’immortalità dell’anima».
Anche questi temi verranno ripresi in una prospettiva nuova nel saggio filosofico. Qui il filosofo canicattinese prende le distanze da una spiritualità esoterica elitaria «rivolta a pochi adepti e non a tutti» per prospettare una spiritualità «per tutti e non per circuiti o gruppi alquanto ristretti». Aperto a tutti è il Cristianesimo essoterico, «la Chiesa di Pietro», il cui principio dell’amore universale è rivolto «alla comunità dei fedeli». Esiste anche un Cristianesimo esoterico, «la Chiesa dell’evangelista Giovanni», «trasmesso a coloro che realizzano nella loro vita interiore il messaggio evangelico». La tradizionalità del Cristianesimo, conclude l’autore, è «parte viva, integrante e fondamentale del Mondo della Tradizione).
Ritornando a “I limiti e l’immenso”, nella postfazione dell’opera Singh riconosce al canicattinese intelligenza poetica e critica, e scorge nella sua opera «un pensiero fatto poesia» o «una poesia fatta pensiero»; gli riconosce anche, nonostante gli echi di Ezra Pound ed Thomas Eliot, un’«incontestabile individualità» poetica.
Nel 2001 i versi del poeta di Canicattì vengono inseriti nell’antologia Poeti dal mondo per Giacomo Leopardi pubblicata dal prestigioso Centro Nazionale di Studi Leopardiani in occasione del bicentenario della nascita del poeta di Recanati.
Nel 2003 pubblica “Acque lustrali”, «un titolo dal vago sapore iniziatico» scrive nella prefazione Diego Guadagnino, che definisce a ragione Domenico un «genio poetico e filosofico» e mette in rilievo da un lato «la sua fertile e congeniale vocazione metafisica», dall’altro «un interesse, quello per la storia, che […] non solo non contraddice la sua più fertile e congeniale vocazione metafisica ma […] sembra addirittura che in essa trovi forza e ragione». (Il rapporto storia-metafisica è, come metteremo in evidenza, un altro dei temi cruciali della originale filosofia di Turco). Sempre in quest’opera, Pasquale Di Stasio posa l’attenzione sulla poesia “Di là dai simulacri” che tratta «il tema altissimo della necessità per l’uomo di superare le apparenze della realtà per approdare alla vera conoscenza». (Anche quest’ultimo tema sarà presente e decisivo nella speculazione turchiana).
Metafisica della storia
Forte di questo retroterra filosofico, alla fine del 2006 Domenico Turco pubblica con la Elvetica Edizioni il suo primo e robusto saggio filosofico, “Il mondo eterno”.
In esso l’autore delinea una originale metafisica «rivoluzionaria» - solo in apparenza «reazionaria», tiene a precisare l’autore - in un dialogo serrato con il pensiero di due illustri maestri del tradizionalismo novecentesco, Renè Guènon e Julius Evola, e con le filosofie esistenzialista, nichilista ed ermeneutica. Essa si basa su una «Verità perenne», cioè su una «Verità una e sola» e sulle sue «leggi eterne».
Egli propugna un ritorno ai valori della Tradizione nella prospettiva di «un’evoluzione reale dell’umanità». Il fine è uscire dal Kali-yuga, «metafora dell’oscurarsi della luce divina nell’anima del mondo attuale», per entrare nel Satya-yuga, la nuova età dell’oro che porterà alla fine della «religione del Dio Denaro» e quindi alla «liberazione dell’uomo».
Si delinea in questo saggio una «concezione mitica e metafisica della storia»; una storia intesa come «Scienza dello Spirito». In questa fase della storia Turco individua «un conflitto tra due modelli esistenziali alternativi»: quello presente - influenzato dal «neopositivismo scientista», dal «pensiero debole», dal «nichilismo», dalla «new age» e da tanti altri «falsi miti del soggettivismo postmoderno» - e quello ispirato ai valori della Tradizione. Quest’ultimo modello non implica «anacronistici ritorni indietro», una «marcia indietro sull’autostrada della storia per tornare [..] a un nuovo medioevo». «Lungo la traiettoria ascendente della storia», prefigura con ottimismo il filosofo, «l’uomo tornerà a se stesso e alla sua spiritualità, in un momento successivo all’attuale crisi nichilistica, che pur sembrando inarrestabile, dovrà un giorno tramontare ed essere superata». Ci sembra che con la fine di quel conflitto il filosofo adombri anche una fine della storia - per me remota - e l’ingresso in un mondo eterno privo di conflitti.
