L'apprezzato debutto in versi di Diego Guadagnino, avvocato canicattinese prestato alla poesia, conquista pubblico e critica.
Tra le occasioni culturali che hanno chiuso le atmosfere estive ragusane, menzione speciale merita la sorpresa pregevole di un esordio letterario. Diego Guadagnino, avvocato canicattinese, debutta oggi con una silloge che raccoglie all'incirca un decennio di scrittura privata, Trasmutazione (Ragusa, Libroitaliano World, 2007), dal timbro primariamente esistenziale. Il poeta viene accolto a Villa Aurea, a Pozzallo, dentro una serata suggestiva che rompe lo schema rigido della presentazione d'un libro nuovo: alle relazioni attente di Emanuele Schembari e di Andrea Guastella, lucido prefatore della raccolta, si alternano le letture incisive di Alessandro e Giorgio Sparacino, mentre l'intero incontro risuona del pianoforte morbido del maestro Sergio Carrubba. Le linee estetiche del proprio percorso poetico vengono dall'autore programmaticamente collocate nell'ouverture della sezione che dà il titolo all'opera: "Non voglio la parola che stupisce/e resta ferma a cosa vile e vana,/ma la parola, sì, che scaturisce/dal silenzio ch'è cenere di brama": si coglie evidente la tensione ad un'arte 'alta', che sia sedimento della personale vicenda, sgorgando da quel silenzio atto a macerare emozioni e pensieri.
L'intento di una sistemazione del proprio quadro emotivo si evince pure dall'apparato formale della raccolta, per cui Guadagnino ricorre a forme canoniche della tradizione; spesseggia lo schema delle due quartine di endecasillabi, che sfidano audaci gli orientamenti attuali delle poetiche contemporanee anche nell'insistito impiego della rima alternata. La nota predominante, soggettiva e gnomica, trova felice varietà di realizzazione nei molteplici motivi che addensano il testo, tra i quali il senso di stanchezza esistenziale, di scacco per tutte le potenzialità individuali non concretizzate, per quella inettitudine (tutta primonovecentesca) che arresta l'agire umano, efficacemente resa con il movimento tarpato di chi si rinviene dentro un acquario. La consapevolezza adulta, cui si allude metaforicamente con le "fitte maglie del pensiero", riesce finanche a disarmare l'"innocenza residua di bambino", assimilata, in un riuscito trapasso naturalistico, alla "terra che si leva in fioritura" e, con una bella sinestesia, alla "luce sonora del mattino". Al senso di lentezza del vivere fa da controcanto l'improvviso rilancio propositivo da parte dell'io poetante, che, apostrofando direttamente l'interlocutore, lo invita a sciogliere "come per distanza/il disegno dell'ombra che ti scorta/nella spola tra il pianto e la speranza". Emblematici della ribellione all'abbandono inerte al "limbo senza amore degli inetti", pure i seguenti versi: "Ritrova in te l'assenza di progetto/è forse l'equipaggio che ci vuole/per acque dov'è principe il difetto/che veste l'aria e non oscura il sole".
