Gaetano Augello,LE VITTIME DI MAFIA ROSARIO LIVATINO, ANTONINO E STEFANO SAETTA

Antonino Saetta
La fine del secolo ventesimo vedeva la città di Canicattì in controtendenza rispetto alla crescita economica e culturale che l’aveva caratterizzata negli ultimi decenni dell’Ottocento. La comunità era, altresì, scossa da una serie impressionante di esecuzioni mafiose che avevano avuto il momento più sconvolgente nell’uccisione di due giudici: il primo, Antonino Saetta, giunto ormai al vertice di un lungo servizio in favore dello Stato, ucciso insieme al trentacinquenne figlio Stefano; il secondo, Rosario Livatino, ancor giovane e con attitudini che ne facevano presagire una brillante carriera. 

Antonino Saetta nacque a Canicattì il 25 ottobre 1922, terzo dei cinque figli del maestro elementare Stefano e di Maddalena Lo Brutto. Entrò in Magistratura nel 1948: come prima sede gli fu assegnata Acqui Terme, in provincia di Alessandria, ove fu pretore e poi giudice istruttore presso il Tribunale; svolse quindi le funzioni di giudice a Caltanissetta, dal 1955 al 1959, e a Palermo, dal 1960 al 1969; dal 1969 al 1971 fu procuratore della Repubblica presso il Tribunale di Sciacca. Nel biennio 1976-78 fu consigliere presso la Corte d’Assise di Appello di Genova e, quindi, ancora giudice a Palermo e presidente di Corte di Assise di Appello a Caltanissetta nel biennio 1985-1986. 
Al momento dell’uccisione, avvenuta la sera di domenica 25 settembre 1988, sulla statale 640 tra Canicattì e Caltanissetta, svolgeva il ruolo di presidente della prima sezione della Corte di Appello di Palermo. Insieme ad Antonino fu ucciso il figlio Stefano. 
Ai funerali, celebrati il 27 settembre nel Duomo di Canicattì a spese del Comune, partecipò, insieme a numerosi autorevoli esponenti della Magistratura e del mondo politico, tra cui il presidente della Commissione Parlamentare Antimafia Gerardo Chiaromonte, il presidente della Repubblica Francesco Cossiga, giunto in automobile insieme all’allora ministro per i rapporti con il Parlamento Sergio Mattarella. Il rito fu celebrato da mons. Luigi Bommarito, da poche settimane promosso dalla diocesi di Agrigento all’arcidiocesi di Catania. Il presule, nella sua omelia, si rivolse direttamente al presidente Cossiga con queste parole: “Talvolta, Signor Presidente, pare che la coscienza dello Stato vada in frantumi”. E, dopo aver condannato mafia, corruzione e pizzo, raggelò tutti ponendo con forza una domanda rivelatasi, purtroppo, non retorica: “A chi toccherà la prossima volta?”. Era presente in chiesa anche il giudice Rosario Livatino. 
Antonino e Stefano Saetta furono commemorati in Consiglio Comunale due giorni dopo l’eccidio, nella seduta del 27 settembre. 
Sul periodico cittadino "La Torre" del 9 ottobre 1988 fu pubblicato un articolo, non firmato, dal titolo "Alla presenza del Presidente della Repubblica – Commosso omaggio di Canicattì al giudice Saetta e al figlio Stefano". L’articolo però non comparve sulla prima pagina - dove campeggiava un altro titolo "Spiantare i vigneti- Conviene" e si parlava anche dei problemi del traffico - ma nella terza pagina. 
Sorprendente l’incipit dell’articolo, assai breve peraltro, sulla strage mafiosa: “Nonostante "La Torre" non si occupi di cronaca stretta, non possiamo non spendere alcune righe in memoria del dott. Antonino Saetta, vittima, insieme al figlio Stefano, di un agguato nella notte del 25 settembre…”. 
Sull’altro periodico locale, "Canicattì nuova", il 9 ottobre 1988 comparve, come prima notizia, una breve cronaca dei funerali: "Tutta Canicattì ha dato l’ultimo saluto al dott. Antonino Saetta e a suo figlio Stefano". 
Rosario Livatino nacque a Canicattì il 3 ottobre 1952 da Vincenzo e  Rosalia Corbo. Il nonno paterno, Rosario fu Vincenzo, era stato l’ultimo sindaco socialista di Canicattì, prima dell’avvento del fascismo. Anche lo zio Vincenzo era stato consigliere comunale e protagonista - prima ancora di Rosario - della vita politica canicattinese, anche lui nel movimento socialista. Un terzo zio, Gaetano, il più grande dei fratelli, aveva invece svolto la professione di medico all’interno dell’ospedale di Canicattì.
Il 7 dicembre ricevette il battesimo nella Chiesa Madre-Parrocchia San Pancrazio di Canicattì. La sua casa natale si trovava, infatti, in via Noto, angolo via Torino (parte della casa Sciaulino). Lì i suoi genitori abitavano, in affitto, dal giorno del ritorno dal viaggio di nozze. La casa di viale Regina Margherita 168 era stata, intanto, acquistata nel suo complesso dall’avvocato Rosario Livatino – in data 6 novembre 1950 - con atto di vendita sottoscritto presso il notaio Luigi Grillo. Rosario Livatino senior continuò ad abitare nella sua casa di via Ciro Menotti e assegnò la nuova casa al figlio Vincenzo che vi si sarebbe trasferito dopo qualche anno. Il dottor Vincenzo ne sarebbe proprietario, però, solo al decesso della mamma signora Rosa Lattuca - il 18 novembre 1982 - con l’istituto della “riunione di usufrutto alla nuda proprietà”.
