GANGITANO LUIGI, Padroni a casa nostra ed anche a casa loro. La nuova Italia d’oltre mare


Relazione presentata ai soci dell'AUSER 




Questa relazione intende prendere in esame quei fatti storici che accompagnarono la nascita del colonialismo italiano in Africa, di come si intervenne in quei paesi con la violenza, lo sfruttamento, la sottomissione, la deportazione, lo sterminio di intere popolazioni ritenute inferiori.  

“Vi sono fatti che si impongono come una fatalità storica alla quale nessun popolo può sottrarsi senza compromettere in modo irreparabile il suo avvenire. “disse Giolitti giustificando la presa (difficile) della Libia.

Questa fatalità storica ai popoli africani in effetti compromise il loro avvenire ed a quello italiano diede la soddisfazione di avere scritto pagine ignominiose.

Padroni a casa nostra è uno slogan il cui significato è semplice ma efficace. A casa nostra comandiamo noi e non vogliamo intrusi, e che in ogni caso siano subordinati. Ma se noi andiamo a casa loro e riempiamo le galere, innalziamo forche, ci prendiamo le terre, li riduciamo in stato di servaggio non siamo intrusi: è una fatalità storica. Se gli arabi ci sparano addosso, come a Tripoli invece di acclamarci, sono traditori e come tali vanno trattati. Per loro la forca sarà poco.

E quindi lo slogan padroni a casa loro è quello che ci spetta.

 

Colonialismo italiano. I primi obiettivi in Africa

 

Dopo la proclamazione del Regno d'Italia il neonato Stato mostrò interesse per l'Africa, giungendo in po' tardi rispetto ad altri paesi.

 

I primi insediamenti sul Mar Rosso - L’ Eritrea

 

I primi tentativi riusciti di ottenere possedimenti coloniali risalgono ai governi della Sinistra di Agostino De Pretis e di Francesco Crispi anche se alcuni governi precedenti avevano appoggiato, sebbene non in maniera esplicita, alcune iniziative private, come l'acquisizione della baia di Assab da parte della Compagnia di Navigazione Rubattino (1869). 

La guerra d'Eritrea fu una serie di azioni militari che portarono alla conquista da parte del Regno d'Italia del territorio corrispondente all'attuale Eritrea. Viene considerata la prima guerra coloniale italiana.

Premevano sull’impresa: le società geografiche, le industrie armatoriali, cantieristiche, siderurgiche, i circoli colonialisti per il destino d’Italia sui miti della romanità, per dare uno sfogo alla spinta demografica, Umberto di Savoia per dare lustro alla dinastia.

Nel 1882 lo Stato italiano acquistò dalla compagnia Rubattino la baia di Assab, iniziando così la penetrazione nell'area.

All'Italia interessava per poter accedere al canale di Suez ed al golfo di Aden.

Nel febbraio del 1885 prendendo come spunto il massacro avvenuto in Dancalia di una spedizione commerciale guidata dall'esploratore Gustavo Bianchi, un piccolo corpo di spedizione italiano (800 bersaglieri) al comando del colonnello Tancredi Saletta occupò il porto di Massaua,  poi annesso al Regno, allontanandone senza alcuno scontro la locale guarnigione egiziana che all'epoca controllava il porto della città; l'azione era stata possibile anche grazie al beneplacito del primo ministro britannico William Ewart Gladstone. Il generale Baldisserra, comandante superiore delle forze in Eritrea dichiarava nel 1888 “L’Abissinia ha da essere nostra, perché tale è la sorte delle razze inferiori.” 

Il governo italiano puntò ad ampliare i suoi possedimenti occupando l'altopiano occidentale eritreo, allora formalmente parte dell'Impero d'Etiopia. Il negus Giovanni IV d'Etiopia avanzò forti proteste.

Di Robilant ministro degli Esteri, decise di intraprendere una soluzione militare alla questione, definendo sprezzantemente le truppe del Negus "quattro predoni". La mattina del 26 gennaio 1887 una colonna di truppe italiane al comando del tenente colonnello Tommaso De Cristoforis cadde in un'imboscata nei pressi di Dogali, venendo completamente distrutta con la perdita di 430 uomini.

