“L’Universo é il mio riposo. L’Universo é la mia pigrizia”; “l’Universo é l’infinito della mia disattenzione”, dice Bachelard, tracciando il limite che divide la rēverie, il sogno dalla scienza. Vedere l’insieme contemporaneamente, contemplare il paesaggio, guardare il panorama, secondo l’epistemologo francese, é un atteggiamento di totale passività dello spirito, é una forma di ipnosi che impedisce l’osservazione del particolare, bloccando la tensione della conoscenza.
Usare una intuizione epistemologica per addentrarsi nello spirito di un discorso artistico può apparire un atto arbitrario e illegittimo sia per la scienza che per l’arte, ma é (non certo l’unico) il più proficuo approccio alle fotografie che Ezio Ferreri, continuando il suo dialogo con le ville, ha voluto dedicare a “Villa Firriato”.
L’obiettivo di Ferreri ha scomposto il tema in quaranta immagini che, negando il panorama e magnificando il particolare, ci si propongono come una terapia della disattenzione, come un’educazione dello sguardo, e uno stimolo al pensiero, per cui, strutturandosi in opera, non ci mostrano ma ci fanno conoscere “Villa Firriato”; e senza, tuttavia, approdare a un risultato di asettico inventano di dati, permanendo in ogni particolare la leggibilità degli attributi estetici della villa.
Voler far conoscere “Villa Firriato” a Canicattì, al cui territorio e alla cui storia appartiene, stante l’ormai notorio stato di abbandono in cui versa, potrebbe suonare come una congegnata denuncia, ma sappiano che si andrebbe ad aggiungere alle altre condividendone il destino di vana protesta. Denunciare presuppone nell’interlocutore l’esistenza di una sensibilità che si vorrebbe attivare e far reagire. Ma “Villa Firriato”, o meglio l’idea di villa che essa esprime, é estranea all’abitus mentale dominante. La villa é un topos culturale: é un microcosmo teatrale delegato a rappresentare una concezione della vita mera proiezione del desiderio, e nulla é più lontano dal sentire oggi ricorrente, per il quale la villa può esistere soltanto nella sua accezione di “bene immobile”.
Ma le fotografie di Ferreri, nella loro riuscita soluzione di poesia e conoscenza, non sono un documento di denuncia, bensì l’esposizione di una concezione del vivere e di un conseguente uso della ricchezza solidificati ed esemplificati dalle forme della Villa.
Rivelare questo sapere attraverso “Villa Firriato”, significa non solo fondare la premessa per l’efficacia di tutte le possibili denuncie, ma soprattutto additare un modello accettabile di cultura a chi, in questi ultimi anni, ha visto la ricchezza passare su Canicattì effimera ed inutile come una meteora, che scompare lasciandosi dietro una lunga e persistente coda d’ipoteche.
Diego Guadagnino
Usare una intuizione epistemologica per addentrarsi nello spirito di un discorso artistico può apparire un atto arbitrario e illegittimo sia per la scienza che per l’arte, ma é (non certo l’unico) il più proficuo approccio alle fotografie che Ezio Ferreri, continuando il suo dialogo con le ville, ha voluto dedicare a “Villa Firriato”.
L’obiettivo di Ferreri ha scomposto il tema in quaranta immagini che, negando il panorama e magnificando il particolare, ci si propongono come una terapia della disattenzione, come un’educazione dello sguardo, e uno stimolo al pensiero, per cui, strutturandosi in opera, non ci mostrano ma ci fanno conoscere “Villa Firriato”; e senza, tuttavia, approdare a un risultato di asettico inventano di dati, permanendo in ogni particolare la leggibilità degli attributi estetici della villa.
Voler far conoscere “Villa Firriato” a Canicattì, al cui territorio e alla cui storia appartiene, stante l’ormai notorio stato di abbandono in cui versa, potrebbe suonare come una congegnata denuncia, ma sappiano che si andrebbe ad aggiungere alle altre condividendone il destino di vana protesta. Denunciare presuppone nell’interlocutore l’esistenza di una sensibilità che si vorrebbe attivare e far reagire. Ma “Villa Firriato”, o meglio l’idea di villa che essa esprime, é estranea all’abitus mentale dominante. La villa é un topos culturale: é un microcosmo teatrale delegato a rappresentare una concezione della vita mera proiezione del desiderio, e nulla é più lontano dal sentire oggi ricorrente, per il quale la villa può esistere soltanto nella sua accezione di “bene immobile”.
Ma le fotografie di Ferreri, nella loro riuscita soluzione di poesia e conoscenza, non sono un documento di denuncia, bensì l’esposizione di una concezione del vivere e di un conseguente uso della ricchezza solidificati ed esemplificati dalle forme della Villa.
Rivelare questo sapere attraverso “Villa Firriato”, significa non solo fondare la premessa per l’efficacia di tutte le possibili denuncie, ma soprattutto additare un modello accettabile di cultura a chi, in questi ultimi anni, ha visto la ricchezza passare su Canicattì effimera ed inutile come una meteora, che scompare lasciandosi dietro una lunga e persistente coda d’ipoteche.
Diego Guadagnino
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