GIANCARLO MONINA, "Lelio Basso avvocato in Sicilia negli anni Cinquanta"

Canicattì, 7 aprile 2018
Rivolgo in primo luogo un caloroso ringraziamento al Centro Pio La Torre e al suo presidente Vito Lo Monaco, che hanno voluto accogliere, e splendidamente rilanciare, la proposta della Fondazione Lelio e Lisli Basso di organizzare in Sicilia una tra le più significative iniziative delle celebrazioni per il quarantennale della scomparsa di Lelio Basso. Un ringraziamento che trova ulteriori motivazioni per la preziosa occasione di aver voluto affiancare alla figura del leader socialista quella di Pio La Torre nel loro comune impegno per la democrazia e la legalità costituzionale.

Vite parallele, come recita il titolo, ma destinate a incontrarsi idealmente sul terreno della lotta politica e sociale nello scenario della Sicilia degli gli anni Cinquanta del Novecento. 
Se il legame di Pio La Torre con l'isola, suo luogo di nascita e di vita, è naturalmente ovvio, lo è meno per Basso, originario della Liguria e milanese per elezione. I suoi primi contatti risalgono all'immediato secondo dopoguerra quando, segretario del Partito socialista, aveva trovato in Sicilia un forte nucleo di collaboratori che gli rimarranno vicini nel corso degli anni. A quell'epoca, proprio negli stessi giorni in cui si consumava la "strage di Canicattì", nel dicembre 1947, Basso era impegnato all'Assemblea costituente nelle votazioni finali di una Carta costituzionale che lo aveva visto tra i principali protagonisti quale membro della Commissione dei 75 e della prima Sottocommissione, incaricata di redigere la parte relativa ai principi generali e ai diritti di libertà civile e politica. In quella sede fu l'ispiratore di due importanti articoli della Costituzione italiana: l'articolo 3, in particolare il secondo comma, e l'art. 49. Quest'ultimo proclama il diritto di tutti i cittadini ad associarsi liberamente in partiti politici per concorrere a determinare la politica nazionale. Un articolo che dava, o avrebbe dovuto dare, al partito politico un rilievo costituzionale. Ma, qui vorrei sottolineare, il secondo comma dell'articolo 3, uno dei 12 principi fondamentali della Repubblica italiana, che recita:
«È compito della Repubblica rimuovere gli ostacoli di ordine economico e sociale che, limitando di fatto la libertà e l’eguaglianza dei cittadini, impediscono il pieno sviluppo della persona umana e l’effettiva partecipazione di tutti i lavoratori all’organizzazione politica, economica e sociale del paese».
Con questa formula si affermava, e ancora oggi si afferma, oltre al principio dell'uguaglianza formale di tutti i cittadini, anche il principio dell'uguaglianza sostanziale, che si può realizzare soltanto conferendo a tutti i cittadini la loro dignità economica e sociale. 
Più di ogni altro è questo il principio che ispirò Basso e La Torre e li rese idealmente uniti nelle loro battaglie per la democrazia.
Del vasto e articolato impegno politico e intellettuale di Lelio Basso, vorrei qui evidenziare alcuni momenti che più lo avvicinano a La Torre e alla Sicilia.
Uno dei momenti più intensi della sua battaglia democratica fu rappresentato dalla richiesta, da lui avanzata nell'ottobre del 1951, di istituire una Commissione di inchiesta parlamentare sul comportamento delle pubbliche autorità nei confronti del banditismo siciliano (in sostanza un possibile precedente della Commissione d'inchiesta sulla mafia che verrà istituita dieci anni dopo). Nel clima segnato dalle rivelazioni emerse nel processo di Viterbo sulla Strage di Portella della Ginestra del 1° maggio 1947, relative alla connivenza tra i corpi dello Stato, la mafia e il banditismo siciliano, Basso annunciò la sua iniziativa in un discorso che fu un drammatico atto di accusa contro il governo De Gasperi e l'allora ministro dell'Interno Mario Scelba.
La denuncia della connivenza tra gli apparati dello Stato e la mafia caratterizzò anche tutta la sua vasta produzione pubblicistica a partire dai primi anni Cinquanta, sulle pagine dei quotidiani e dei periodici.
L'impegno che lo portò più a diretto contatto con la realtà siciliana fu però nella sua veste di avvocato. Sin dall'agosto del 1948 Basso aveva aderito al Comitato nazionale di solidarietà democratica, un’associazione promossa da comunisti e socialisti che aveva riunito giuristi, avvocati, personalità della politica e della cultura con l’obiettivo di garantire la difesa legale e l’assistenza morale nei processi intentati dalla magistratura contro gli ex partigiani e contro gli imputati di reati commessi nel corso delle lotte sociali, politiche o sindacali. L’associazione, presieduta da Umberto Terracini, era organizzata sulla base di Comitati provinciali e comunali, alcuni dei quali dotati di collegi di difesa permanenti, e non si limitava al patrocinio giudiziario, ma interveniva anche attraverso campagne pubbliche, il soccorso materiale ai condannati e alle loro famiglie. Basso era membro del Collegio di difesa nazionale di cui fu uno dei principali protagonisti, insieme ad altri avvocati di fama, come lo stesso Terracini, Giuliano Vassalli, Pasquale Filastò, Domenico e Fulvio Rizzo, Mario Marino Guadalupi, Fausto Gullo. 