Con il successore di Depretis, Francesco Crispi, le operazioni si svolsero più sul piano politico che militare Si prospettò la possibilità di giungere ad un trattato che ponesse l'intera Etiopia sotto protettorato italiano. Il 2 maggio 1889 venne quindi firmato il controverso trattato di Uccialli

Il punto più controverso riguardava l'articolo 17 del trattato: come da tradizione, il trattato era stato redatto in due versioni nelle lingue dei due contraenti, italiano e amarico; la stesura dell'articolo 17 tuttavia era differente nelle due versioni. La versione in italiano infatti recitava:

«Sua Maestà il Re dei Re d’Etiopia consente di servirsi del Governo di Sua Maestà il Re d’Italia per tutte le trattazioni di affari che avesse con altre potenze o governi.»

mentre la versione in amarico recitava:

«Sua Maestà il Re dei Re d'Etiopia può trattare tutti gli affari che desidera con altre potenze o governi mediante l'aiuto del Governo di Sua Maestà il Re d’Italia.»

Secondo l'interpretazione italiana, l'Etiopia non solo riconosceva il controllo italiano sull'Eritrea, ma diventava di fatto un protettorato italiano. 

Nel 1890 l'Eritrea divenne ufficialmente una colonia italiana.

Successivamente il trattato di Uccialli con la sua doppia interpretazione diede avvio alla prima guerra di Abissinia che si concluse il 1° marzo 1896 con la sconfitta di Adua: 6.000 uomini uccisi, 1.500 feriti e 3.000 presi prigionieri e provocò la caduta di Crispi.

Nell'ottobre del 1896, dopo lunghi negoziati, si giunse alla firma del trattato di pace di Addis Abeba: il Negus riconobbe la sovranità italiana sull'Eritrea, ma in cambio il governo italiano abrogò il trattato di Uccialli e rinunciò a qualsiasi ingerenza nella politica dell'Impero Etiope.

La colonia eritrea venne costruita con gli stessi metodi repressivi usati contro il brigantaggio nel Sud d’Italia. Abuso costante dei tribunali militari straordinari, fucilazioni sommarie, carcerazioni, deportazioni in Italia, mancato rispetto delle stesse leggi vigenti nelle colonie Di fronte a questi eccessi si volle una commissione d’inchiesta. Nel 1891 fu pubblicato il rapporto d’inchiesta definito dai giornalista Achille Bizzoni un capolavoro di reticenze, di ambiguità, di sfumature, di difesa d’ufficio dei comandanti militari che portò all’assoluzione con formula piena degli accusati.

Furono attivi sette penitenziari la cui popolazione oscillò tra 500 e 1500 detenuti ciascuno, su una popolazione di meno di 200.000. Emblematico è il penitenziario di Nocra su un’isoletta a 55 chilometri da Massaua. Gli alloggiamenti dei detenuti erano metà tende e metà tucul, con prigioni in fosse. Un palo con due forche. L’acqua era fornita da un pozzo salmastro, spesso razionata che con il sole cocente erano elementi aggiuntivi di punizione, con l’obbligo di lavorare alle cave di pietra.

Criminali comuni, politici vengono così descritti dal Cap Eugenio Finzi: i detenuti, coperti di piaghe e di insetti, ischeletrivano lentamente di fame, scorbuto, altre malattie, muoiono. Non un medico, gran parte hanno perduto l’uso delle gambe perché costantemente vivono incatenati sul tavolato alto un metro dal suolo.

Il penitenziario restò in funzione del 1887 al 1941 ed accolse anche prigionieri etiopi.  

 

Sciara Sciat, la Libia, i benefici della civiltà

 

L'opinione pubblica venne convinta dai nazionalisti e dalla grande stampa che l'occupazione della quarta sponda rientrava negli inviolabili diritti di Roma. Si inventarono ricchezze che quella terra non aveva per coprire una brutale aggressione verso le regioni Tripolitana e Cirenaica dell'impero turco. Nell’oasi di Tripoli gli olivi erano folti, coperti di olive. Le viti erano atterrate dal peso dei grappoli, l’erba medica può essere tagliata 12 volte l’anno, il grano dà 3-4 volte rispetto ai migliori terreni d’Europa.