La metafisica di Turco sembra inoltre assumere sfumature messianiche: «siamo in attesa di una trasformazione totale» dice, un’attesa fiduciosa nell’avvento di mutamenti risolutivi, un’attesa dell’«l’alba eterna dei nuovi cieli e della nuova terra».
La prospettiva del filosofo – l’«ultima utopia» – è quella di un nuovo umanesimo fondato sul socratico «conosci te stesso»: affinché questo cambiamento epocale possa realizzarsi, precisa il nostro filosofo, è necessario «un percorso di cambiamento dentro di noi», l’«autorealizzazione dell’io», l’«autorealizzazione esistenziale». Questo percorso di cambiamento individuale deve basarsi su una profonda spiritualità.
Ma purtroppo, precisa il Nostro, «molti confondono l’esperienza spirituale con l’atteggiamento devozionistico come modalità inautentica di vivere la fede»:
«Il devozionismo è una forma di idolatria derivante da una degenerazione parossistica della devozione, della pietas religiosa. Ma un culto puramente esteriore vale zero, se non è accompagnato da una profonda spiritualità interiore e intimamente vissuta, scadendo spessissimo in routine, monotona sequela di osservanze fini a se stesse, che a lungo andare fanno smarrire rovinosamente il significato autentico dell’esperienza di fede.
La spiritualità deve essere alimentata dalla salda volontà di percorrere un cammino spirituale radicato su una genuina presa di coscienza esistenziale e morale».
È accaduto però - è doveroso e opportuno ricordarlo nella nostra Canicattì - che chi ha combattuto, con le armi della cultura, della spiritualità, della fede genuina, contro il «materialismo religioso», contro le «devozioni materiali», è stato inquisito e messo in pensione dalle alte gerarchie della Chiesa cattolica. Ci riferiamo al canicattinese monsignor Angelo Ficarra, vescovo di Patti, declassato ad arcivescovo di Leontopoli di Augustamnica perché, scrisse Leonardo Sciascia, in partibus infidelium, o, come ritengo in partibus fidelium, e non dei politici. Il devozionismo se non è accompagnato «da un profondo sentimento di pietà interiore» è deleterio, scrisse monsignor Ficarra: «Molti cristiani perdono di vista ogni pura idealità e danno un’impronta utilitaria anche a tutte le pratiche religiose. Dinanzi a tutte queste miserie, l’anima rievoca mestamente le parole di Gesù alla donna di Samaria: “Iddio è spirito, e bisogna adorarlo in spirito e verità”». (A. Ficarra, Le devozioni materiali, 1990, p. 64).
La metafisica di Turco si pone «al di fuori delle diverse ideologie» e va al di là dei concetti, superati, di destra e sinistra, di socialismo e liberalismo; e, inoltre, ritiene di non essere «incompatibile con l’attuale era postmoderna» «tecnologicamente avanzata».
Dopo la crisi delle terribili ideologie del Novecento e nella nuova era di una globalizzazione che ci si augura tollerante e, volendo usare un’espressione di Domenico, «libera dalle pastoie dell’integralismo, del dogmatismo, del confessionalismo», dovremmo meditare di più sui risvolti che potrebbe avere una nuova visione del mondo fondata su una «Verità» assoluta, fuori dalla quale evidentemente non può esserci spazio per verità altre, o, per quanto mi riguarda, per una ricerca della verità che presumo infinita.
Con questo invito, termino il mio intervento esprimendo gratitudine a Domenico per i versi profondi che ci ha regalato nei suoi primi quattro lavori e per quest’ultimo saggio che, al di là della condivisibilità o meno, è stato un grande stimolo alla riflessione e al confronto libero delle idee.
Grazie ancora Domenico.
Salvatore Vaiana
Premessa
Questa breve biografia del poeta-filosofo Domenico Turco, elaborata lungo il filo degli interventi critici alle sue raccolte di poesia, tende a individuare in esse quei concetti che saranno sviluppati in una prospettiva nuova nell’ultima opera “Il mondo eterno”.
Sono i seguenti concetti chiave presenti nelle pagine di Corrado Di Pietro, Vittoriano Esposito, Marilla Battilana, Ghanshyam Singh, Diego Guadagnino e Pasquale Di Stasio: metafisica, ermeneutica, esoterismo, tempo, conoscenza, storia, salvezza, cristianesimo.
