Braccianti
e contadini in Sicilia contro il fascismo è il nuovo saggio di Michelangelo Ingrassia,
con nota introduttiva di Giorgio Galli e Prefazione di Antonino Pensabene,
edito dalle edizioni People & Humanities, che continua e unisce due filoni
della sua precedente ricerca storica: quello sulle dittature fascista e nazista
e della resistenza ad esse e l’altro della resistenza delle classi subalterne
al proprio sfruttamento. E resistenza è la parola chiave di questo saggio sia
nella dimensione storica scandagliata nei capitoli densi dell’umanità e del
coraggio contadini sia nella bruciante dimensione della crisi odierna cui
l’autore accenna in Epilogo.
Si tratta
della narrazione analitico-documentale (svolta su materiali dell’Archivio
Centrale di Stato) di “esistenze e resistenze” di quei lavoratori della terra
siciliani che, sulla scia di precedenti epiche battaglie per un bene che
appartiene loro naturaliter,
manifestano il rifiuto della dittatura con azioni diverse e assai rischiose.
Erano
singoli lavoratori (comunisti, socialisti e anarchici, repubblicani e
democratici) o soci degli unici sodalizi tollerati ma vigilati dal regime come
il Circolo dei Lavoratori di Naso, che nel 1926 “si oppone alla conversione in
sindacato fascista fino all’arresto del suo Segretario”, o la società
cooperativa “La Sorgente” di Riesi, “che praticava attività clandestina in
provincia di Caltanissetta, smascherata e liquidata dalla polizia fascista
nella primavera del 1937”, o ancora la Società Operaia di Mutuo Soccorso di
Castellammare del Golfo, che “si oppone e resiste fino al 1939 alla
trasformazione in sezione dell’Organizzazione Dopolavoro Fascista”. In essi covava
uno spirito ribelle anelante alla libertà e la comune indomabile volontà di
resistere.
Ingrassia
tratteggia un’articolata fenomenologia di questa variegata opposizione
distribuita nelle province siciliane. Singoli lavoratori di Acireale, Antillo,
Camporeale, Enna, Mazzara del Vallo, Mistretta, Paceco, Palermo, Paternò,
Raddusa, San Pier Niceto, Santa Caterina Villarmosa, S. Stefano di Camastra e
Sinagra manifestarono così il loro antagonismo, rispettivamente individuale,
collettivo, identitario, sociale: con “frasi ingiuriose, apprezzamenti
sfavorevoli, offese contro i gerarchi, il duce, il re, il regime”; con tumulti
per denunciare il malgoverno; con tentativi di celebrazione del Primo Maggio;
con azioni fra i contadini “contro
la fascistizzazione del sindacato e del lavoro italiano”. Alcuni di Chiaramonte
Gulfi, Comiso, Favara, Palermo, Ragusa, Ravanusa, Riesi e Vittoria cospirarono
anche organizzando convegni clandestini, dimostrando che il fascismo,
nonostante l’assenza di “un’azione organica” d’opposizione, non era riuscito ad
occupare “tutto lo spazio pubblico del Paese”. Altri di Assoro, Casteldaccia,
Gratteri e Ravanusa entrarono nelle organizzazioni sindacali di regime per
minarle dall’interno o emigrarono in Francia, Argentina, Uruguay per svolgere
attività antifasciste. Altri ancora di Campobello di Licata, Niscemi, Palazzolo
Acreide e Serradifalco andarono in Spagna come volontari antifranchisti. E,
infine, dei contadini di Campobello di Licata, Catania, Grammichele, Randazzo e
Vallelunga Pratameno furono dei proto-partigiani.
La
ricostruzione dei numerosi eventi antifascisti, seppur rigorosamente
storico-scientifica, è pervasa da uno spirito partigiano che fa di Ingrassia
uno storico militante, ammirevole in un tempo in cui l’intellettualità sembra
intontita, quando non succube o asservita, dalla subdola dittatura odierna
camuffata di democrazia. L’autore è, infatti, dalla parte di braccianti e
contadini da tempo immemore vessati da rapaci latifondisti, in lotta per quella
libertà che è presupposto per la conquista della terra, com’è ben esemplificato
nella novella di quel fan di Francesco Crispi (il cui “spirito” fu preso “in
consegna” da Benito Mussolini) che fu Giovanni Verga.
E
partigiano è Ingrassia nello studiare la Sicilia; ma la sua non è la miope o
interessata partigianeria dei vari sicilianisti odierni che finisce per metter
contro i lavoratori e i disoccupati del nord con quelli del sud, bensì quella
che si propone di unire tutti gli sfruttati contro le classi dominanti
d'Italia: “I fratelli siciliani Vasapolli furono i primi partigiani d’Italia”,
racconta con fierezza Ingrassia. “Essi provenivano da una classe, come quella
bracciantile e contadina siciliana, che nel corso della sua lunga storia di
lotte e patimenti, non si era battuta contro l’Italia e contro la Sicilia bensì
contro le classi dirigenti dell’Isola e della Penisola, unendo in un solo
orizzonte democratico la questione della libertà nazionale e la questione della
giustizia sociale”.
Le lotte
di quei braccianti furono un contributo alla caduta del fascismo, condizione
per la conquista dei diritti politici, economici, sociali e civili sanciti poi
dalla Costituzione Italiana: “Da questa tensione antifascista – puntualizza
l’autore -, si genereranno quei progetti di riforma sociale e politica ispirati
alla garanzia della cittadinanza e dei diritti, al valore del benessere sociale
ed economico, da cui poi riprenderà la lotta dei lavoratori agricoli siciliani
alla caduta del fascismo, cessata l’emergenza politica”.
E quelle
lotte oggi sono un monito ai disoccupati, ai lavoratori sfruttati, ai loro
rappresentanti politici e sindacali per una nuova resistenza organizzata.
“Come ci
si deve comportare oggi? Rassegnarsi o reagire? Adeguarsi alla normalità o
sconvolgere tutto e ricominciare daccapo? Forse la storia delle esistenze e
delle resistenze qui narrate può ispirare il comportamento da prendere di
fronte alle sfide che il tempo presente pone e impone a chi un lavoro oggi non
l’ha, a chi l’ha ma in forma servile, a chi è chiamato a rappresentare le
esigenze degli uni e degli altri. Diventa allora necessario studiare il
comportamento assunto nel passato da chi si ritrovò a dover affrontare una
situazione storica simile a quella del quotidiano contemporaneo”.
Come
possono gli amanti delle libertà politiche e della giustizia sociale non
condividere con Michelangelo la narrazione e la proposta di questo libro? È un
interrogativo retorico che vuol invitare questa tipologia di amanti alla
lettura di questo saggio per costruire con l’insegnamento antifascista dei
padri l’alternativa al dominio neoliberista.
Canicattì, 6 luglio 2016
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