SOMMARIO: 1. Introduzione – 2.
Gaetano Martino, un politico siciliano che seppe guardare lontano – 3. I Padri
fondatori dell’unione dei popoli europei – 4. La crisi attuale del processo di
unificazione europea – 5. Irrinunciabilità del progetto europeista. L’Europa
Unita condizione imprescindibile di pace e sviluppo – 6. Dalla crisi deve
rinascere la speranza – 7. Un nuovo modo di concepire l’Europa – 8. Il ruolo
della Sicilia – 9. La cultura, i giovani, la scuola, l’università – 10.
Poniamoci all’opera.
1.
INTRODUZIONE
«Mi auguro che in questa Conferenza
aggiungeremo un’altra pietra alle fondamenta della costruzione europea». Con
queste parole, il primo giugno del 1955, Gaetano Martino inaugurò i lavori
della conferenza di Messina che rilanciò il processo di unificazione europea,
dopo la brusca interruzione causata dal rifiuto dell’Assemblea Nazionale
francese di approvare il progetto di costituzione della Comunità Europea di
Difesa (C.E.D.).
Lasciate che anch’io, mutuando la
storica espressione di Gaetano Martino, manifesti l’augurio e la speranza che con
l’incontro di questa sera, qui a Racalmuto, si possa aggiungere un’altra pietra
preziosa, se pur piccola che sia, per la costruzione dell’unione dei popoli
europei; uno straordinario cantiere aperto da oltre sessant’anni.
Innanzitutto credo che sia doveroso
rivolgere al nostro Enzo Sardo un sentito grazie per l’opportunità data a noi
tutti di confrontarci sul passato, sul presente e soprattutto sul futuro della
nostra cara vecchia Europa.
Desidero rivolgere ancora a Enzo
Sardo un sentito ringraziamento anche a nome dei tantissimi giovani che hanno
voluto partecipare a questo incontro ed in particolare mi sia consentito porgergli
il saluto e la gratitudine da parte dei ragazzi dell’I.T.C.G. “G. Galilei” di
Canicattì che con la loro partecipazione vogliono testimoniare i loro ideali
europeistici e nello stesso tempo la fiducia e la speranza in un avvenire di
pace e di giustizia sociale.
Enzo Sardo, individuando nel processo
di unificazione europea la condizione primaria ed essenziale per la pace e lo
sviluppo economico e sociale delle nostre popolazioni, molto opportunamente, ha
voluto affidare le sue riflessioni ad un interessante volume: L’Europa e Gaetano Martino – Un lungo
cammino verso la pace, che questa sera abbiamo il piacere di presentare.
Nelle centonovanta pagine di
questo volume, distinte in tre capitoli e considerazioni finali, Enzo Sardo, in
modo agile, semplice, scorrevole e non paludato, offre al cittadino comune, e soprattutto
ai giovani, l’opportunità di ripercorrere con dovizia di particolari le tappe
più importanti del processo di unificazione europea, uno straordinario progetto
caratterizzato da crisi e timori ma soprattutto da grandi speranze.
L’Autore riesce a descrivere
esaustivamente gli organi istituzionali
ed i capisaldi del diritto comunitario
e non manca, con le considerazioni finali,
alcune condivisibili e altre meno, ma pur sempre interessanti, di stimolare un
costruttivo confronto sulle prospettive politiche ed economiche del nostro Continente.
Enzo Sardo, apre e chiude il suo
libro guardando ai giovani.
«Scavare nella storia per fare
emergere alcune verità positive diventa un lavoro faticoso, ma utile e
necessario per la giusta formazione delle nuove generazioni», è l’incipit con il quale l’Autore apre il
suo libro. E lo chiude così: «Infine, voglio ricordare che questo volume vuole
rappresentare soltanto un piccolo contributo da sottoporre alla riflessione di
quei giovani che costituiranno la futura classe dirigente della nostra società,
ai quali voglio rammentare che per condurre una vita libera e dignitosa non si
possono trascurare i valori della dignità umana, della famiglia, della
legalità, della speranza, della sapienza, della solidarietà e della redenzione.
Sarebbe oltremodo stupendo studiare, lavorare ed operare per trasformare la
speranza in realtà, la difficoltà in possibilità e la democrazia e la pace in
benessere sociale».
Nel ripercorrere la genesi e le
asperità del lento ma inarrestabile cammino del processo di unificazione
europea, il nostro Autore si è fatto accompagnare, idealmente, da uno tra i più
grandi Ministri degli Esteri che l’Italia repubblicana abbia conosciuto:
Gaetano Martino.
