Quando, tre o quattro mesi fa, il prof. Angelo Ficarra mi fece conoscere la poesia di Diego Guadagnino, pensai subito a Miguel Hernandez.
Miguel Hernandez è un poeta spagnolo appartenete a quella grande costellazione di poesia che nobilitò la Spagna repubblicana negli anni trenta . Una costellazione di poeti alla quale appartenevano Federico Garcia Lorca, Rafael Alberti, Vicente Aleixandre e molti altri. Furono tutti uccisi, incarcerati o condannati all'esilio dai generali golpisti.
Miguel Hernandez, nato nel 1910, morì in carcere nel 1942.
Il paragone tra Diego Guadagnino e Miguel Hernandez mi fu istintivamente suggerito dalla metrica che tutti i due sanno usare con maestria e con garbo. L'uno e l'altro dominano perfettamente l'Arte Poetica e da essa si servono per offrirci pensieri e passioni. Miguel Hernandez autodidatta cominciò da adolescente a scrivere versi concepiti secondo le regole di una metrica rigorosa e leggera come le piume di una rondine. Il metro si armonizzava già allora con la densa sostanza poetica del suo cuore. Prima di cominciare a scrivere versi aveva mangiato avidamente, e digerito, tutti i più grandi poeti del secolo d'oro spagnolo: Garcilaso de la Vega, Fray Luis de Leon, Lope de Vega, Luis de Gongora… La loro musicalità aveva impregnato la musica che scorreva torrenzialmente nelle sue arterie.
Immaginai subito Diego Guadagnino come un grande e sapiente mangiatore di poeti classici.
Poi, durante la lettura di “Trasmutazione”, il paragone continuò al di là e al di sopra della metrica.
Il vero poeta (quello che scrive versi o quello che dipinge quadri o scolpisce il marmo) è, come dio, un creatore di mondi. Crea il mondo dell’ estetica. La realtà estetica è infinitamente superiore alla realtà quotidiana. La realtà quotidiana, di solito, è multitudinaria, spesso volgarotta e plebea, non nel significato classista della parola plebe, ma in un senso puramente esistenziale. La realtà estetica va dritta al cuore dell'uomo singolo, che è sempre una viscera del popolo, non massa umana.
Pensate, per esempio, alla Gioconda di Leonardo, alla Maja Desnuda, di Goya o al Ritratto dell'Uomo con la mano sul petto, di El greco. Chi potrebbe ricordare le persone che servirono da modello a Leonardo, a Goya e al Greco? Per la memoria umana non furono niente, non ebbero consistenza storica particolarmente rilevante. Furono soltanto il pretesto di cui si servirono i tre artisti per creare l'enorme universo di realtà estetica che sono i tre quadri.
Pensate a un poema, lungo quanto l'Odissea o brevissimo come quello famoso di Quasimodo: “Ognuno sta solo/ sul cuor della terra/trafitto da un raggio di sole/ ed è subito sera.
Chiudete gli occhi e provate a sentire nell'intimità del silenzio la tempestosa mestizia, la disperata saggezza che sgorga da queste poche parole di Quasimodo.
La vera poesia non è altro che “ Trasmutazione”.
Il poeta, perennemente in lotta con la vita per poter trasformare se stesso da soggetto creatore in oggetto poetico, vive in eterno conflitto con l'etica e con l'estetica dei mercanti.
Oggi il mondo è governato da mercanti di piccolo cabotaggio, completamente diversi da quei geniali mercanti italiani che nel Trecento e nel Quattrocento diedero vita al Rinascimento europeo.
Anche se hanno l'insolenza di considerarsi “ timonieri globali”, i nostri mercanti sono gente da poco. Sanno distruggere, ma sono incapaci di creare. Soltanto con il loro alito sono riusciti a degradare l'anima riducendola a spirito gregario che va dove porta lo spot televisivo. Di fronte a tali mercanti, i poeti, sono l'unica tavola di salvezza che ancora ci rimane. Nel 1937 Miguel Hernandez pubblicò un libro di poemi intitolato ”Vientos del pueblo” - Vento del popolo. Lo dedicò a Vicente Alexandre, che più tardi sarebbe stato insignito del premio Nobel. E nella dedica scrive: “... Noi, tu ed io, siamo nati poeti tra gli uomini. Ci ha fatto la vita vissuta insieme con tutti gli altri uomini. Noi sgorghiamo da una sorgente di chitarre che le mani del popolo hanno accolto sempre con passione. Il nostro destino è di andare a finire nelle mani del popolo. Soltanto le mani oneste del popolo possono accogliere ciò che sgorga dal sangue onesto del poeta. Siamo il vento del popolo. Veniamo al mondo per passare soffiando attraverso i pori della sua pelle, per condurre i suoi occhi e i suoi sentimenti fino alle cime più alte e belle. Ai piedi di ogni secolo il popolo attende i poeti con l'orecchio e con l'anima spalancati.”
Diego Guadagnino è un poeta. Viene da quel fiume di chitarre di cui parla Hernandez. Le sue sillabe “disposte in rima” non sono spente. Non sono parole che stupiscono e restano ferme “a cosa vile e vana”, ma parole che scaturiscono “dal silenzio che è cenere di brama”. Caro Guadagnino, artigiano del diritto e maestro del verso, il cuore del popolo ti sta aspettando ai piedi di questo ventunesimo secolo che ha avuto la disgrazia di nascere tanto infelice e miserevole.