Il console di Tripoli, Galli, sosteneva che gli arabi avrebbero accolto gli italiani come liberatori. Nel 1911'invasione però ad Homs vide turchi ed arabi combattere ferocemente contro gli italiani. Nella zona tra forte Messri e Sciara Sciat due milioni di palme dell'oasi creavano un labirinto dove vennero ferocemente massacrate due compagnie di bersaglieri. 21 ufficiali e 482 uomini di truppa. Il coro della stampa definì tradimento, agguato, vile attacco evitando di parlare di rivolta verso l'invasore.

Se i fatti furono truci la risposta italiana fu terribile e indiscriminata. Migliaia di arabi furono trucidati per le strade. In piazza del Popolo a Tripoli fu eretta una forca per impiccagioni collettive, prima di una serie che sarebbero stato di esempio per i “traditori” Si decise poi di deportare i rivoltosi in esilio alle Tremiti ma il numero (circa 4000) comportò l'invio a Ustica, Ponza, Caserta, Favignana. Alcuni deportati erano stati presi con le armi in pugno ma i più erano di tutte le età, donne e bambini, senza una prova di colpevolezza senza registrare il loro nome alla partenza come fece notare la Commissione dei prigionieri del ministro della Guerra. Giunsero coperti di cenci e con sintomi di malattie infettive aggravate dall'affollamento (tifo, colera, vaiolo) L'alimentazione scarsa, poco nutriente, la rigidità del clima di novembre, le cattive condizioni igieniche, la sistemazione in gelidi cameroni falcidiarono i deportati. Nel gennaio del 12 su circa 4000 deportati i deceduti erano 600/700.

Conclusa la pace con la Turchia l’8 ottobre 1912 occorreva conquistare l’interno, circa il 90% del territorio, mancavano uomini e mezzi. Gli italiani dopo fasi alterne di penetrazione e combattimenti non si allontanarono dalla costa. Il generale Ameglio come strumento di repressione usava la forca con i soldati italiani come boia. Fu uno scandalo con foto e discussione in Parlamento. 5 franchi era il compenso. I politici chiedevano che si desse la morte con processi regolari. Con la rivolta araba del novembre 1914 gli italiani furono respinti sino al mare sia in Tripolitana che in Cirenaica, più di 5000 caduti e migliaia di morti nel deserto. Notevole l'arsenale di armi perduto.

 

Libia

 

L'avvento del fascismo diede un ritmo accelerato alla ripresa della conquista della Libia.

Il Governatorato di Tripolitana e Cirenaica venne affidato al Maresciallo Badoglio nel 1929. Quando nel 23-25 il governatore Volpi aveva occupata la Tripolitania, si era distinto il Col Rodolfo Graziani che usava una nuova strategia con mezzi tecnici moderni (radio, aerei, autocarri armati, autoblindo) in maniera fulminea. Viene creato il mito di Graziani, detto però il macellaio degli arabi, il più fascista tra gli ufficiali superiori. Nel 1928 tocca alla Cirenaica, si usa il fosfene irritante per occhi e vie respiratorie. La resistenza araba viene gradualmente sconfitta.

I superstiti con le famiglie ed il bestiame procedendo lentamente cercano di raggiungere l'Algeria. Non rappresentano più un pericolo e qualche comandante rinuncia all'inseguimento bastandogli che vadano via. Ma Graziani vendicativo ed astioso li bombarda e mitraglia con gli aerei. Il grosso, circa 2800 persone, riuscirono a passare il confine Ma per gli altri fu un inutile massacro.

Badoglio era la mente, Graziani diventato Generale la mente operativa, ostinati, spietati, indifferenti alle sofferenze di un popolo che disprezzavano.

Nominato vice-governatore Graziani, nonostante la riorganizzazione dell'esercito ed una giustizia militare repressiva, i suoi rastrellamenti avevano risultati modesti a causa soprattutto di Omar al-Mukhtàr, abilissimo guerrigliero che godeva del sostegno della popolazione. Drasticamente si decise di confiscare beni immobili e mobili delle comunità senussite ed il raggruppamento coatto delle popolazioni indigene. Nel giugno del 1927 venne sgomberato l'altipiano cirenaico. Migliaia di persone percorsero a piedi più di 1000 km. Nel maggio del 1931 si contavano circa 100.000 deportati, la metà degli abitanti della Cirenaica (censimento turco). Nei campi si viveva nella fame, tra epidemie, violenze, fucilazioni. Isolato Omar venne ferito e fatto prigioniero, ma il 74 enne guerrigliero afflitto dalla gotta non volle dare l'ordine cessare la ribellione. Fu impiccato il 16.9.31

 

Somalia

 

Quando Mussolini assunse il potere metà della colonia somala era fuori controllo. Il quadrunviro Cesare Maria De Vecchi fu il primo governatore dall'8.9.23 inviato da Mussolini per tenerlo lontano da Roma non si pensava che avrebbe provocato costose, sanguinose ed inutili campagne militari. Le spese per la colonia sarebbero aumentate di 8 volte.