2.
GAETANO MARTINO, UN POLITICO SICILIANO CHE SEPPE GUARDARE LONTANO
Il Ministro Martino, nostro
illustre conterraneo, siciliano di Messina, poco conosciuto dalle nuove
generazioni, purtroppo è stato ed è, inspiegabilmente, dimenticato ed
addirittura ignorato dalla gran parte degli storici. Tutto ciò, secondo la professoressa
Gabriella Portalone Gentile, rappresenta «uno dei tanti misteri della
storiografia più recente».
Eppure Gaetano Martino fu uno dei
Padri Costituenti più stimati ed apprezzati dai suoi contemporanei per la sua
serietà e la sua competenza.
L’illustre politico siciliano fu
un autonomista e un regionalista convinto ma soprattutto fu un “profeta”
dell’unione dei popoli europei. «Il siciliano che vide l’Europa», disse di lui
Federico Orlando.
Gaetano Martino per la sua
lungimiranza politica, per le sue doti diplomatiche e, perché no, anche per la
perfetta conoscenza di ben cinque lingue che gli consentiva di dialogare
direttamente e senza intermediazioni con i protagonisti europei del suo tempo, fu
sicuramente, tra il 1954 e il 1957, una delle espressioni più alte della
politica estera ed uno tra gli artefici principali del processo d’integrazione e
dell’unione degli Stati nazionali della nostra Europa.
Grazie all’impegno di politici
lungimiranti come il nostro Ministro Martino, infatti, i rappresentanti di sei
Stati nazionali europei, da sempre in conflitto tra loro, per la prima volta in
oltre due mila anni di storia, senza ricorrere alla brutalità delle armi e
della guerra, bensì, come afferma lo storico inglese Paul Anthony Ginsborg, utilizzando solo la forza della
«persuasione e del consenso», seppero mettere finalmente in comune le loro
risorse e rinunciando, almeno in parte, alle rispettive sovranità nazionali, crearono
le premesse e le condizioni per garantire la pace, lo sviluppo e la sicurezza
sociale nel nostro Continente.
Gaetano Martino, coerentemente
con la linea tracciata da Alcide De Gasperi di cui fu grande amico, fu il Ministro
degli Esteri italiano che nell’ottobre del 1954 contribuì a risolvere l’annosa
questione di Trieste e nel dicembre del 1955 riuscì ad ottenere l’ingresso dell’Italia
all’ONU.
Il 14 dicembre 1955, infatti,
dopo otto anni e mezzo di mortificante ed ingiusto ostracismo, per l’incessante
e convincente azione diplomatica del nostro illustre conterraneo, col voto
unanime del Consiglio di Sicurezza e dell’Assemblea Generale, l’Italia,
finalmente, entrò a far parte dell’Organizzazione delle Nazioni Unite.
Anche in occasione della Conferenza
dei maggiori Paesi europei, tenutasi a Londra nel settembre del 1954, Gaetano
Martino, dimostrando straordinarie capacità diplomatiche e col suo intervento
risolutore, riuscì a sbloccare la situazione d’empasse venutasi a creare anche
in quella circostanza.
Il Ministro Martino propose con
successo, nonostante la ferma opposizione del francese André François-Poncet, un incontro di soli politici senza funzionari. Grazie
a quell’incontro fu possibile rilanciare l’Unione Europea Occidentale (U.E.O.),
contribuendo così a far ripartire ancora una volta l’agognato cammino verso l’integrazione
dei popoli europei.
Fu un piccolo e significativo
passo avanti. Una nuova seria speranza.
Fu sempre grazie all’intelligenza
politica e alle capacità di mediazione di Gaetano Martino che seppe ideare,
ispirare e organizzare la Conferenza Intergovernativa di Messina, ormai nota
come la Conferenza del Rilancio europeo,
che si riuscì a rimettere in moto il processo di unificazione europea.
A tal riguardo Nicole Claude Marie Fontaine, Presidente del Parlamento
Europeo dal 1999 al 2002, parlando di Gaetano Martino disse che: «il suo capolavoro fu senz’altro
l’organizzazione della Conferenza di Messina dell’1 e 2 giugno 1955, grazie
alla quale il motore europeo tornò a girare e il Mercato comune si realizzò».