Va pure rilevato come ai pesi del quotidiano Guadagnino trovi sovente sublimazione (e riparo?) nel costante metaforizzare e nelle ricorrenti similitudini: i doveri che gravano su ogni individuo trasmutano in nani che coprono "il gran deserto"; il poeta parla ancora della "rosa del tuo nulla", della "ghirlanda dei dolori", di "siepe di tenebra", e auspica: "Verrà la luce per trasmutazione/di quanto adesso è grumo di bisogno,/il cuore scioglierà la sua canzone/lavando la fuliggine del sogno./Allora nell'ordito del disegno/si perderà come esile sussurro/la pena che ora muta tiene in pegno/questo giorno di nuvole e d'azzurro". Sulle personali predilezioni letterarie, sui propri modelli, interviene direttamente il poeta: "Fin dalle scuole medie ho coltivato la passione intensa per la letteratura. Leggevo soprattutto Leopardi e Cardarelli, e questi poeti sono quelli che hanno lasciato la traccia più profonda dentro di me, insieme ai simbolisti francesi, a Quasimodo, a tutto il Novecento". Che la poesia di Guadagnino fosse lontanissima dal frutto spontaneo di un ingenuo, occasionale compositore, balza chiarissimo dagli emprunts disseminati frequenti nel testo. Ascendenze sicuramente decadenti denuncia il tono generale dei versi, con la presenza di sintagmi quali "anima malata", con l'attingere ad una sintomatica tavolozza cromatica ("la luce rosa e d'oro dell'aurora/distilla i suoi cristalli di rugiada/il cielo sulla terra li colora"). E di matrice decadente, almeno nello spirito che lo informa, è pure il regesto lessicale, essenzialmente proiettato alla ricerca della parola eletta. Continua l'eco di contenuti e modi leopardiani, per i quali valga come esempio il motivo dell'umano sentire che conduce alla caduta, in "quella vita che a se stessa è lutto". Originano da urgenze assolutamente autonome le finalità ultime della silloge: "La mia non è poesia passionale", dichiara Guadagnino, "ma una poesia che cerca la lucidità come riscatto. Io non nego le emozioni, ma sono consapevole che a volte scambiamo le emozioni più basse con una forma di autenticità della vita. Wittgenstein sosteneva che la cosa più difficile per l'uomo sia non ingannare se stesso. I miei versi vogliono essere un momento di grazia e di coraggio, il tentativo di riscatto dall'autoinganno. Il sogno, consueto a tanti poeti, ha per me valenza negativa. L'uomo non deve sognare. Deve svegliarsi". Tra i componimenti particolarmente rappresentativi della propria opera, lo stesso autore segnala Scalo ferroviario, "una illuminazione sulla vita. Il mondo cerca la felicità dove non può trovarla. Liberarsi dall'inferno del mondo vuol dire uscire da tutte le sale d'attesa. Anche mancando tutte le partenze, si può essere lo stesso felici. L'intera opera è percorsa dalla polarità tra prigione e liberazione. Vorrei che l'uomo riuscisse a ripensare l'amore e le emozioni non al di qua, ma al di là della libertà".
A chi si chieda come un professionista di norme e burocrazie nasconda una corda lirica tanto profonda, Diego Guadagnino, poeta per vocazione, avvocato per contingenza, risponde che l'avvocatura è per lui percorso di conoscenza, funzionalizzato quasi, dunque, alla scrittura (eloquenti, al riguardo, La tana e E. L. M., in dialogo ideale con Edgar Lee Masters). Per chi si voglia intrattenere sulla materia vasta del testo, si rimanda alla visione delle trasmutazioni tutte del libro; ne apprezzerà senz'altro la misura eletta dell'universale dicibilità, dell'intimo e del sociale, dei giochi dell'arte e dell'umana verità.
(Pubblicato su "La Sicilia")
Elisa Mandarà
L'intento di una sistemazione del proprio quadro emotivo si evince pure dall'apparato formale della raccolta, per cui Guadagnino ricorre a forme canoniche della tradizione; spesseggia lo schema delle due quartine di endecasillabi, che sfidano audaci gli orientamenti attuali delle poetiche contemporanee anche nell'insistito impiego della rima alternata. La nota predominante, soggettiva e gnomica, trova felice varietà di realizzazione nei molteplici motivi che addensano il testo, tra i quali il senso di stanchezza esistenziale, di scacco per tutte le potenzialità individuali non concretizzate, per quella inettitudine (tutta primonovecentesca) che arresta l'agire umano, efficacemente resa con il movimento tarpato di chi si rinviene dentro un acquario. La consapevolezza adulta, cui si allude metaforicamente con le "fitte maglie del pensiero", riesce finanche a disarmare l'"innocenza residua di bambino", assimilata, in un riuscito trapasso naturalistico, alla "terra che si leva in fioritura" e, con una bella sinestesia, alla "luce sonora del mattino". Al senso di lentezza del vivere fa da controcanto l'improvviso rilancio propositivo da parte dell'io poetante, che, apostrofando direttamente l'interlocutore, lo invita a sciogliere "come per distanza/il disegno dell'ombra che ti scorta/nella spola tra il pianto e la speranza". Emblematici della ribellione all'abbandono inerte al "limbo senza amore degli inetti", pure i seguenti versi: "Ritrova in te l'assenza di progetto/è forse l'equipaggio che ci vuole/per acque dov'è principe il difetto/che veste l'aria e non oscura il sole".