Se ne deduce che l’ultima opera “Il mondo eterno” non è il prodotto di estemporanee e frettolose costruzioni filosofiche, ma il frutto di tre lustri di profonde meditazioni e di intensi studi.
Domenico Turco è nato a Canicattì (Agrigento) il 9 agosto 1976. All’età di otto anni si ammala di distrofia muscolare. A undici anni comincia a scrivere i primi versi. Una straordinaria armonia familiare e la grande sensibilità dei genitori gli consentono di proseguire gli studi e di poter pubblicare la sua prima opera poetica.
Ermeneutica dei testi poetici
Il percorso intellettuale di Domenico Turco inizia nel 1994, quando pubblica con la Venilia Editrice, la raccolta di poesie “Sottovoce”, presentata dal critico Corrado Di Pietro il quale, osando un parallelismo fra Rimbaud e il giovane Turco, scrive di una «“maledizione” metafisica» riferita alle passioni e sensazioni che pervadono i testi dei due poeti. Nell’opera sono presenti dei «riferimenti alla morte» che però, precisa l’autore, «non derivano da una concezione pessimistica della realtà, ma scaturiscono da una continua divagazione sul tema del tempo». (E sul tema del tempo Domenico ritornerà nel suo primo saggio filosofico affrontando «la concezione ciclica del tempo peculiare del pensiero delle origini»; un tema affrontato, ricordiamo, dal grande storico delle religioni Mircea Eliade ne “Il mito dell’eterno ritorno”). A muovere i «pensieri» del poeta c’è «una preoccupazione prevalentemente filosofica» scrive Di Pietro. Lo sviluppo del suo pensiero e della sua poetica confermerà, come vedremo, l’intuizione del critico.
Nel 1995 Lucio Regazzo include la poesia “Morale” di Domenico nel suo lavoro “Adulti che tacciono”, pubblicato sul “Journal of the society for Existential Analysis”. Inoltre, nello stesso anno, alcune sue poesie sono tradotte in sloveno dalla scrittrice Jolka Milic e pubblicate sulla rivista culturale “Vitrum” di Lubiana.
Nella seconda raccolta di poesie, “Numi del sortilegio non mi dite”, pubblicata dalla Venilia Editrice nel 1996, il critico Vitaliano Esposito evidenzia la corrispondenza di pensiero fra Turco ed Eliot che risiede nei comuni «interessi metafisici». Tema dominante della raccolta è ancora il «Tempo». Egli avverte nel profondo dell’anima del poeta «una tensione d’ordine metafisico». «La minaccia del “Nulla eterno”, di foscoliana memoria» aggiunge, «lo accompagna come un’insidia segreta, ma non lo abbandona l’ansia di un possibile riscatto». (Riscatto che profeticamente avverrà con la imponente costruzione di un Mondo Eterno: «Abbiamo perso di vista il cielo per dominare meglio la terra, - dirà nel saggio che qui stiamo presentando - ma alla fine in molti sembrano essersi stancati anche di questo dominio, preferendo rifugiarsi nell’ultimo mito alla moda, quel nichilismo integrale quale religione del Nulla eterno che non è mai stato così in auge come adesso»). Il critico conclude la sua presentazione dicendo che Turco è «un poeta vero, un poeta di razza, destinato a far parlare di sé in futuro».
Nel 1999 Domenico si laurea in Filosofia, con lode, all’Università di Palermo discutendo la tesi “L’ermeneutica e la questione del testo filosofico”, un tema questo ripreso in “Il mondo eterno”. In essa tiene a precisare di essere «da sempre in disaccordo con chi intende separare in compartimenti stagni filosofia e letteratura, anzi convintissimo della necessità di un dialogo tra queste due esperienze fondamentali della realtà umana». (Domenico svilupperà questa tematica filosofica inserendo la cosiddetta «rivoluzione ermeneutica» «“sulla rotta” della Tradizione», cioè teorizzando la sua rivoluzione spirituale).
La grandezza del poeta è riconosciuta da due autorevoli personalità della cultura europea, Marilla Battilana, poetessa e americanista, e Ghanshyam Singh, in quel grande poema che è “I limiti e l’immenso”, pubblicato dalla Era Nova – Bancheri Editrice nel 2000.