Con la Conferenza tenutasi a
Messina e Taormina, perché, come disse lo stesso Martino, i partecipanti
«respirassero la cultura millenaria del Mediterraneo e ispirassero alla sua
eredità la Costruzione della Nuova Europa », ed alla quale vi parteciparono i
ministri degli esteri dei sei paesi membri della CECA, il francese Pinay, il
belga Spaak, il lussemburghese Bech, l’olandese Beyen, il sottosegretario
tedesco Hallstein e ovviamente il nostro Ministro degli esteri Gaetano Martino,
fu possibile, infatti, riprendere il cammino per l’unificazione europea.
Un cammino che portò alla firma
dei trattati di Roma, istitutivi della Comunità Economica Europea e della
Comunità dell’energia atomica.
Gaetano Martino, insieme al
Presidente del Consiglio Antonio Segni, il 25 marzo del 1957, ebbe l’onore di essere
tra i firmatari di quei Trattati che, di fatto, sancirono l’atto di nascita
dell’unione dei popoli europei.
La cerimonia della firma si tenne
solennemente in Campidoglio nella sala degli Orazi e Curiazi del Palazzo dei
Conservatori, la stessa, dove il 29 ottobre 2004 i rappresentanti dei venticinque
Paesi membri dell’Unione hanno firmato la Costituzione per l’Europa.
Basterebbe solo questo per
additare alle nuove generazioni il nostro conterraneo Gaetano Martino, quale
fulgido esempio di politico e di statista illuminato e lungimirante.
I Trattati di Roma,
prevalentemente di natura economica, costituirono la prima tappa fondamentale del
processo di unificazione europea, anche se non rappresentarono l’obiettivo vero
di Gaetano Martino che insieme ai Padri fondatori sognava un’Europa di popoli
uniti nella pace e nello sviluppo equo e solidale.
3.
I PADRI FONDATORI DELL’UNIONE DEI POPOLI EUROPEI
Enzo Sardo nel suo volume non
tralascia di indicare, specie ai giovani, le monumentali figure di altri grandi
europeisti e dei Padri fondatori dell’Unione dei popoli europei.
Ne ricorda tantissimi e lo fa ripercorrendo
le tappe significative della loro vita, del loro vissuto, delle loro famiglie,
della loro cultura, riportando, seppur in modo necessariamente sintetico ma
esaustivo ed eloquente, le loro biografie.
Tra queste ricordiamo quelle dei francesi
Robert Schumann, Jean Monnet, e Antoine Pinay, dei tedeschi Konrad Adenauer, Walter Hallstein, Willy Brandt ed Helmut Kool, del
belga Paul - Henri Spaak, del lussemburghese Joseph Bech, dell’olandese Jan
Willem Beyen, degli italiani Alcide De Gasperi, Luigi Sturzo, Altiero Spinelli,
Ernesto Rossi, Luigi Einaudi, Emilio Colombo, Gaspare Ambrosini e naturalmente di
Gaetano Martino.
Straordinarie, significative ed
opportune sono le biografie di Alcide De Gasperi, Robert Schumann e Konrad
Adenauer che l’Autore ci propone.
Tre grandi uomini di frontiera, tre
grandi cristiani, tre giganti della storia che conobbero anche il carcere per i
loro ideali di pace, di giustizia e di solidarietà. Tre uomini, tra i migliori
d’Europa, che grazie al loro impegno, ai loro ideali e alla loro fede
riuscirono a fare dell’Europa, dopo secoli di guerre fratricide, una terra di
pace e di sviluppo.
Questi tre grandi politici
democristiani, l’italiano Alcide De Gasperi, il francese Robert Schumann ed il
tedesco Konrad Adenauer, autentici Padri dell’Europa contemporanea, devono
sicuramente essere additati alle nuove generazioni come modelli da seguire e da
imitare.
E mi sia consentito riproporre
anche in quest’occasione l’eloquente interrogativo che Giovanni Paolo II quando
parlava di loro si poneva: «Non è significativo che tra i principali promotori
dell’unificazione del continente europeo vi siano uomini animati da profonda
fede cristiana?»
4.
LA CRISI ATTUALE DEL PROCESSO DI UNIFICAZIONE EUROPEA
Questo nostro incontro cade in un
periodo nel quale la grande tensione ideale e politica per un’Europa dei Popoli,
così come immaginata dai Padri fondatori, e il grandioso progetto per un’Europa
senza frontiere, dagli Urali all’Atlantico, così come auspicava il Santo Padre Giovanni
Paolo II, registrano un notevole arretramento.
Il Gigante Europa sembra
immobile, sonnecchiante, melanconico, incapace di scuotersi dal suo torpore.
