La Saponeria "Narbone-Garilli" teatro di una delle due tragedie |
Nel pomeriggio del 12 luglio i carri armati americani, provenienti da Licata, erano appena entrati in città, alla guida del capitano Perkins. La loro avanzata era stata preceduta e coperta da forti bombardamenti aerei che avevano spinto i militari dell’Asse, presenti da appena due giorni a Canicattì, a ripiegare alla volta di Caltanissetta. I primi reparti tedeschi, appartenenti alla 15° Divisione Panzer Grenatier, erano arrivati a Canicattì nella mattinata dell’undici luglio. Erano giunti su disposizione del generale Alfredo Guzzoni, comandante in capo delle truppe dell’Asse in Sicilia. A essi si erano aggiunti, subito dopo, altri uomini e mezzi del 162° Battaglione di artiglieria.
In zona giunse anche il generale di divisione Ottorino Schreiber, comandante della 207° Divisione costiera italiana, che aveva assunto, a seguito della morte in combattimento del luogotenente generale della Milizia, Enrico Francisci, il comando delle forze dell’Asse nell’area. Al generale Schreiber furono assegnati altri reparti di fanteria, artiglieria ed una compagnia controcarro. Queste truppe, che avevano il compito di fermare l’avanzata degli anglo-americani, dopo una breve sortita, nel pomeriggio dell’undici luglio, su Campobello di Licata, furono costrette a precipitosa ritirata a seguito dell’avanzare dei reparti corazzati americani.
L’indomani pomeriggio, intorno alle 16, i soldati tedeschi, in marcia per uscire dalla città, si imbatterono - davanti al ricovero antiaereo costruito in via Capitano Ippolito alla base della collina del Castello - in un gruppo di cittadini inermi visibilmente esultanti per l’arrivo degli americani e la conseguente fine della guerra. I tedeschi, contrariati e presaghi della loro imminente sconfitta, reagirono da nazisti aprendo il fuoco, senza che fosse stato loro offerto il benché minimo pretesto. Per terra restarono sei morti. Era la prima strage compiuta in Italia dai tedeschi. Questi i nomi dei caduti: Giuseppe Iacolini di 18 anni, Salvatore Lo Sardo di 19, Giuseppe Piccolo di 54, Pietro Frangiamone di 66, Carmelo Di Bella di 39 e Calogero Lauricella di 56. Non è stato finora possibile ricostruire a quale dei numerosi reparti tedeschi presenti, seppur da poche ore, a Canicattì appartenessero gli autori della strage.
La seconda strage, ad opera degli alleati, fu compiuta alle 18 del 14 luglio ed ebbe come teatro la saponeria Narbone-Garilli ubicata all’inizio del viale Carlo Alberto, sul lato destro, subito dopo il ponte della ferrovia. L’evento, definito da Stanley P. Hirshson “tra i più brutali” della campagna d’armi di Sicilia, è rimasto nell’oblio per più di sessant’anni. Se ne è avuta finalmente notizia grazie ad una relazione, An unreported atrocity at Canicattì, July 1943, tenuta il 15 aprile 1998 dal professore Joseph S. Salemi, docente nel Department of Humanities della New York University e nel Brooklyn College, figlio di Salvatore Joseph Salemi, uno degli americani testimoni della strage.
Salvatore J. Salemi, nei primi di luglio del 1943, era un sottufficiale del Quartier Generale del Military Intelligence Service e prestava servizio con la 3° Divisione dell’esercito americano in Sicilia, comandata dal generale Lucian K. Truscott. Salemi conosceva il dialetto siciliano ed era per questo utilizzato, all’interno del G-2 - il servizio di spionaggio dell’esercito - come interprete e per altre incombenze come la traduzione di documenti.