Rosario fece la prima comunione il 26 luglio 1964 a Napoli, nell’Istituto Salesiano “S. Caterina da Siena”, ove viveva la zia paterna suor Maria Lattuca
Dal 1958 al 1963 Rosario frequentò le Scuole Elementari “Edmondo De Amicis” nell’ex convento dei padri domenicani di piazza Dante. Dal 1963 al 1966 proseguì il corso di studi nella Scuola Media ”Giovanni Verga”.
Dal 1966 al 1971 frequentò il Liceo Classico “Ugo Foscolo” di Canicattì, allora ubicato in un’ala del plesso delle Scuole Elementari “Francesco Crispi” di Borgalino, nel centro storico della città. Nel mese di luglio del 1971 conseguì la maturità classica col voto 57/60, il voto più alto assegnato nella sessione di esami di quell’anno nel Liceo “Foscolo”. 
Da alunno dell’ultimo anno del Liceo Classico “Foscolo” di Canicattì, nell’aprile del 1971 diede il suo contributo alla pubblicazione di un numero unico, "Dimensione giovane", ove curò in particolare un’inchiesta sulla crisi della scuola. Il 14 novembre dello stesso anno, appena iscritto all’Università, sul periodico canicattinese "Rilancio" pubblicò un articolo su "Pornografia e consumismo".
 Frequentò a Giurisprudenza nell’Università degli Sudi di Palermo ove, il 9 luglio 1975, conseguì la laurea in Giurisprudenza col voto 110 e lode.
 Dal 1° dicembre 1977 al 17 luglio 1978 prestò servizio come vice direttore in prova presso l’Ufficio del Registro di Agrigento.
  Il 18 luglio 1978 entrò in Magistratura come uditore giudiziario presso il Tribunale di Caltanissetta. Dal 24 settembre 1979 al 20 agosto 1989 fu sostituto procuratore presso la Procura della Repubblica di Agrigento. Dal 21 agosto 1989 fu giudice a latere nel Tribunale di Agrigento-Sezione penale.
    Di carattere assai schivo, evitava presenze che potessero all’esterno scalfire l’autonomia del suo operato. Tenne tuttavia due conferenze indicative della sua formazione culturale e religiosa: su "Fede e diritto" si intrattenne il 30 aprile 1986 nel salone delle suore vocazioniste di via Cirillo a Canicattì; "Il ruolo del giudice nella società che cambia" fu, invece, il tema svolto il 7 aprile 1984 durante una conferenza organizzata dal Rotary Club di Canicattì. 
     Il 21 settembre 1990, mentre raggiungeva il suo ufficio di Agrigento, fu ucciso, in una scarpata adiacente alla statale 640, mentre cercava disperatamente di sfuggire ad un commando mafioso. 
      La Giunta comunale presieduta dal sindaco Giovanni Asti si riunì d’urgenza alle ore 18 dello stesso 21 settembre e convocò il Consiglio Comunale in seduta straordinaria per le ore 11 del giorno successivo. Le esequie, a spese del Comune, si svolsero nella chiesa di San Diego. Il Consiglio Superiore della Magistratura tenne in quella circostanza, nella sala del Consiglio Comunale di Canicattì, una seduta solenne. 
      Su "La Torre" del 14 ottobre 1990 fu pubblicato un articolo di Isabella Cacciato: "In ricordo di Rosario Livatino". Nella stessa data Canicattì nuova pubblicò in basso sulla prima pagina un breve trafiletto del direttore Calogero Montanti dal titolo: "Tutti in lutto per l’orribile uccisione del magistrato Rosario Livatino". 
      Per assicurare maggiore impatto pubblicitario a scritti e filmati non sempre pregevoli, Rosario Livatino è stato indicato come il giudice ragazzino con espressione abusata ed erroneamente attribuita al presidente della Repubblica Francesco Cossiga. A dieci anni dall’efferato delitto, Cossiga ha scritto una lettera ai genitori del giudice per stabilire la verità dei fatti: “Non ho mai risposto prima all’ingiusta accusa di aver formulato nei confronti della nobilissima figura del vostro amato figliolo Rosario, giudice coraggioso e integerrimo, esemplare servitore dello Stato, martire civile e, io credo, santo nel senso cristiano del termine per la sua fede e per lo spirito con il quale ha affrontato la morte, il giudizio in senso dispregiativo di “giudice ragazzino”, accusa che mi è stata mossa più volte e che ha dato perfino occasione di titolare in questo modo un film, che io ritengo non del tutto adeguato alla sua vita e al suo sacrificio. Non ho mai reagito”.
“Lo faccio ora perché questa accusa mi è stata nuovamente rivolta. Io ho usato, evvero!, questo termine ”giudici ragazzini”; ma mai l’ho fatto rivolgendomi a vostro figlio: bensì in senso affettuoso e comprensivo nei confronti di giovanissimi giudici che l’insipienza del Consiglio Superiore della Magistratura mandò allo sbando destinandoli a prestar servizio, quasi appena terminato l’uditorato!, nel nuovo tribunale di Gela”. ("La Lettera di Francesco Cossiga ai genitori del giudice Rosario Livatino", in "Canicattì nuova", Canicattì 7-21 luglio 2002)
A ricordo dei due giudici canicattinesi trucidati dalla mafia, sul prospetto del Palazzo di Città fu collocata, nel settembre del 1991, questa lapide:

