Riceviamo e pubblichiamo le
seguenti considerazioni sulla relazione Trenta anni di scuola del prof. Giuseppe Granata e sul saggio Storia di unantifascista – Giuseppe Granata di Gastone Manacorda, entrambi pubblicati in questo blog.
Lo contraddistinsero nel suo
magistero il rispetto assoluto dell’autonomia dei discenti, con cui ebbe a
stabilire un colloquio continuo, un dialogo teso allo sviluppo critico della
conoscenza sia storica che filosofica. Di alto valore, anche conoscitivo, le
pagine in cui affronta apertamente con gli studenti la tragedia rappresentata,
per lui comunista, dalla rivoluzione ungherese del 1956: pagine in cui - pur dichiarandosi fermamente critico dello
stalinismo, di cui denuncia i crimini in danno del movimento operaio -, difende
l’operato, in quell'occasione, dell’Urss.
• Il saggio di Manacorda è un
esempio importante d’indagine storica, fondata sulla ricerca e l’esame dei
documenti, scritto da uno storico cui tutti hanno riconosciuto una funzione di
maestro. Che fu anche amico e compagno di idee del Granata, in particolare nel
periodo in cui quest’ultimo insegnò nel liceo di Perugia. Pertanto traspare
viva in esso la passione conoscitiva di chi gli fu vicino, che appieno si
coglie nelle pagine in cui parla del suo ‘nicodemismo’ e delle sue idee
politiche. Specie di quelle che furono
fermamente critiche della politica del PCI nella seconda metà degli anni
’50.
• Della rivoluzione ungherese del ’56 Manacorda diede un giudizio diverso dal Granata, sostenendo che non fu, come ebbe a dire la vulgata stalinista, un fenomeno "controrivoluzionario" e dicendo, anzi, che l'intervento armato sovietico fu "il tragico punto di approdo di una politica sbagliata". E lo sviluppo della conoscenza storica ha dato ragione a lui e a chi, come Sartre, espresse allora un giudizio analogo.
• Ricorrendo il sessantesimo di
quel tragico evento del ’56, riteniamo opportuno rimandare anche all'intervista fatta da un giornalista allo storico
ungherese Laszlo Eorsi. Alla quale attribuiamo particolare significato e valore,
essendo Egli anche esponente dell’Istituto per gli studi sul 1956 di Budapest.
Egli sfata la volgare accusa di fascismo mossa allora dagli stalinisti al
comunista Imre Nagy, che, per le sue idee, venne poi anche impiccato nel 1958.
Interpretazione che stranamente collima, purtroppo, con quella che sui fatti
del ’56 è oggi espressa dal Governo fascista di Orban.
Basti pensare che nel giugno del 1953 era stato il Politburo del Cremlino a defenestrare il primo
ministro ungherese Rakosi, "discepolo di Stalin",
imponendogli di cedere il posto di primo ministro a Imre Nagy. (Questi era i
rapporti allora esistenti). E’ vero che poi Nagy nel ’55 fu accusato dal
Cremlino, tramite Malenkov, per la gestione dell'agricoltura, per non aver copiato
il sistema dei kolchoz sovietici.
Ma rileva qui in particolare evidenziare che, nel novembre 1956, Imre Nagy,
nominato primo ministro su designazione del Comitato Centrale del Partito
comunista ungherese (chiamato partito dei lavoratori) volle e comprese nel suo
governo i comunisti Kadar, Lukacs e Losonczy.
Altro
che fascismo, come disse allora la vulgata stalinista, senza neanche cogliere
la contraddizione della presenza di Kadar, cui poi il Cremlino affidò la
gestione del potere in Ungheria dopa la repressione della rivoluzione fatta con
i carri armati.
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