Un regalo dall’Africa (racconto)

Istituto Tecnico "Galileo Galilei" di Canicattì

Il racconto “Un regalo dall’Africa” è stato realizzato dalla Classe IA AFM per la partecipazione al concorso “scritture migranti” indetto dal professore Leopoldo Ciraulo, prematuramente scomparso nel maggio 2014.

Tutti gli alunni hanno subito mostrato entusiasmo all’idea di misurarsi con altri studenti della Sicilia sulla scrittura creativa e, pertanto, si è deciso di creare un racconto a più mani coordinata dall’insegnante.
Si sono fornite conoscenze teoriche sul testo narrativo potenziando in tempi brevi le capacità espressive sia di narrazione che di scrittura, incanalandoli verso un proprio stile comunicativo, al fine di rinforzare la consapevolezza di sé e la propria autostima.
Il sistema di cooperative learning è sembrato il più adatto all’occasione dal momento che dava la possibilità di realizzare un racconto con il contributo personale di tutti. Hanno lavorato in piccoli gruppi, aiutandosi reciprocamente e sentendosi corresponsabili del reciproco percorso. L’insegnante ha organizzato e guidato le attività, creando “ambienti di lavoro” in cui gli studenti, favoriti da un clima relazionale positivo, hanno proceduto alla scrittura creativa.
Ogni alunno si è dovuto confrontare con le proprie potenzialità e capacità, anche a livello relazionale e organizzativo, all’interno del gruppo di lavoro e nel più ampio contesto della classe; infatti, la gestione di tutti i materiali prodotti in itinere, ha offerto ad ognuno la possibilità di affinare le capacità di raccontare, esprimersi, avvalendosi di una terminologia adeguata ad una scrittura creativa.
All’inizio è stato necessario ascoltare e saper cogliere emozioni, ricordi, sentimenti, per poi procedere ad una selezione di  stimoli utili alla stesura del racconto. Una volta decisa a grandi linee la trama, ogni gruppo di lavoro si è concentrato su sequenze narrative diverse, che in seguito sono state amalgamate in un tessuto narrativo organico e coerente. Hanno giocato a comporre porzioni di testo, inter-scambiando e combinando le parti dei vari gruppi, mettendosi d’accordo sulla congruenza logica ovvero sulla coerenza e credibilità della storia, procedendo alla risoluzione dei problemi che sorgevano in itinere secondo una sorta di “problem solving di gruppo”. Le correzioni non sono state mai orientate alla valutazione ma all’affinamento del senso critico: comprendere, appassionarsi, riflettere, capire quando una frase o una sequenza non è espressa in modo coerente o coeso.
Gli alunni hanno potuto riflettere sulle migrazioni nel proprio territorio e imparare come si diventa scrittori per un giorno.  
Il progetto ci ha dato l’opportunità di sviluppare in ciascuno degli alunni il desiderio di portar fuori i propri vissuti personali, di spingerli a condividere in classe le proprie idee, le proprie conoscenze sull’argomento partendo dalle tracce che il nostro territorio offre, essendo l’Italia, già da anni diventata, una meta di approdo per molti stranieri.
Dal punto di vista motivazionale gli alunni hanno notato che la scrittura può essere un’attività piacevole e uno strumento d’espressione del proprio mondo interiore e immaginario. La discussione ha accresciuto la loro sensibilità nei confronti dell’“altro da sé”, non soltanto straniero, e hanno gustato il vissuto altrui in modo empatico.
Inoltre, la possibilità di esprimere la propria creatività a diversi livelli, a cominciare dal racconto a viva voce ed in presenza dei compagni, fino alla scrittura e stesura del testo, ha offerto grande soddisfazione e consolidamento della propria autostima.
Si è constatato che l’operatività che si crea nei laboratori ha agevolato gli apprendimenti e potenziato l’autostima anche in quegli alunni che, di solito, si accostano con disinteresse alla lezione frontale. Il pungolo poi della possibilità di una vittoria ha reso il lavoro più interessante motivandoli ulteriormente nel raggiungimento degli obiettivi. 