 De Vecchi, capitano degli arditi in guerra con 6 medaglie al valor militare, era uomo di mano senza scrupoli. Nel gennaio del ‘24 ordina il disarmo di tutti gli abitanti della Somalia meridionale, armati in maniera approssimativa essi avevano difeso la colonia dai dervisci. Senza alcuna giustificazione autorizzò l'invasione del territorio dei Galgial Bersane e dei Badi Addo nella Somalia meridionale che furono messi a ferro e fuoco, il bestiame razziato, i villaggi bombardati, indigeni uccisi.

Poi volle disarmare i sultanati dei nord che erano dei protettorati dal 1888-9 con i quali si conviveva. Portò i soldati da 3000 a 12.000 con aerei ed una divisone navale. Nell'ottobre del 25 invadeva il sultanato di Obbia senza perdite.

In Migiurtina gli abitanti si rifiutarono scatenando la reazione che però non ebbe risultati mentre ad Obbia vi furono attacchi del sultano. De Vecchi era riuscito ad infiammare la regione. In due anni di attacchi vinse con perdite italiane 3 ufficiali 4 soldati 97 ascari (militari eritrei) ma soprattutto di truppe indigene (449) nel campo avverso 1236 morti.

A morire erano i somali in una guerra fratricida.

Nella lotta De Vecchi si servì anche dei fascisti torinesi che erano venuti con lui.

Il nemico da colpire era lo scek Mohamed Nur di una moschea alla periferia di Merca. Quelli che cercarono di arrestarlo vennero aggrediti e fu ucciso un maresciallo dei carabinieri. Per impedire la sua fuga si rivolsero ai fascisti concessionari delle terre di Genale di cui una cinquantina bene armati risposero. Decisi a liquidare tutta la popolazione fucilarono i primi che incontrarono. La popolazione fu spinta verso la moschea di El Hagi che fu cinta d'assedio. Chi fuggiva veniva abbattuto. Intimarono la resa ma uscirono solo donne e bambini. Dopo un primo assalto respinto con il cannone ed altro assalto ne furono uccisi oltre 70 ed i superstiti abbattuti.

I concessionari del comprensorio di bonifica chiarirono che erano dei padroni esigentissimi e che i somali dei Banadir sarebbero stati ancora più schiavi in quei 18.000 ettari.

Il segretario federale della Somali, la più alta autorità fascista della colonia, Marcello Serrazanetti, inviava delle memorie a Roma evidenziando anche il lavoro forzato che si imponeva ai nativi mascherato da contratto di lavoro. Era la peggiore delle schiavitù perché lo schiavo aveva un valore venale da tenere in conto, mentre in Somalia se moriva o diventava invalido se ne chiedeva la sostituzione gratuita. Essi erano prelevati con la forza, con l'impronta del dito sul contratto erano assunti ed inviati al lavoro. Se non rendevano come richiesto gli dimezzavano o sospendevano il cibo. Il federale parla di morti nei campi e nelle strade, di moribondi o morti in seguito alle bastonate per aver rubato per la fame qualche pannocchia. Lavoravano 11 o 12 ore. Per i più restii scudisciate e prigione. Qualche voce che si levava in loro difesa non era ascoltata. Serrazanetti faceva notare che fondi per una nuova politica che proteggesse i somali si potevano trovare riducendo i favolosi stipendi dei governatori, facendo a meno di lavori pubblici di puro prestigio, dei frequenti e costosi ricevimenti.

Nel 33 fu richiamato in patria con un modesto incarico e poi al confino accusato di trame. Quando all'Italia fu data l'amministrazione fiduciaria della Somalia nel 1948 tra le condizioni poste c'era l'abolizione del lavoro forzato.