Complimenti e auguri.
Gonzalo Alvarez Garcia
Miguel Hernandez è un poeta spagnolo appartenete a quella grande costellazione di poesia che nobilitò la Spagna repubblicana negli anni trenta . Una costellazione di poeti alla quale appartenevano Federico Garcia Lorca, Rafael Alberti, Vicente Aleixandre e molti altri. Furono tutti uccisi, incarcerati o condannati all'esilio dai generali golpisti.
Miguel Hernandez, nato nel 1910, morì in carcere nel 1942.
Il paragone tra Diego Guadagnino e Miguel Hernandez mi fu istintivamente suggerito dalla metrica che tutti i due sanno usare con maestria e con garbo. L'uno e l'altro dominano perfettamente l'Arte Poetica e da essa si servono per offrirci pensieri e passioni. Miguel Hernandez autodidatta cominciò da adolescente a scrivere versi concepiti secondo le regole di una metrica rigorosa e leggera come le piume di una rondine. Il metro si armonizzava già allora con la densa sostanza poetica del suo cuore. Prima di cominciare a scrivere versi aveva mangiato avidamente, e digerito, tutti i più grandi poeti del secolo d'oro spagnolo: Garcilaso de la Vega, Fray Luis de Leon, Lope de Vega, Luis de Gongora… La loro musicalità aveva impregnato la musica che scorreva torrenzialmente nelle sue arterie.
Immaginai subito Diego Guadagnino come un grande e sapiente mangiatore di poeti classici.
Poi, durante la lettura di “Trasmutazione”, il paragone continuò al di là e al di sopra della metrica.
Il vero poeta (quello che scrive versi o quello che dipinge quadri o scolpisce il marmo) è, come dio, un creatore di mondi. Crea il mondo dell’ estetica. La realtà estetica è infinitamente superiore alla realtà quotidiana. La realtà quotidiana, di solito, è multitudinaria, spesso volgarotta e plebea, non nel significato classista della parola plebe, ma in un senso puramente esistenziale. La realtà estetica va dritta al cuore dell'uomo singolo, che è sempre una viscera del popolo, non massa umana.
Pensate, per esempio, alla Gioconda di Leonardo, alla Maja Desnuda, di Goya o al Ritratto dell'Uomo con la mano sul petto, di El greco. Chi potrebbe ricordare le persone che servirono da modello a Leonardo, a Goya e al Greco? Per la memoria umana non furono niente, non ebbero consistenza storica particolarmente rilevante. Furono soltanto il pretesto di cui si servirono i tre artisti per creare l'enorme universo di realtà estetica che sono i tre quadri.
Pensate a un poema, lungo quanto l'Odissea o brevissimo come quello famoso di Quasimodo: “Ognuno sta solo/ sul cuor della terra/trafitto da un raggio di sole/ ed è subito sera.
Chiudete gli occhi e provate a sentire nell'intimità del silenzio la tempestosa mestizia, la disperata saggezza che sgorga da queste poche parole di Quasimodo.
La vera poesia non è altro che “ Trasmutazione”.
Il poeta, perennemente in lotta con la vita per poter trasformare se stesso da soggetto creatore in oggetto poetico, vive in eterno conflitto con l'etica e con l'estetica dei mercanti.
Oggi il mondo è governato da mercanti di piccolo cabotaggio, completamente diversi da quei geniali mercanti italiani che nel Trecento e nel Quattrocento diedero vita al Rinascimento europeo.
Anche se hanno l'insolenza di considerarsi “ timonieri globali”, i nostri mercanti sono gente da poco. Sanno distruggere, ma sono incapaci di creare. Soltanto con il loro alito sono riusciti a degradare l'anima riducendola a spirito gregario che va dove porta lo spot televisivo. Di fronte a tali mercanti, i poeti, sono l'unica tavola di salvezza che ancora ci rimane. Nel 1937 Miguel Hernandez pubblicò un libro di poemi intitolato ”Vientos del pueblo” - Vento del popolo. Lo dedicò a Vicente Alexandre, che più tardi sarebbe stato insignito del premio Nobel. E nella dedica scrive: “... Noi, tu ed io, siamo nati poeti tra gli uomini. Ci ha fatto la vita vissuta insieme con tutti gli altri uomini. Noi sgorghiamo da una sorgente di chitarre che le mani del popolo hanno accolto sempre con passione. Il nostro destino è di andare a finire nelle mani del popolo. Soltanto le mani oneste del popolo possono accogliere ciò che sgorga dal sangue onesto del poeta. Siamo il vento del popolo. Veniamo al mondo per passare soffiando attraverso i pori della sua pelle, per condurre i suoi occhi e i suoi sentimenti fino alle cime più alte e belle. Ai piedi di ogni secolo il popolo attende i poeti con l'orecchio e con l'anima spalancati.”
Diego Guadagnino è un poeta. Viene da quel fiume di chitarre di cui parla Hernandez. Le sue sillabe “disposte in rima” non sono spente. Non sono parole che stupiscono e restano ferme “a cosa vile e vana”, ma parole che scaturiscono “dal silenzio che è cenere di brama”. Caro Guadagnino, artigiano del diritto e maestro del verso, il cuore del popolo ti sta aspettando ai piedi di questo ventunesimo secolo che ha avuto la disgrazia di nascere tanto infelice e miserevole.
Complimenti e auguri.
Gonzalo Alvarez Garcia
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