Basso partecipò a numerosi processi, in tutta Italia, dando prova delle sue riconosciute abilità oratoria e tecnica attraverso le quali non solo mostrava l’inconsistenza delle accuse e il loro carattere discriminatorio, ma anche a rivoltare contro gli stessi accusatori (le forze dell’ordine e le autorità pubbliche) l’addebito della violazione delle leggi repubblicane. Le arringhe di Basso si sviluppavano in modo eloquente a partire dall’analisi del contesto storico e sociale in cui si inquadravano gli eventi, entrando poi nel merito degli aspetti processuali e richiamando infine lo spirito e le norme del dettato costituzionale con cui rivendicava la legittimità dei cittadini a opporsi alle violazioni della libertà. A parte i riferimenti giuridici, la forza persuasiva della sua prosa civile risiedeva in particolar modo nella capacità di evocare il vissuto degli imputati, la dimensione “umana” dei loro contesti di vita e di lotta legandoli strettamente alla speranza di riscatto sociale. Ogni processo era un microcosmo di storia, di sofferenze e di speranze, di lotte e di culture, che spesso non raggiungeva gli onori della cronaca nazionale, relegato in brevi notizie sui giornali locali e che tuttavia diventava patrimonio della memoria delle comunità. 
Alcuni dei processi più significativi si svolsero in Sicilia: nel maggio 1950 entrò nel Collegio di difesa di parte civile nel processo per l’assassinio di Placido Rizzotto, avvenuto nel marzo 1948 per mano della mafia; nel 1951 difese alla Corte d'Assise di Siracusa quasi l'intero paese di Carlentini messo sotto accusa per le lotte sociali.
Nel marzo 1952 fu protagonista nel processo presso la Corte d’assise di Agrigento per la strage di Canicattì, che oggi ricordiamo: l’uccisione di tre manifestanti e di un carabiniere avvenuta nel dicembre 1948 a seguito degli scontri tra scioperanti e forze dell’ordine spalleggiate da “mafiosi” al soldo degli agrari. Il copione aveva portato alla sbarra 40 scioperanti con l’accusa di “strage”. Basso ebbe il compito di difendere il principale imputato, il segretario della sezione comunista Antonino Mannarà, ma la sua arringa del 12 luglio 1952 si propose, come di consueto, l’obiettivo più generale di smontare l’insieme delle tesi accusatorie dimostrando la «parzialità» delle indagini condotte dai carabinieri: incapaci di guardare in modo non pregiudizialmente ostile agli «avvenimenti politico-sociali» e prevalentemente preoccupati di escludere le proprie responsabilità. Tutti gli imputati furono assolti per il reato di strage e solo alcuni condannati per reati minori (le cui pene furono poi ridotte nel ricorso in appello, nel 1953). 
Negli anni successivi Basso difese i lavoratori di Comiso coinvolti negli scontri con le forze dell'ordine in cui aveva perso la vita il bracciante Dante Vitale. Ancora un altro importante processo siciliano, fu quello sull'omicidio di Salvatore Carnevale, il sindacalista socialista ucciso il16 maggio1955 a Sciara, in provincia di Palermo, da mafiosi armati dagli interessi dei latifondisti. Basso fu uno dei principali promotori della raccolta di fondi per istruire il processo contro gli assassini, denunciati dalla madre di Salvatore, e fu poi nel Collegio di difesa della famiglia nel processo che iniziò nel marzo 1960 a S. Maria Capua Vetere. 
Il rapporto ideale tra Basso e La Torre non si esaurisce però nell'impegno legale del leader socialista in terra siciliana. Sono molti i fili, politici e intellettuali, che li legano ulteriormente. Mi limito a ricordare, in conclusione, la comune interpretazione della questione meridionale come battaglia democratica nazionale e battaglia a favore di una coscienza politica autonoma del mondo contadino, unica via per la sua emancipazione. Idee ereditate, tra gli altri, da Gaetano Salvemini e Antonio Gramsci. 
infine, un altro filo che li lega, già evidenziato da Vito Lo Monaco, è l'impegno internazionalista per la pace e la democrazia globale che conduce Basso a partecipare e a costituire Tribunali d'opinione internazionale per denunciare la guerra in Vietnam e i regimi dittatoriali in America latina e nel mondo, e Pio La Torre a ingaggiare una battaglia per la pace contro l’installazione dei missili nucleari della Nato a Comiso e per il disarmo. Battaglia che contribuì tragicamente a decretarne l'uccisione per mano della mafia.
Le lotte di Basso e di La Torre contro le ingiustizie sociali, contro le diseguaglianze economiche, contro la mafia, contro il clientelismo e la corruzione, contro i pericoli di guerra, per la concreta attuazione della democrazia e della legalità costituzionale, sono ancora drammaticamente attuali.
 di Giancarlo Monina 


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