 

Etiopia - Iprite

 

Dal 1925 era manifesta l'intenzione di demolire l'impero etiopico. Si preparò un'armata poderosa e nel 36 c'erano 17.959 ufficiali 476.543 sottufficiali e soldati, quadrupedi, automezzi e armamenti proporzionati. Ma c'erano anche gas tossici (iprite e arsina) nelle bombe aree e granate d'artiglieria. Nell'ottobre del 35 Graziani viene autorizzato all'uso del gas sino al 1936 da Mussolini. Le bombe C500T che si aprivano a 250 metri dal suolo e provocavano una pioggia mortale contro cui non c'era difesa e che bruciava le persone. Si era anche pensato alla guerra batteriologica ma Mussolini temeva le conseguenze a livello internazionale. Il regime mentiva sui fatti e per decenni dopo la fine della guerra la verità venne negata. Indro Montanelli era stato in Etiopia come ufficiale combattente “cercando una coscienza di uomo”. Dal libro XX battaglione eritreo «Non si sarà mai dei dominatori, se non avremo la coscienza esatta di una nostra fatale superiorità. Coi negri non si fraternizza. Non si può, non si deve. Almeno finché non si sia data loro una civiltà.» e guidava il gruppo dei negazionisti nel dopoguerra. Nel 1966 il ministro della difesa Gen. Domenico Corcione ammetteva la verità e Montanelli dovette fare pubbliche scuse.

L'Etiopia rimaneva inospitale ed indomabile. In 5 anni di occupazione accoglierà 3500 famiglie di coloni su 114.000 ettari di terra.

Graziani, autorizzato da Mussolini allo sterminio, contravvenendo ad ogni regola di guerra consideravano i capi ed i gregari non soldati di un esercito regolare ma militari ribelli, da abbattere. Egli inasprirà   la lotta ed i massacri sembravano non finire mai. 

Il 19.2.37 durante una cerimonia per la nascita del primogenito di Umberto due etiopi lanciarono delle bombe a mano provocando sette morti ed una cinquantina di feriti, tra cui Graziani. Gli attentatori fuggirono ma la furia omicida degli italiani coinvolse commercianti, autisti, funzionari e cittadini, gente ritenuta tranquilla e rispettabile che non avevano mai sparato e che mostrò rancori e violenza assolutamente imprevisti. Si scatenò in forma incontrollata una furia omicida collettiva. Si dava fuoco alle capanne si uccideva chi fuggiva, si sparava a chi si trovava per strada. Furono scattate alcune foto del massacro. Per 3 giorni durò il caos. I morti non facili da accertare oscillarono tra 1400 e 6000. Includendo anche a seguire l'intellighenzia etiope, i cadetti della scuola militare di Oletta., e come diffusori di false notizie gli indovini, gli stregoni, i cantastorie.

Il clero cristiano-copto ebbe 400 vittime e la città conventuale di Debrà Libanòs tra 1423 e 2030.

Questa è la descrizione dei fatti più eclatanti, accanto a avvenimenti quotidiani di soprusi, aggressioni e violenze varie compiuti a casa loro.



IMMAGINI


Piazza del pane (Tripoli, 1911)

Impiccagione di arabi dopo i fatti di Sciara Sciat

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DIAPOSITIVE


  • «L'Abissinia ha da essere nostra perchè questo è il destino delle razze inferiori.» (Gen. Antonio Baldissera)
  • «Vi sono fatti che si impongono come una fatalità storica alla quale nessun popolo può sottrarsi senza compromettere in modo irreparabile il suo avvenire.» (Giovanni Giolitti)
  • «La stampa avversa estera grida contro gli… orrori perpetrati in Cirenaica, accomunando gli accampamenti ordinati da Graziani ai "campi di concentramento". Troppo interessata ed incauta immaginazione.» La nuova Italia d’oltre mare, Mondadori
  • «I fanciulli diventati inquadrati, disciplinati, paffuti e sorridenti sono per Graziani motivo di grande soddisfazione morale (nei campi ndr).» La nuova Italia d’oltre mare, Mondadori


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BIBLIOGRAFIA


- Angelo Del Boca, Italiani brava gente? Neri Pozza Editore, 2005.

- La nuova Italia d’oltre mare. L’opera del fascismo nelle colonie italiane, Mondadori Editore, 1933.

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