Un regalo dall’Africa

Nooooo! Faceva sempre così. Tutte le mattine mi vedeva arrivare dallo specchietto retrovisore dell’autobus, tutto trafelato, col mio zaino che pesava un quintale, a stento riuscivo a camminare, figuriamoci a correre su quella strada scoscesa dove c’era la fermata del pullman, e lui, l’autista, quando già ero a pochi metri, partiva, faceva sempre così. Non mi importava, quell’autobus era sempre pieno di stranieri. A volte mi accompagnava la mamma, quando si alzava dal letto e si ricordava di me. Aveva 42 anni, era bionda e magra, troppo magra! Da quando mio padre era partito per l’Africa lei era irriconoscibile, dormiva tutto il giorno. Quando mi accompagnava lei, mi facevo lasciare qualche traversa prima, non volevo che i miei compagni pensassero che ero un bambino, avevo già 14 anni. Anche quella mattina persi l’autobus, ritornai a casa ma riuscii comunque ad andare a scuola. Mia madre si infilò la tuta e mi accompagnò; non voleva che perdessi la lezione di matematica, di lì a poco ci sarebbe stato il compito.
- Andrea, ti sembra questa l’ora di arrivare? Non è la prima volta! Tutte le mattine una scusa diversa: l’autista mi ha lasciato a piedi, mia madre si è addormentata…..La dobbiamo smettere o la prossima volta passi dal preside. Entra! - La mia prof di matematica non mi credeva. Non mi sopportava! Pure se respiravo le dava fastidio!
Mi andai a sedere vicino a Valeria. Non era la mia ragazza ma sapeva tutto di me. Prima o poi le avrei confessato quanto mi piaceva nonostante il folle terrore che lei scoppiasse a ridere, un terrore che mi attanagliava lo stomaco ogni qual volta provavo a farmi avanti.  Se lei mi avesse respinto niente sarebbe stato più come prima. E poi se avessi avuto una fidanzata sarei stato come tutti gli altri ragazzi che criticavo e disprezzavo, troppo sdolcinati per essere miei amici, non li avrei mai voluti nel mio gruppo
“Venerdì ti va di venire a casa mia? Se vuoi studiamo insieme?” mi disse Valeria interrompendo il filo dei miei pensieri.
“Si!” dissi di scatto, a volte credevo che potesse capire quello che pensavo.
“Alle tre va bene o vuoi venire dopo?”
“No, va bene alle tre. Poi devo andare all’aeroporto a prendere mio padre, non  vedo l’ora di vederlo perché ha detto che ha una sorpresa per me”.
“Non mi avevi detto niente” disse Valeria.
“Lo so da qualche giorno” risposi frettolosamente.
Lei intuì il mio imbarazzo e io quasi senza rendermene conto “vuoi venire?” le dissi.
Non appena pronunciate quelle parole avrei voluto ingoiarle, ma era troppo tardi, Valeria aveva accettato contenta.