Nel pomeriggio del 14 luglio Salemi si trovava all’interno del Municipio di Canicattì, ove aveva stabilito il suo ufficio il responsabile locale dell’amministrazione militare anglo-americana, tenente colonnello George Herbert Mc Caffrey, di 53 anni. Intorno alle ore 17 giunse trafelato un civile a chiedere un intervento dei militari alleati per far cessare un saccheggio in corso all’interno della saponeria Narbone-Garilli del viale Carlo Alberto. “Durante la guerra in Europa, il sapone era un bene molto costoso. Le forze armate di quasi tutti i paesi belligeranti avevano requisito il bestiame per i propri bisogni alimentari o di trasporto, e di conseguenza c’era una grossa penuria di grasso animale per produrre sapone. Il sapone era, quindi, diventato scarso e costoso. I casi di scabbia verificatisi a Canicattì dimostrano le carenze igieniche e l’impossibilità per molti di acquistarlo”. (Giovanni Bartolone, Le altre stragi-Le stragi alleate e tedesche nella Sicilia del 1843-44, Bagheria, 2005)
Il tenente colonnello Caffrey ordinò subito ad un gruppo di militari, guidati da un sottotenente, di recarsi sul posto e arrestare i saccheggiatori. Subito dopo, però, decise di recarsi egli stesso nel viale Carlo Alberto insieme ad un gruppo del servizio G-2. Quando il colonnello giunse nella saponeria i militari inviati in precedenza avevano già provveduto all’arresto di un gruppo, dai 30 ai 40, di presunti saccheggiatori e tra essi donne e bambini. Il colonnello, non si comprende il perché, diede ordine al sottotenente di procedere con i suoi uomini alla fucilazione degli arrestati. Il sottotenente non oppose alcun rifiuto verbale ma non sparò e non diede ordine ai suoi subordinati di sparare. Caffrey ripeté lo stesso ordine a tutti i soldati presenti che restarono immobili. A questo punto estrasse dalla fondina la sua Colt automatica calibro 45, un’arma davvero micidiale, e sparò ben tre caricatori sui civili, da tre metri di distanza, facendone scempio.
Fu una strage davvero odiosa perché, contrariamente alle disposizioni del codice militare, furono uccise persone già arrestate e che non avevano affatto assalito e danneggiato le strutture della saponeria. I bombardamenti dei giorni precedenti avevano, infatti, creato dei varchi nelle mura che racchiudevano, in un ampio spiazzale, molte vasche ove era contenuto il sapone molle pronto per la vendita. Era stato facile quindi, anche a donne e bambini, introdursi nel recinto per sottrarre, con scatole e piccoli contenitori, esigue quantità di sapone.
Le vittime accertate della strage furono sei: Antonio Diana di 50 anni, Vincenzo Messina di 40, Vincenzo Corbo di 22, Giuseppe Sanfilippo di 39, Giuseppe Salerno di 31, Alfonso La Morella di 43. Salvatore Salemi ha parlato di un bambino di circa 12 o 13 anni colpito allo stomaco ma, da ulteriori accertamenti, ad essere colpita sarebbe stata una bambina di 11 anni, Vincenza Todaro, ricoverata all’Ospedale di Canicattì il 14 luglio e deceduta il 20 successivo.
Il tenente colonnello Mc Caffrey fu in seguito nominato, dal comandante della 3° Divisione Truscott, SCAO (Senior Civil Affaire Officer), Ufficiale Superiore per gli Affari Civili, in pratica responsabile AMGOT dell’intera provincia di Agrigento. Era a tutti gli effetti un superprefetto; nella provincia di Agrigento un prefetto civile sarebbe stato nominato solo il 1° settembre 1943 nella persona dell’avvocato antifascista Antonino Pancamo. Caffrey, con l’avanzata delle truppe alleate nella penisola, il 26 ottobre 1943 divenne responsabile della Regione Militare Occupazione 2, corrispondente alle regioni Calabria e Basilicata, con quartier generale nella città di Matera. Avrebbe concluso la sua carriera partecipando alla guerra di Corea. Morì a Castle Point (New York) il 25 gennaio 1954; era nato a Boston il 2 giugno 1890.
Dei fatti di Canicattì, in una relazione ufficiale ben conservata negli archivi americani, si parlò come di “disordini” causati da “mancanza di cibo”. Del fatto nessuno avrebbe saputo nulla, a cominciare dal capitano Perkins, tornato a Canicattì il 6 settembre 1989, accolto con tutti gli onori.
Giovanni Bartolone si pone un’inquietante domanda: “Era Guarino Amella a conoscenza della strage? Fu informato della strage da qualche compaesano? In tal caso, perché accettò di collaborare con il nemico, che aveva ammazzato i suoi compaesani? L’Italia era ancora in guerra contro gli Alleati”. (Giovanni Bartolone, ibidem)
Gaetano Augello
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