GAETANO AUGELLO, La vanedda di lu tafaru

Nella foto: via Tommaso Rao, 
angolo corso Garibaldi. 
(tratta dal volume di Alfonso Tropia 
"Memorie autobiografiche 1886-1954").
Con questo appellativo fu indicata a Canicattì per molti decenni – tra Ottocento e Novecento - l’attuale via Tenente Tommaso Rao che collega il viale Regina Margherita al corso Garibaldi. Fino al 31 dicembre 1928 tale arteria era parte integrante della via Risorgimento, meglio conosciuta come "la vanedda di lu cannuni". In tale data il podestà del Comune di Canicattì, colonnello Antonino Curcio, ne decise l’intitolazione al tenente canicattinese Tommaso Rao caduto in combattimento a San Martino del Carso il 28 agosto 1915. 
La denominazione popolare di "vanedda di lu tafaru" è collegata ad una secolare usanza, tipica della società contadina. A fine giugno o ai primi di luglio giungevano a Canicattì da Favara i produttori di fichi selvatici che con il nome di "tafaru" erano venduti – appunto nell’attuale via Tenente Rao (angolo corso Garibaldi) - nella bottega del sensale Cimino (padre di Diego, poi monaco francescano col nome di padre Elia, divenuto Commissario di Terrasanta, Predicatore Provinciale e Guardiano).

I frutti del fico selvatico – detto "tafaru" o "ticchiara" o "caprifico" –venivano utilizzati per "caprificare" e cioè agevolare la fecondazione dei fiori del fico domestico; i frutti del fico selvatico venivano appesi ai rami della ficaia domestica perché i fichi domestici fossero fecondati e giungessero a maturazione. "La ticchiara fa la ficu", diceva uno dei venditori favaresi, “cumpari Taniddu”. 

"Lu tafaru" veniva annunziato dal pubblico banditore anche dal piano del Castello perché tutti sentissero. Venivano i compratori, acquistavano con la misurazione mediante i “quartaroni”; le bisacce si svuotavano e i favaresi si rimettevano sui muli alla volta delle proprie case. 


GAETANO AUGELLO 

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