Tutti sembrano indifferenti, rassegnati, financo sdegnati.
Ancora una volta il processo di
integrazione dei popoli europei sta subendo l’ennesima battuta d’arresto.
Ancora una volta è crisi e i timori prevalgono su tutto.
Invero il cammino del processo di
unificazione europea si è allontanato notevolmente dalla giusta direzione e la
strada intrapresa non va sicuramente verso l’unione dei popoli europei nella
solidarietà e nella giustizia.
Le diverse realtà sociali, le
aggressioni speculative, il debito dei Paesi membri, le diverse velocità
dell’economia e le tattiche politiche nazionali stanno facendo emergere molte
contraddizioni.
Ad aggravare la situazione è quel
liberismo sfrenato, egoista, senza etica e senza freni morali che ormai impera
in Europa e che genera disuguaglianze, sacche di marginalità, nuove povertà e,
ancor più grave, potrebbe avere sviluppi imprevedibili e forse anche violenti.
Le incomprensioni ed i pericoli
di una paralisi non sono pochi.
Il progetto
europeista vive sicuramente un periodo convulso, contraddittorio, complesso e
difficile. Ormai è scontro
aperto tra chi ritiene che l’Unione Europea sia un obiettivo da perseguire e
tra chi ritiene che sia un processo da fermare.
Oggi l’Europa, specie nel sud,
viene percepita dai cittadini come un’entità lontana e addirittura ostile.
Oggi l’Europa è vista come la
strega cattiva e malvagia, sempre pronta a bacchettare, a bastonare, a punire. “L’Europa
non vuole”, “L’Europa lo vieta”, “L’Europa non lo consente” e via via di questo
passo; così è percepita oggi l’Europa.
L’Unione Europea per la direzione
intrapresa, secondo moltissimi cittadini, non è più quel grande sogno per cui impegnarsi
e lottare e non è più quello straordinario grande obiettivo capace di garantire
pace, sviluppo sociale, economia sostenibile, bene comune e rispetto della
dignità per gli esseri umani.
Oggi l’Europa è vista solo come
un manipolo di potenti e di banchieri cinici e senza scrupoli che hanno il solo
intento di sottomettere il popolo socialmente, economicamente e politicamente.
La percezione negativa è generalizzata.
E purtroppo, ahimè, ahinoi, non si tratta solo di una percezione, bensì l’amara
constatazione di una triste realtà.
Chi governa oggi l’Europa ha
deragliato dalla via maestra e dal sogno dei Padri fondatori che sicuramente si
sentirebbero traditi da scelte che mirano ad obiettivi decisamente opposti da
quelli da loro voluti.
Oggi lo scenario europeo che si
presenta ai nostri occhi è caratterizzato da una crisi economica globale, da
una disoccupazione, specie quella giovanile, che sta raggiungendo livelli senza
precedenti nella nostra Unione e da una pressione tributaria, specialmente in
Italia, ingiustificata e insostenibile.
La crisi economica e finanziaria
internazionale del 2008 comincia a far sentire i suoi effetti e potrà avere
conseguenze pesantissime per la crescita e l’occupazione nell’UE e saranno,
ovviamente e come sempre, i Paesi e le persone più vulnerabili a pagarne il
conto.
Ed è proprio in questa difficile fase
del percorso, in cui il riproporsi prepotente di atavici e pericolosi egoismi
nazionali e di facili populismi che si rischia di precipitare in un baratro con
conseguenze inimmaginabili.
Oltre a tutto ciò, non possiamo
non evidenziare il desiderio revanscista e sciovinista mai sopito di frange
fanatiche ancora operanti nella nostra Europa che insieme ad un cinico
atteggiamento dei Paesi economicamente più forti e ad un sempre crescente e
pericoloso deficit di libertà e democrazia, mettono ancora una volta in pericolo
il sogno dell’unione libera e democratica dei popoli europei.
Nel 2004, ultime
stime disponibili, nell’Unione, ben settantotto milioni di persone risultavano
esposte al rischio di povertà e circa ventiquattro milioni di cittadini si trovavano a
dover tirare avanti con meno di dieci euro al giorno. Ed anche l’Italia non è
immune da questi rischi. Oggi il nostro Paese si trova a misurarsi con oltre
l’11% di disoccupati e con percentuali ben più alte ed allarmanti nel sud
d’Italia ove riemerge lo spettro di una nuova bomba sociale e di una nuova
“questione meridionale”.
