La scelta di San
Pancrazio, vescovo di Taormina, come patrono di Canicattì è collegata allo
sviluppo ed all'ampliamento dell’antico casale di modeste proporzioni, a
seguito della concessione al signore di Canicattì Andrea De Crescenzio della
cosiddetta "licentia populandi". E proprio da Taormina, secondo
alcuni storici, sarebbero giunte circa trecento persone che avrebbero portato
con sé anche il culto del proprio patrono, San Pancrazio, che fu scelto come
patrono anche della nuova Canicattì.
Pancrazio,
nativo di Antiochia in Cilicia, fu consacrato vescovo da San Pietro e mandato,
nell’anno 40, al tempo dell’imperatore Caligola, in Sicilia come vescovo di
Taormina. La diocesi di Taormina, oggi soppressa, fu una delle più antiche in
Sicilia; quando la città cadde sotto Ruggero il Normanno fu annessa alla nuova
diocesi di Troina, fondata nel 1080 dallo stesso Ruggero che ne fece il centro
del suo governo. In seguito sia Taormina che Troina furono inglobate nella diocesi
di Messina.
A Taormina San
Pancrazio istituì un collegio di sacre vergini e diaconesse; morì martire
all’età di circa novant’anni, al tempo dell’imperatore Traiano, il cui governo
iniziò nel 98 d.C. Gli storici canicattinesi Alfonso e Giovanni Tropia, e
quanti li hanno pedissequamente seguiti, hanno indicato l’anno 40 come l’anno
della morte del santo: “… per opera di Artogato con replicati corpi di spada
ricevette il martirio nel luglio del 40”. Con questa data però non si
spiegherebbe nulla della vicenda di San Pancrazio.
Più verosimile
la tesi del gesuita siracusano Ottavio Gaetani (1566-1620) che dedica a San
Pancrazio una delle biografie dell’opera postuma "Vitae Sanctorum
Siculorum": "Vixit egregius Pastor ad summam senectutem et Traiani
principatus inizia attigit" (l’insigne pastore arrivò a tarda vecchiaia e
visse fino agli inizi del regno di Traiano).
A San Pancrazio,
già venerato nella prima chiesa parrocchiale di Canicatti - detta del
Purgatorio - che si trovava accanto al Castello dei Bonanno, fu dedicata la
nuova Chiesa Madre completata nel 1765. Il rapporto tra San Pietro e San
Pancrazio è sottolineato dalla venerazione delle statue dei due santi, in una
stessa chiesa, sia a Taormina sia a Canicattì. Dai taorminesi sarebbero state
introdotte a Canicattì alcune loro tradizioni; nella notte di Natale, ad
esempio, proprio in onore dell’apostolo Pietro, a Canicattì come a Taormina
veniva bruciato un tronco d’albero sul sagrato della Chiesa Madre.
Secondo la
ricostruzione del Gaetani il culto del santo a Canicattì sarebbe stato
anteriore alla venuta in città dei taorminesi e risalirebbe al periodo
bizantino. La devozione al santo col passare degli anni è diminuita; occorre
tuttavia rilevare che nel 1600 mentre in molti comuni siciliani furono cambiati
i santi patroni, a Canicatti San Pancrazio rimase il patrono della città, anche
se gli fu “affiancato” nel ruolo di “santo protettore” San Diego d’Alcalà.
Il 2 e 3 luglio,
si svolgeva la fiera di San Pancrazio e dai commercianti veniva pagato il
cosiddetto "assettito" che fu riscosso dalla "comunia" dei
preti della Matrice fino al 1843; da allora in poi divenne appannaggio del
Comune.
Nell’anno 1900,
a spese del barone Gaetano Adamo, fu realizzata la scalinata di accesso alla
Matrice. Sullo scenografico prospetto con annesso campanile, disegnato da
Ernesto Basile nel 1901 e realizzato tra il 1906 ed il 1908, si legge questa
epigrafe dettata dall’arciprete Luigi La Lomia:
DIVO . PANCRATIO
SICILIAE .
APOSTOLO
CIVITATIS .
PATRONO
CANICATTINENSES
MCMVIII
Contemporaneamente
alla sistemazione del prospetto – affidata all’appaltatore palermitano Antonino
Gattuso - fu costruito il campanile del lato sinistro e vi furono trasferite le
campane che si trovavano, da oltre un secolo, nel lato destro. La campana
grande, fusa "in loco", nel 1795, dal maestro campanaro
catanese Domenico Nico reca questa iscrizione sul lato esterno: “Votis fidelium
praesertim D. Aloysi Gangitano – T. 7,30”; in questo caso "votis
fidelium" sta per “con le offerte dei fedeli” piuttosto che “con le
preghiere”. In basso segue il bassorilievo di un piccolissimo ostensorio e, più
sotto ancora, si legge: ”Soli Deo honor et gloria – Dominicus Nico – 1795”. Le
altre due campane furono collocate nei primi del Novecento.
Per la realizzazione
del prospetto fu organizzata una questua tra i fedeli: furono raccolte 5.011,65
lire mentre le spese ammontarono a £ 15.500. Il disavanzo di £ 10.488,35 fu
coperto successivamente con altri contributi. L’arciprete Luigi La Lomia – in
carica dal 1886 al 1918 - vedeva così finalmente realizzata un’opera per cui si
era tanto battuto con la collaborazione del vicario Germano e del mansionario
Lo Coco.
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