Oggi abbiamo il piacere di incontrare Enza Cacciatore che, oltre ad
essere una scrittrice, colta e intelligente, è anche una docente di francese del
nostro Istituto ed è anche una mia cara amica.
Enza Cacciatore nasce a Licata, dove consegue la Maturità Magistrale per
poi laurearsi in Lingue e Letterature Straniere presso la Facoltà di Magistero
di Palermo. E’ sposata e madre di tre figli. Ha scritto fin da piccola ma non
ha mai voluto pubblicare le sue opere.
“Sara. Storia di una mula” è
il suo primo romanzo,e le auguro che sia il primo di una lunga serie. Voi
ragazzi lo avete già letto insieme ai vostri docenti, quindi lo introduciamo
brevemente. Prima di fare alcune riflessioni sulla storia di Sara vorrei
soffermarmi su due elementi importanti del romanzo che denotano lo spessore
culturale dell’autrice e la sua attenzione nella cura dei particolari, e cioè
la copertina e la frase di Emily Dickinson con cui si apre il libro. Dicevo
della scelta di rappresentare in copertina “Il ritratto di Dédie” di
Modigliani, il ritratto di una donna bellissima ma triste, un
dipinto che rimanda a una profonda malinconia, una donna di elegante bellezza ma fragile. Questo quadro sembra rappresentare perfettamente
la nostra Sara, un’opera da contemplare e da fruire come si contempla
e si fruisce di Dédie, la donna di Modigliani, così bella e così triste, con le
sue mani intrecciate, sottili e rassegnate; Dédie e Sara sono due opere d’arte
che ci trasmettono tristezza, malinconia, fragilità ed emozioni. E che dire
delle bellissime parole della poetessa americana Emily Dickinson? “Non conosco nulla al mondo che abbia tanto
potere quanto la parola. A volte ne scrivo una, e la guardo, fino a quando non
comincia a splendere”. Ed è proprio la magia della parola che ci svela la
vicenda di Sara.
Il romanzo è molto ricco di tematiche attuali, e ogni tema è un disagio esistenziale che invita alla riflessione: l’amore,
l’abbandono, il pregiudizio, l’aborto, la fuga, l’amicizia, la prepotenza, la
malattia, la prostituzione, la morte, il suicidio e in particolare la adozione,
che sembra perseguitare l’esistenza della protagonista.
Il romanzo prende avvio in uno dei
quartieri più degradati di Palermo e si snoda poi attraverso Milano e la sua provincia.
Sara è espressione del disagio esistenziale di tutte le donne che hanno sperimentato
le stesse vicissitudini della protagonista, la quale vive la disgrazia di
essere stata abbandonata dai genitori naturali a causa delle loro difficoltà
economiche, e che viene messa in un orfanotrofio e poi adottata. Una vita contraddistinta
dalla sofferenza e dalla privazione, che a un certo punto sembra godere di un
giusto riscatto, cui però segue immediatamente una definitiva sconfitta. Perché
la vita di Sara è destinata al fallimento, in modo ineluttabile. Come dice la
stessa protagonista “Zozza e lercia ero
nata, zozza e lercia sarei morta”, parole forti che fanno capire la
predestinazione al fallimento: una vita cominciata nella disgrazia non può che
terminare in disgrazia.
Sara è una donna
bella e pura, ma un marchio le si imprime indelebilmente addosso fin dai suoi
primi anni di vita: l’essere una mula.
Mula, come già sapete, nel nostro dialetto significa figlia
adottiva, e infatti, quella di Sara e’ una difficile storia di legami familiari
e affettivi. E forse il motivo per cui Sara si arrenderà senza reagire alle
tristi avversità della sua esistenza va ricercato proprio nel suo ingombrante
passato, il marchio della adozione.
Sara ha la possibilità di riscattarsi, quando viene adottata da una
famiglia benestante che la riempie di amore. I suoi compagni di classe la
deridono, in quanto mula, quindi vittima del loro pregiudizio, e allo stesso
tempo provano invidia per quella figlia di nessuno che è diventata ricca. Ha la
sfortuna di perdere il padre dopo pochi anni, quel padre che, innamorato dei
libri, le ripeteva sempre “sei il più bel
libro che abbia mai letto”. Crescendo perde anche la madre, conosce
l’amore, si sposa e diventa madre; ma ecco che, divenuta presto vedova,
interviene la presenza ingombrante di una suocera che non le permetterà mai di
rivestire il ruolo di madre: questa suocera, fredda, cattiva e dispotica, la
priverà della possibilità di crescere i suoi adorati figli, destinati a vivere
la stessa condizione della mamma: saranno portati in una casa famiglia. Sola e
disperata, si prostituisce per sopravvivere. E poi quell’episodio di gratuita violenza, quando
il frustato Antonio, ‘ntisu zibibbu,
ubriaco, la pesta quasi a morte, deturpandole il volto e rompendole le ossa del
corpo. Infine Sara si toglie la vita, lasciandosi cadere in un fiume, senza che
nessuno lo saprà mai.
La struttura del romanzo è originale, diviso in tre capitoli e in 16
disagi esistenziali, molti dei quali preceduti da incipit poetici, che
chiariscono ancor di più lo stato d'animo della protagonista. Lo stile è
scorrevole e i disagi esistenziali sono presentati sotto forma di flashback non
sequenziali, ma la bravura dell'autrice riesce a non creare disorientamento o
confusione nel lettore.
Una storia drammatica, contraddistinta dalla crudeltà della vita, che
raccontando una tragica storia umana riesce a far comprendere meglio l’essere
umano e la realtà in cui vive.
La storia di
Sara incarna le tante e diverse storie vissute dalla miriade di donne che
esistono in ogni parte del mondo; donne spesso vittime della loro stessa
condizione di essere donne, oppure vittime della brutalità e della forza fisica
maschile, ma spesso anche vittime della violenza psicologica subita da altre donne.
Sara ha solo bisogno di trovare un piccolo spazio nel mondo, dove poter vivere la sua fragile esistenza. Sara ha un animo innocente e puro, che non riesce a concepire la cattiveria e il male. Questo la rende innocua e incapace di reagire ai drammatici eventi che si susseguono nella sua vita, di lottare, di contrastarli e cambiarli. Succube della propria condizione di bambina abbandonata, lascia che tutto scorra, senza opporre alcuna resistenza. E senza resistenza da parte della fanghiglia del fiume, scivola in esso. Bellissimo il finale che riecheggia le parole di una famosa canzone di Fabrizio De Andrè, La canzone di Marinella: Sara, come Marinella, e come tutte le cose più belle, ha vissuto solo un giorno come le rose, belle, pure, fragili e caduche.
Sara ha solo bisogno di trovare un piccolo spazio nel mondo, dove poter vivere la sua fragile esistenza. Sara ha un animo innocente e puro, che non riesce a concepire la cattiveria e il male. Questo la rende innocua e incapace di reagire ai drammatici eventi che si susseguono nella sua vita, di lottare, di contrastarli e cambiarli. Succube della propria condizione di bambina abbandonata, lascia che tutto scorra, senza opporre alcuna resistenza. E senza resistenza da parte della fanghiglia del fiume, scivola in esso. Bellissimo il finale che riecheggia le parole di una famosa canzone di Fabrizio De Andrè, La canzone di Marinella: Sara, come Marinella, e come tutte le cose più belle, ha vissuto solo un giorno come le rose, belle, pure, fragili e caduche.
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