La Battilana individua nell’opera «squarci di una filosofia che a volte sconfina in intuizioni metafisiche, esoteriche». L’americanista mette in rilievo l’«analisi insieme lirica e visionaria» di “Voci dal deserto”, titolo della quarta parte dell’opera, «imperniata su due dottrine soteriologiche: il culto orfico-pitagorico e la religione cristiana». Il tema centrale della parte è «l’esigenza di salvezza universale, scontata a priori la credenza nell’immortalità dell’anima».
Anche questi temi verranno ripresi in una prospettiva nuova nel saggio filosofico. Qui il filosofo canicattinese prende le distanze da una spiritualità esoterica elitaria «rivolta a pochi adepti e non a tutti» per prospettare una spiritualità «per tutti e non per circuiti o gruppi alquanto ristretti». Aperto a tutti è il Cristianesimo essoterico, «la Chiesa di Pietro», il cui principio dell’amore universale è rivolto «alla comunità dei fedeli». Esiste anche un Cristianesimo esoterico, «la Chiesa dell’evangelista Giovanni», «trasmesso a coloro che realizzano nella loro vita interiore il messaggio evangelico». La tradizionalità del Cristianesimo, conclude l’autore, è «parte viva, integrante e fondamentale del Mondo della Tradizione).
Ritornando a “I limiti e l’immenso”, nella postfazione dell’opera Singh riconosce al canicattinese intelligenza poetica e critica, e scorge nella sua opera «un pensiero fatto poesia» o «una poesia fatta pensiero»; gli riconosce anche, nonostante gli echi di Ezra Pound ed Thomas Eliot, un’«incontestabile individualità» poetica.
Nel 2001 i versi del poeta di Canicattì vengono inseriti nell’antologia Poeti dal mondo per Giacomo Leopardi pubblicata dal prestigioso Centro Nazionale di Studi Leopardiani in occasione del bicentenario della nascita del poeta di Recanati.
Nel 2003 pubblica “Acque lustrali”, «un titolo dal vago sapore iniziatico» scrive nella prefazione Diego Guadagnino, che definisce a ragione Domenico un «genio poetico e filosofico» e mette in rilievo da un lato «la sua fertile e congeniale vocazione metafisica», dall’altro «un interesse, quello per la storia, che […] non solo non contraddice la sua più fertile e congeniale vocazione metafisica ma […] sembra addirittura che in essa trovi forza e ragione». (Il rapporto storia-metafisica è, come metteremo in evidenza, un altro dei temi cruciali della originale filosofia di Turco). Sempre in quest’opera, Pasquale Di Stasio posa l’attenzione sulla poesia “Di là dai simulacri” che tratta «il tema altissimo della necessità per l’uomo di superare le apparenze della realtà per approdare alla vera conoscenza». (Anche quest’ultimo tema sarà presente e decisivo nella speculazione turchiana).
Metafisica della storia
Forte di questo retroterra filosofico, alla fine del 2006 Domenico Turco pubblica con la Elvetica Edizioni il suo primo e robusto saggio filosofico, “Il mondo eterno”.
In esso l’autore delinea una originale metafisica «rivoluzionaria» - solo in apparenza «reazionaria», tiene a precisare l’autore - in un dialogo serrato con il pensiero di due illustri maestri del tradizionalismo novecentesco, Renè Guènon e Julius Evola, e con le filosofie esistenzialista, nichilista ed ermeneutica. Essa si basa su una «Verità perenne», cioè su una «Verità una e sola» e sulle sue «leggi eterne».
Egli propugna un ritorno ai valori della Tradizione nella prospettiva di «un’evoluzione reale dell’umanità». Il fine è uscire dal Kali-yuga, «metafora dell’oscurarsi della luce divina nell’anima del mondo attuale», per entrare nel Satya-yuga, la nuova età dell’oro che porterà alla fine della «religione del Dio Denaro» e quindi alla «liberazione dell’uomo».