CANICATTI’
RICORDANDO IL SACRIFICIO DEI MAGISTRATI CONCITTADINI
ROSARIO LIVATINO E ANTONINO SAETTA
VITTIME DELLA MAFIA
CHE EBBERO INNATO IL CULTO QUOTIDIANO DELLA GIUSTIZIA
QUESTO MARMO IN LORO MEMORIA DEDICA
E AUSPICA UNA COLLABORAZIONE FRATERNA
CHE SUPERI L’OMERTA’ E LA PAURA
PER IL TRIONFO DELLO STATO E DEL DIRITTO
IN UNA SERENA CONVIVENZA CIVILE
25 SETTEMBRE 1991

Nel pomeriggio del 9 maggio 1993 i genitori di Rosario, nel Palazzo Vescovile di Agrigento, incontrarono  papa Giovanni Paolo II in visita nella Città dei Templi. Fu un momento di straordinaria emozione che avrebbe indotto, dopo alcune ore, il pontefice ad improvvisare, nel Piano San Gregorio davanti al tempio della Concordia, il drammatico invito alla conversione rivolto ai mafiosi, che sarebbe rimasto negli annali della Chiesa.
Nel mese di settembre del 1993, a ricordo di Rosario Livatino, Antonino e Stefano Saetta, fu messo a dimora, in un’aiuola di largo Aosta, un carrubo, come simbolo della legalità e della lotta alla mafia.   
GAETANO AUGELLO

FOTOGALLERIA

Rosario Livatino

Stefano Saetta
Funerali del giudice Livatino
Scuola Media "Salvatore Gangitano" - Dipinto
realizzato dagli alunni in onore di Rosario Livatino
Testo dattiloscritto della conferenza "Fede e diritto" con correzioni del giudice
Da sinistra: Vincenzo Livatino, Rosario Livatino e il nonno Rosario




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