All’aeroporto c’era molto caldo e un grande frastuono, quello smorzato della gente che parte e quello allegro delle persone che arrivano, salutano la loro famiglia, ma per me quel giorno i suoni, i rumori per un attimo avrebbero perso la capacità di arrivare alle mie orecchie, in poche parole avrei subito un grande shock.
Chi era il bambino che avanzava con mio padre? Perché lo teneva per mano? Forse gli voleva vendere qualcosa? E poi…era scuro…molto scuro…
“Ciao Andrea, mi sei mancato, sei veramente cresciuto” mi abbracciò così forte che quasi soffocavo  “e tu devi essere Valeria! Andrea mi ha parlato tanto di te! Ciao Sabrina”, si avvicinò a mia madre abbracciando forte anche lei e dandole un tenero bacio.
Mio padre non aveva ancora dato una spiegazione su chi fosse quel bambino, io e mia madre aspettavamo senza avere la forza e la voglia di chiedere. Mi sembrava che il tempo si dilatasse, alla fine Valeria ruppe l'imbarazzo con un “Ciao, io sono Valeria! E tu?” “Scusate, non vi ho presentato, in verità non vi proprio detto niente del nostro ospite perché volevo farvi una sorpresa, lui è Samba e starà con noi per un pò”. Mio padre aveva presentato il bambino, Samba salutò tutti in perfetto italiano, parlava meglio di molti miei amici, anche mia madre lo salutò abbracciandolo e dandogli il benvenuto, nonostante lo stupore.
Di fronte a tutti quei convenevoli io, però, non riuscii a proferire parola, rimasi impassibile, l'arrivo inaspettato di quel bambino che avrebbe vissuto nella mia casa, nella mia stanza,... mi aveva sconvolto. Più tardi in macchina, dal sedile posteriore dove eravamo seduti io, Samba e Valeria, sentivo i miei genitori parlare di come mio padre avesse pensato a tutto, alle carte, del fatto che Samba doveva essere sottoposto ad un intervento chirurgico al cuore, di come non aveva voluto dare preoccupazioni a mia madre per telefono…….
La osservavo e non mi sembrava particolarmente contenta, si trattava di un grosso carico di responsabilità, di rivoluzionare il nostro modo di vivere ma credo che avesse accettato subito l'idea che mio padre volesse occuparsi di lui, lo ammirava e lo stimava profondamente, spesso mi diceva “tuo padre è speciale”, anche se non sempre condivideva le sue scelte.
Lasciammo Valeria e dritti a casa, entrambi erano stanchi e affamati.
La casa era un bell’appartamento, in una zona centrale, molto accogliente e possedeva molte comodità.
All’entrata si trovava il salone dove c’era un divano rosso di pelle e di fronte un maxischermo  dove solitamente  guardavo le partite dell’Inter con mio padre, prima che partisse per l’Africa.
La cucina era piccola ma accogliente, la parte superiore del frigorifero era completamente ricoperta delle calamite che avevamo collezionato durante i viaggi; credo che Samba avesse subito notato la grande foto di me appena nato tra le braccia di mia madre Sabrina, l’avevo capito dal fatto che si era avvicinato. Chissà se gli ricordava la sua mamma?
Mia madre, che sicuramente era scioccata quanto me della sorpresa di mio padre, aveva preparato una cena che doveva essere per noi tre.
Non era una grande cuoca ma la tavola era piena di cose buone: patatine con pollo, coca cola e varie schifezze che piacevano molto a me e, a giudicare dalla voracità dell’ospite, dovevano essere gradite anche a Samba.
Dopo aver cenato, la mamma invitò Samba a farsi un bagno caldo.
Cercavo di decifrare la sua imperturbabilità, eppure ero sicuro che anche per lei quella era stata una sorpresa! E se invece le faceva piacere? Mi sembrava impossibile! Perché essere contenti di ospitare un bambino africano e per di più malato?
La grande vasca era già piena di tante bollicine di sapone, credo che a Samba tutto doveva apparire
nuovo e stranamente confortevole e la sua nuova vita, a primo impatto, non poteva non piacergli! Dopo aver finito di lavarsi e asciugarsi si infilò il mio pigiama grigio, quello con i pinguini; e si coricò  nella parte alta del letto a castello che si trovava nella mia stanza. Il cuscino in cui dormiva era così grosso e gonfio che la faccia gli sprofondava.
Lo avevo osservato attentamente mentre si infilava il pigiama che mia madre gli aveva dato; sul comodino aveva appoggiato una foto che ritraeva una famiglia, credo fosse la sua, non gli avevo chiesto niente ma lui cominciò parlarmi dell’Africa, di sua madre e di suo padre, entrambi morti .
“ Io ho avuto un’infanzia molto difficile, ho passato gli ultimi cinque anni in un orfanotrofio dove operavano missionari e volontari italiani che mi hanno insegnato la vostra lingua. Mio padre è morto sei anni fa durante un naufragio, stava venendo in Italia, mi aveva promesso che sarebbe tornato a prenderci, mia madre mi ha cresciuto da sola finché …..Sei mesi fa, poi, ho avuto un malore al cuore e se non fosse stato per tuo padre il dottore italiano, io non sarei vivo; adesso poi mi ha portato nella sua terra…...nella sua casa e mi farà operare. Mio padre mi parlava sempre dell’Italia, anche se non l’aveva mai vista, ci diceva che saremmo stati felici… É vero che non ci sono guerre?”
Ascoltando le sue parole, pensai tra me e me quanto fossi fortunato, avevo la mia famiglia, non ero malato …Allora perché non riuscivo ad essere felice? Gli dissi, quasi più per dovere che per affetto che ormai quello era il passato e ora doveva pensare al presente, lui mi sorrise e si asciugò le lacrime che in modo dignitoso avevano rigato il suo viso, al ricordo dell’Africa e degli affetti perduti.
