SALVATORE SULLI, A Prizzi un mal riuscito palazzo di città

Nessuna famiglia nobile ha preso dimora a Prizzi negli ultimi trecento anni, e anche più, e di questo  ne ha risentito l’architettura civile del nostro paese dove non esistono palazzi nobiliari secondo i canoni estetici e architettonici di tali dimore: non v’è una casa un edificio che per l’ampiezza della pianta per la facciata esterna o per gli interni, con larghi  scaloni e ampie sale  decorate con stucchi e affreschi di artisti più o meno noti, abbia le fattezze e ricordi una residenza nobiliare rispecchiandone la ricchezza lo sfarzo il potere delle illustri famiglie che un tempo l’abitarono. 

Probabilmente l’ultima potente famiglia che vi dimorò fu quella dei Villaraut la cui residenza occupava grosso modo le case prospicienti quello che per l’appunto viene chiamato Piano Barone e l’attuale discesa Collegio; ma di questa nobile dimora baronale non rimane nulla.
A Prizzi per un diverso dispiegarsi della sua storia rispetto a tanti altri paesi dell’interno, e forse anche complice il clima, ai signorotti e alle nobili famiglie (i Del Bosco, i Bonanno di Roccafiorita etc.) che per diritto feudale avevano il dominio delle terre di Prizzi, ammesso che sapessero dove si trovassero questi loro possedimenti, mai venne in mente di passarvi una parte dell’anno, fosse solo d’estate, e perciò costruirvi una dimora degna del loro nobile casato.
Non è avvenuto quello che invece e avvenuto in altri centri del circondario.
Anche un piccolo comune come Palazzo Adriano, che con Prizzi ha una storia in parte comune, possiede alcuni palazzi un tempo appartenuti a famiglie aristocratiche: Palazzo Dara, già della nobile famiglia greco-albanese, è sede ora del municipio e nelle ex scuderie del piano terra ospita il neonato museo “Nuovo Cinema Paradiso”; o ancora Palazzo Mancuso che si affaccia anch’esso sulla meravigliosa piazza che fu la dimora del barone Mancuso. E così a Corleone Palazzo Cammarata sede del comune o a Lercara Friddi Palazzo Palagonia e Palazzo Sartorio; ma anche a Castronovo dove Palazzo Giandalìa con i suoi magnifici affreschi ospita un museo della musica e una sala convegni.
Questi palazzi infatti un tempo abitati da nobili famiglie per lo più adesso sono diventati di proprietà dei comuni che li hanno adibiti a sedi municipali o a museo. 
A Prizzi invece ci sono solo abitazioni borghesi appartenute a quelle famiglie (non nobili per origine) di possidenti e di gabellotti esponenti di quella classe sociale che si cominciò ad affermare nei secoli XVIII e XIX: una borghesia agraria provinciale retriva e poco illuminata che dell’aristocrazia non possedeva né il gusto né le raffinatezze e – chissà - neanche le disponibilità finanziarie per potere costruire dimore di un certo tipo. In breve, tanti Sedara ma nessun Gattopardo. 
Non avendo dei palazzi degni di questo nome - ed ecco dove volevamo andare a parare -, allorquando agli inizi degli anni ‘80 del ‘900 si avvertì l’esigenza di dotare di sedi più adeguate le maggiori istituzioni cittadine, si è rimediato con soluzioni poco convincenti e i risultati si sono rivelati obiettivamente deludenti, per cui alla fine Prizzi, con una storia millenaria alle spalle, si trova ad avere delle sedi istituzionali poco confacenti al ruolo di importante centro che riveste nel territorio. Qui basti ripercorrere le vicende della genesi dell’attuale Palazzo comunale e della (separata) aula consiliare.
Fallito, anche per una indagine della magistratura, il tentativo di costruire ex novo il municipio nell’attuale piazza Canzoneri di fronte l’ufficio postale, si vagheggiò da parte di alcuni esponenti politici (più illuminati), un progetto per dotare Prizzi di un vero grande palazzo comunale trasformando, al contempo, l’aspetto del corso Umberto con la realizzazione di accoglienti porticati.
L’idea era quella di un completo restyling, una ridefinizione dello spazio che includeva l’attuale sede principale del municipio allora occupato dalle case delle famiglie Sparacio e Cannella e, quasi di fronte, dei locali dell’ex Opera Pia dove ora si trova la biblioteca comunale: si sarebbero dovute acquisire contestualmente le case Sparacio e Cannella e creare, in un'unica soluzione, un solo edificio omogeneo prevalentemente con funzioni di rappresentanza, ubicandovi all’interno una elegante aula consiliare un’ampia sala convegni il gabinetto del sindaco e gli uffici della segreteria generale, relegando gli uffici burocratici nelle altre sedi sparse nel centro della città e creando poi un ampio porticato a piano terra.
Onde poi spezzare la conformazione lunga e stretta di corso Umberto, si voleva liberare uno piccolo spazio per realizzare una piazzetta adiacente alla chiesa di San Leonardo, e infine ristrutturare i locali dell’ex Opera Pia con caratteristiche architettoniche similari al palazzo comunale di fronte, in maniera da creare un contesto stilisticamente più uniforme ed equilibrato con un porticato anche qui, che facesse da pendant a quello del palazzo comunale. 