Si delinea in questo saggio una «concezione mitica e metafisica della storia»; una storia intesa come «Scienza dello Spirito». In questa fase della storia Turco individua «un conflitto tra due modelli esistenziali alternativi»: quello presente - influenzato dal «neopositivismo scientista», dal «pensiero debole», dal «nichilismo», dalla «new age» e da tanti altri «falsi miti del soggettivismo postmoderno» - e quello ispirato ai valori della Tradizione. Quest’ultimo modello non implica «anacronistici ritorni indietro», una «marcia indietro sull’autostrada della storia per tornare [..] a un nuovo medioevo». «Lungo la traiettoria ascendente della storia», prefigura con ottimismo il filosofo, «l’uomo tornerà a se stesso e alla sua spiritualità, in un momento successivo all’attuale crisi nichilistica, che pur sembrando inarrestabile, dovrà un giorno tramontare ed essere superata». Ci sembra che con la fine di quel conflitto il filosofo adombri anche una fine della storia - per me remota - e l’ingresso in un mondo eterno privo di conflitti.
La metafisica di Turco sembra inoltre assumere sfumature messianiche: «siamo in attesa di una trasformazione totale» dice, un’attesa fiduciosa nell’avvento di mutamenti risolutivi, un’attesa dell’«l’alba eterna dei nuovi cieli e della nuova terra».
La prospettiva del filosofo – l’«ultima utopia» – è quella di un nuovo umanesimo fondato sul socratico «conosci te stesso»: affinché questo cambiamento epocale possa realizzarsi, precisa il nostro filosofo, è necessario «un percorso di cambiamento dentro di noi», l’«autorealizzazione dell’io», l’«autorealizzazione esistenziale». Questo percorso di cambiamento individuale deve basarsi su una profonda spiritualità.
Ma purtroppo, precisa il Nostro, «molti confondono l’esperienza spirituale con l’atteggiamento devozionistico come modalità inautentica di vivere la fede»:
«Il devozionismo è una forma di idolatria derivante da una degenerazione parossistica della devozione, della pietas religiosa. Ma un culto puramente esteriore vale zero, se non è accompagnato da una profonda spiritualità interiore e intimamente vissuta, scadendo spessissimo in routine, monotona sequela di osservanze fini a se stesse, che a lungo andare fanno smarrire rovinosamente il significato autentico dell’esperienza di fede.
La spiritualità deve essere alimentata dalla salda volontà di percorrere un cammino spirituale radicato su una genuina presa di coscienza esistenziale e morale».
È accaduto però - è doveroso e opportuno ricordarlo nella nostra Canicattì - che chi ha combattuto, con le armi della cultura, della spiritualità, della fede genuina, contro il «materialismo religioso», contro le «devozioni materiali», è stato inquisito e messo in pensione dalle alte gerarchie della Chiesa cattolica. Ci riferiamo al canicattinese monsignor Angelo Ficarra, vescovo di Patti, declassato ad arcivescovo di Leontopoli di Augustamnica perché, scrisse Leonardo Sciascia, in partibus infidelium, o, come ritengo in partibus fidelium, e non dei politici. Il devozionismo se non è accompagnato «da un profondo sentimento di pietà interiore» è deleterio, scrisse monsignor Ficarra: «Molti cristiani perdono di vista ogni pura idealità e danno un’impronta utilitaria anche a tutte le pratiche religiose. Dinanzi a tutte queste miserie, l’anima rievoca mestamente le parole di Gesù alla donna di Samaria: “Iddio è spirito, e bisogna adorarlo in spirito e verità”». (A. Ficarra, Le devozioni materiali, 1990, p. 64).
La metafisica di Turco si pone «al di fuori delle diverse ideologie» e va al di là dei concetti, superati, di destra e sinistra, di socialismo e liberalismo; e, inoltre, ritiene di non essere «incompatibile con l’attuale era postmoderna» «tecnologicamente avanzata».
Dopo la crisi delle terribili ideologie del Novecento e nella nuova era di una globalizzazione che ci si augura tollerante e, volendo usare un’espressione di Domenico, «libera dalle pastoie dell’integralismo, del dogmatismo, del confessionalismo», dovremmo meditare di più sui risvolti che potrebbe avere una nuova visione del mondo fondata su una «Verità» assoluta, fuori dalla quale evidentemente non può esserci spazio per verità altre, o, per quanto mi riguarda, per una ricerca della verità che presumo infinita.
Con questo invito, termino il mio intervento esprimendo gratitudine a Domenico per i versi profondi che ci ha regalato nei suoi primi quattro lavori e per quest’ultimo saggio che, al di là della condivisibilità o meno, è stato un grande stimolo alla riflessione e al confronto libero delle idee.
Grazie ancora Domenico.
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