Poi continuammo a parlare di vari argomenti fino a quando ci addormentammo.
Nel bel mezzo della notte Samba mi svegliò, perché aveva paura, non so quali sogni assalivano la sua mente, sgarbatamente gli risposi che doveva stare tranquillo e che non doveva svegliarmi più di notte per quelle stupidaggini, fui piuttosto duro, non avevo capito la sua angoscia di fronte alle tante novità e non ero abituato a dividere la stanza con un’altra persona.  L’indomani mattina papà portò Samba a visitare il garage sotto casa mia che l’estate scorsa avevamo trasformato in una taverna, dove, oltre ad esserci un angolo dedicato agli ospiti, c’era un altro maxischermo con una console e diversi strumenti musicali e poi dritti al centro commerciale a comprare quello che serviva a Samba per la sua nuova vita.
I giorni successivi feci da guida, dovetti fargli visitare la scuola, andavamo in classi diverse ma nello stesso plesso e pian piano mi affezionavo al mio nuovo amico, e, quel che era veramente stupefacente, mia madre aveva ritrovato il sorriso, non ho mai ben capito se perché mio padre era tornato o per l’arrivo di Samba. I miei vecchi compagni cominciarono a scansarmi, altri ad osservarmi. Solo Valeria fece subito amicizia con lui, avevano una complicità incredibile ed io credo che fossi ciò che li avvicinava, anche se questo lo capii solo molto tempo dopo.
Quel giorno venne anche lei alla partita, volevo che tutti vedessero giocare Samba, allora sì che avrebbero fatto a gara per stare con noi, ci avrebbero cercato, ci avrebbero rispettato! Sapevo, infatti, che Samba era una campione. Un bel giorno di sole, sì, era la giornata giusta per una partita di calcio.
Arrivati al campetto iniziammo a giocare, e Samba si rivelò bravo come immaginavo, in fondo tutte le grandi squadre hanno come asso vincente uno straniero: Samba giocava con passione, rimasi sbalordito.
Al trentesimo minuto segnai il primo goal, Samba mi venne incontro per complimentarsi anche se subito dopo il capitano della squadra avversaria segnò il goal dell’uno ad uno.
Stava per finire la partita, eravamo in pareggio, quando ecco il fallo, Giovanni, il capitano della squadra avversaria, andò incontro a Samba con aria minacciosa, e atteggiamento borioso, pronto alla lite: "Non ti ho toccato, ti sei buttato, prima che mi avvicinassi" disse puntando il dito.
Temetti che finisse a pugni e infatti, nonostante Samba cercasse di minimizzare sull'accaduto, il capitano non esitò a dire "Ti faccio un occhio nero!"
Non so se quell'espressione era stata pensata nella mente di Giovanni come un modo per offendere Samba per il suo colore o era piuttosto nata spontaneamente essendo una minaccia tipica nelle liti, vero è che calò il silenzio per un istante e anche l'arbitro esitò a prendere una decisione di fronte a quegli insulti.
"Con me è difficile, se vuoi lo faccio a te, almeno si nota!"- rispose pacato  e ironico Samba.
Tutti rimasero attoniti e scoppiò una fragorosa risata, Samba aveva catturato la simpatia di tutti, avversari e non, mentre Giovanni aveva ricevuto una bella lezione, incapace di reagire e di portare a termine le sue minacce.
Rimasi piacevolmente sbalordito dalla capacità che aveva dimostrato il mio nuovo amico nell'affrontare quell'atteggiamento forse razzista. Era veramente un campione!
Ma le soddisfazioni per quel giorno non erano finite, L’arbitro aveva dato il rigore a favore della nostra squadra, voleva assolutamente tirarlo lui, fu tutto una questione di secondi: il tiro, il goal, il malore improvviso di Samba.
Un paio di minuti accasciato su se stesso e poi il sorriso stampato sul suo volto cancellava la paura e lo sgomento, era contentissimo di aver segnato, di aver portato la squadra in vantaggio.
Mi ero pentito di avergli permesso di giocare, mio padre era stato chiaro, niente calcio, niente giochi pesanti. Ma in fondo perché preoccuparsi? Non era successo niente! Cercavo di tacitare la mia coscienza che mi assaliva ad ogni minuto. La sera a cena ero tentato di confessare l’accaduto a mio padre, ma avevo troppa paura.
I miei timori nella notte si rivelarono fondati, Samba non riusciva a respirare, gli faceva male il petto e mio padre decise di portarlo in ospedale.
“Non preoccuparti” mi disse Samba all’orecchio, mentre mio padre prendeva le chiavi della macchina, “sarà il nostro piccolo segreto! E poi mi sono divertito! Stai tranquillo non sarà niente!” Non feci in tempo a rispondere che uscirono sbattendo la porta.
“Mamma, mamma!” corsi da mia madre, abbracciandola e cercando in lei conforto, sembrò capirmi, mi carezzò la testa e sorrise.
“Tranquillo, tesoro …”  – sussurrò - “Andrà tutto bene”
Mia madre mi avvisava qualche ora più tardi che inspiegabilmente le condizioni di Samba erano peggiorate e si doveva anticipare l’intervento.
Sarei scoppiato in un pianto disperato se non fosse stato per il fatto che mia madre era lì presente e mi teneva stretto.
La notte stessa promisi a me stesso che se Samba si fosse salvato non avrei più detto bugie, non sarei stato egoista con altri, che averi detto a Valeria la verità sui miei sentimenti………