Il progetto era concretamente realizzabile perché, in quel periodo storico, le risorse finanziarie non mancavano di certo, ma mancarono purtroppo una visione unitaria e una ferrea e concorde volontà, per poco coraggio, per incapacità di superare ostacoli burocratici e di varia altra natura, o per la mera opportunità di non vedere compromessi contingenti interessi di bottega che spesso avevano la priorità su tutto e quindi anche su una visione politica lungimirante. Insomma quella classe politica non riuscì a volare alto e stendere –come si dice- il passo oltre la propria ombra.
E così - alla fine - non se ne fece nulla o, a voler dir proprio, qualcosa in parte si fece e secondo noi anche male. 
Non potendosi o non volendo acquisire contemporaneamente i due edifici per fare un unico grande palazzo, si acquisì soltanto l’immobile della famiglia Sparacio, ma non si creò all’interno una sala dove celebrare i consigli comunali, anche perché ci fu chi, rimaneggiando l’originario progetto (i lavori si realizzarono a metà degli anni anni ‘90), nella ripartizione dello spazio interno, volle dare priorità in maniera insensata alla stanza del sindaco a scapito della sala consiliare. Anche esternamente il manufatto convince poco. Pure a voler tralasciare quella improbabile scritta in latino e quel portoncino che sembra più l’ingresso di una privata dimora piuttosto che - come invece avrebbe dovuto essere - il sontuoso accesso al più importante palazzo pubblico di Prizzi, non si capisce perché non si procedette a riattare l’originaria facciata mantenendo i vecchi balconi e utilizzando la vecchia tipica pietra grigia sì da ottenere un prospetto più in armonia con il contesto urbano del nostro paese.  
Ma anche la facciata della Biblioteca Comunale in corso Umberto, con quelle aperture ad arco a tutto sesto, pesantemente rivestite di pietra, estranee ai sistemi di costruzione della tradizione architettonica locale, ricorda casomai uno stile più tipico dell’Italia centro-settentrionale e vale perciò come una nota stonata. 
Quando alla limitatezza di spazio si volle rimediare, parecchi anni dopo, acquisendo finalmente le limitrofe case Cannella, era troppo tardi. Così adesso si hanno due edifici ristrutturati in tempi diversi, con stili differenti che, seppure l’uno accanto all’altro e comunicanti tra loro, non hanno fatto un grande palazzo di città: sono rimasti due corpi separati dove gli ambienti, creati in due diverse fasi senza un complessivo disegno unitario, non risultano distribuiti al meglio. 
La conseguenza più appariscente è che non si ricavò all’interno nemmeno questa volta un’aula consiliare che, oltre che una deficienza, costituisce di per sé una anomalia, anomalia tutta “prizzitana” del non avere la sala consiliare nella sede principale del municipio, cioè all’interno della... domus prixiensis, ma in un altro sito semi nascosto, rarissimo esempio tra gli ottomila comuni d’Italia, come avere il salotto di casa, quella che dovrebbe essere la stanza più bella dell’appartamento dove si ricevono gli ospiti, in un locale fuori mano e non già nella casa dove uno abita. 
Ma alla necessità di disporre di un luogo dove riunire il Consiglio comunale chi ci governava ci aveva già pensato, affittando prima i locali dell’ex cinema, e poi - ed eccoci giunti al capolavoro - nell’anno domini 2005 con la scelta, discutibilissima ed esteticamente - ci permettiamo di dire- anche di pessimo gusto - di andare a ristrutturare i locali dell’ex palestra per adibirla a sala consiliare e non pagare più canoni di affitto, come fu detto nelle roboanti dichiarazioni di allora. Inaugurata in pompa magna nel 2007 dal neo sindaco di centro-sinistra, ci ritroviamo così ad avere per aula consiliare quel “largo corridoio” sotto lo stradale dove magari sopra la tua testa un autobus dell’AST fa manovra mentre assisti a un consiglio comunale, a cui si accede con quella scala scomoda e storta o con quell’orrendo ascensore mai utilizzato e mai in funzione; insomma una cosa brutta e mal riuscita che appare anche poco decorosa per ungrosso comune come Prizzi. 
In definitiva, oltre che la “malasorte” di non avere avuto a Prizzi delle famiglie nobili che ci hanno lasciato in eredità sontuosi palazzi, anche la classe politica ha concorso con le sue improvvide decisioni, prese sul capo delle future generazioni, a consegnarci per sempre questo stato di cose: il sempre umano beninteso, ma ci auguriamo non di un secolo o due come pensava don Fabrizio principe di Salina, tanto per restare in tema, dopo l’arcinoto colloquio con Chevalley nel capolavoro di Tomasi di Lampedusa. Forse – non si può mai sapere - anche molto prima di un secolo finalmente Prizzi avrà un bellissimo ed importante palazzo municipale con all’interno una splendida aula consiliare degni della nostra amabile città e dei suoi concittadini. 
Prizzi, aprile 2020                                                                                         


Salvatore Sulli







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