Va pure rilevato come ai pesi del quotidiano Guadagnino trovi sovente sublimazione (e riparo?) nel costante metaforizzare e nelle ricorrenti similitudini: i doveri che gravano su ogni individuo trasmutano in nani che coprono "il gran deserto"; il poeta parla ancora della "rosa del tuo nulla", della "ghirlanda dei dolori", di "siepe di tenebra", e auspica: "Verrà la luce per trasmutazione/di quanto adesso è grumo di bisogno,/il cuore scioglierà la sua canzone/lavando la fuliggine del sogno./Allora nell'ordito del disegno/si perderà come esile sussurro/la pena che ora muta tiene in pegno/questo giorno di nuvole e d'azzurro". Sulle personali predilezioni letterarie, sui propri modelli, interviene direttamente il poeta: "Fin dalle scuole medie ho coltivato la passione intensa per la letteratura. Leggevo soprattutto Leopardi e Cardarelli, e questi poeti sono quelli che hanno lasciato la traccia più profonda dentro di me, insieme ai simbolisti francesi, a Quasimodo, a tutto il Novecento". Che la poesia di Guadagnino fosse lontanissima dal frutto spontaneo di un ingenuo, occasionale compositore, balza chiarissimo dagli emprunts disseminati frequenti nel testo. Ascendenze sicuramente decadenti denuncia il tono generale dei versi, con la presenza di sintagmi quali "anima malata", con l'attingere ad una sintomatica tavolozza cromatica ("la luce rosa e d'oro dell'aurora/distilla i suoi cristalli di rugiada/il cielo sulla terra li colora"). E di matrice decadente, almeno nello spirito che lo informa, è pure il regesto lessicale, essenzialmente proiettato alla ricerca della parola eletta. Continua l'eco di contenuti e modi leopardiani, per i quali valga come esempio il motivo dell'umano sentire che conduce alla caduta, in "quella vita che a se stessa è lutto". Originano da urgenze assolutamente autonome le finalità ultime della silloge: "La mia non è poesia passionale", dichiara Guadagnino, "ma una poesia che cerca la lucidità come riscatto. Io non nego le emozioni, ma sono consapevole che a volte scambiamo le emozioni più basse con una forma di autenticità della vita. Wittgenstein sosteneva che la cosa più difficile per l'uomo sia non ingannare se stesso. I miei versi vogliono essere un momento di grazia e di coraggio, il tentativo di riscatto dall'autoinganno. Il sogno, consueto a tanti poeti, ha per me valenza negativa. L'uomo non deve sognare. Deve svegliarsi". Tra i componimenti particolarmente rappresentativi della propria opera, lo stesso autore segnala Scalo ferroviario, "una illuminazione sulla vita. Il mondo cerca la felicità dove non può trovarla. Liberarsi dall'inferno del mondo vuol dire uscire da tutte le sale d'attesa. Anche mancando tutte le partenze, si può essere lo stesso felici. L'intera opera è percorsa dalla polarità tra prigione e liberazione. Vorrei che l'uomo riuscisse a ripensare l'amore e le emozioni non al di qua, ma al di là della libertà".
A chi si chieda come un professionista di norme e burocrazie nasconda una corda lirica tanto profonda, Diego Guadagnino, poeta per vocazione, avvocato per contingenza, risponde che l'avvocatura è per lui percorso di conoscenza, funzionalizzato quasi, dunque, alla scrittura (eloquenti, al riguardo, La tana e E. L. M., in dialogo ideale con Edgar Lee Masters). Per chi si voglia intrattenere sulla materia vasta del testo, si rimanda alla visione delle trasmutazioni tutte del libro; ne apprezzerà senz'altro la misura eletta dell'universale dicibilità, dell'intimo e del sociale, dei giochi dell'arte e dell'umana verità.
(Pubblicato su "La Sicilia")
Elisa Mandarà
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