Passai i successivi quindici anni a cercare di mantener fede alle promesse di quella terribile notte, passata nell’angoscia e nel rimorso.
“Papà, papà!” mio figlio mi si aggrappò alla gamba sinistra, cercando di tenersi in equilibrio.
“Quando viene Zio Sabba?” esclamò, ancora piccolo per poter pronunciare il nome di Samba per quello che era.
“Adesso arriva! Finisce il turno in ospedale e parte” dissi, prendendolo in braccio e dandogli un tenero bacio sulla guancia paffuta.
Sarebbe arrivato a momenti, ne ero certo, mia madre e mio padre amavano molto veder riunita la famiglia e ormai Samba da tanti anni ne faceva parte. Si era laureato in medicina come mio padre, e svolgeva il suo mestiere con grande passione e dedizione, ci aveva insegnato ad amare la vita con la sua allegria.
Io facevo l’insegnante, l’arrivo di Samba mi aveva portato a credere in un mondo in cui tutto è possibile, in cui i sogni possono diventare realtà solo credendo in se stessi e perciò avevo deciso di insegnare ai giovani a sognare.
Valeria guardò fuori dalla finestra, dall’anta semiaperta entrava l’odore dell’erba bagnata, la pioggia che fino a due minuti prima aveva ricoperto il paesaggio autunnale aveva lasciato il suo ricordo: “guarda Andrea un arcobaleno!” Mi avvicinai a lei, insieme al nostro bambino.
“Papà cos’è l’arcobaleno?” mi domandò, alzando il viso e guardandomi negli occhi.
Dovetti rifletterci un attimo, poi sorrisi e ricambiando il suo sguardo curioso decisi di limitarmi a dire: “dopo la tempesta, la pioggia, il vento, arriva qualcosa di magico e sereno, qualcosa di colorato e vivo, chiamato arcobaleno, e non c’è niente di più bello al mondo nel vedere un arcobaleno manifestarsi in cielo …l’arcobaleno ci ricorda che il mondo è meraviglioso perché è fatto di tanti colori”.
Annuì stringendo la mia mano e quella di Valeria nelle sue, non so se avesse capito, quello che contava era che presto avremmo riabbracciato Samba, il più bel regalo che mio padre avesse mai potuto farci.

Alunni della classe 1a A

Alaimo Carmelo
Amato Diego
Avanzato Maria Alessia
Cacciato Fabiana
Carlino Alessia Pia
Carlino Clivia
Carlino Maurizio
Di Lucia Rosario
Di Naro Flavio
Faldetta Alice
Giardina Federica
Giordano Gioacchino
Guccione Giuseppe
Insalaco Davide
Insalaco Fabio
Insalaco Martina
Lalomia Carola
Lauricella Salvatore
Lo Sardo Loris
Lo Sardo Noemi
Messina Gioacchino
Nicotra Sharon
Puccio Ornella
Ribera Debora
Rinallo Nicole

Rinallo Sabrina

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