C’è chi sperpera e chi non ha
nulla.
A proposito di sprechi credo sia
doveroso ricordare che proprio oggi a Bologna si celebra la conclusione della
Giornata europea contro lo spreco alimentare, iniziata a Bruxelles lo scorso 28
ottobre, che si pone come obiettivo il dimezzamento dello spreco entro il 2025.
Anche in questa direzione mi
auguro debba dirigersi il nostro impegno quotidiano.
Non possiamo non evidenziare le
problematiche emergenti sul versante della democrazia e della libertà.
In questi ultimi tempi abbiamo cominciato
ad assistere al varo di leggi che, di fatto, mutilano la sovranità popolare e
limitano i più elementari diritti di libertà.
Certo, oggi, desta non poca
preoccupazione apprendere che la libertà di stampa in Italia si colloca al 49°
posto della classifica mondiale del 2010, pubblicata da “Reporter Sans Frontieres”. In
tale posizione l’Italia è stata raggiunta dal Burkina Faso. Questo dato
dimostra purtroppo l’interferenza del potere politico ed economico sui mass
media. Interferenza che, di fatto, limita fortemente la libertà e la
democrazia.
A ciò si deve aggiungere il grave
“deficit democratico” che caratterizza le modalità di formazione e
legittimazione delle Istituzioni dell’Unione Europea nonché del loro
funzionamento e delle loro procedure decisionali che rende la situazione sempre
più gravida d’incognite e allontana i cittadini sempre di più dal sogno europeista.
Secondo Eurobarometro la fiducia nell’Unione Europea è scesa ai minimi
storici.
I sostenitori dell’integrazione
sono delusi dall’inconcludenza delle Istituzioni Comunitarie.
Solo il quarantanove per cento
degli europei crede che l’appartenenza all’Unione Europea sia «una buona cosa».
Quasi il dieci per cento in meno rispetto al 2008, scrive Marco Zatterin su La Stampa.
Il dato è preoccupante,
soprattutto se si considera che il calo non è dovuto all’aumento degli
euroscettici, ma alla diminuzione degli euroentusiasti.
Sempre Marco Zatterin sostiene che: «c’è meno gente
che pensa che l’Europa sia “una buona cosa” non perché sia contraria
all’integrazione, ma perché si sente tradita dai Ventisette e dal modo in cui “maneggiano”
il progetto di integrazione. La gente si sente abbandonata dalla politica e dai
bassi giochi di potere che si orchestrano fra le capitali e Bruxelles».
La crisi greca ha posto in luce i
pareri contrastanti degli Stati europei sui differenti metodi da adottare per
cercare di risolvere l’empasse.
La crisi che stiamo attraversando
è drammatica e le immagini di Atene che brucia, non fanno altro che accelerare
l’inevitabile redde rationem.
È proprio in questi
giorni che l’Europa si confronta sulle nuove regole da varare per porre in
essere un nuovo, concreto e significativo patto di stabilità.
Il confronto tra euro
- intransigenti ed euro- flessibili si acuisce sempre di più. C’è ancora chi si dimostra
pessimista ed euroscettico e c’è chi di contro pensa all’Europa come una potenza mondiale in cui la pluriappartenenza e la molteplicità
delle appartenenze, è nel DNA di ogni cittadino.
Chi si aspettava che le nuove Istituzioni
dell’Unione Europea introdotte dal trattato di Lisbona avrebbero dato una
svolta al processo d’integrazione è rimasto deluso. Non solo, alla delusione si
aggiunge anche la preoccupazione generata da iniziative che contraddicono l’essenza
stessa dello spirito comunitario.
L’espulsione dei rom da parte della Francia di Sarkozy o
la mancata accoglienza di tanti immigrati e perseguitati politici che dal sud
del mondo vengono verso di noi, ne sono un esempio.
E quest’Europa cosa
fa di fronte a questo scenario tutt’altro che incoraggiante? Nulla, anzi
continua a bacchettare, a vietare, a inasprire la pressione fiscale in nome di
una tanto declamata stabilità che in realtà è diventata solo una mera illusione.
Ebbene, questa Europa così
lontana dai problemi della gente, dalle persone, dal bene comune, noi non la
vogliamo.
L’Europa che noi vogliamo e per
cui siamo disposti a lottare per tutto il tempo che sarà necessario, è un’Europa
abitabile, sicura, vivibile a misura della dignità di ogni persona umana,
un’Europa dei popoli, dello sviluppo equo, solidale e sostenibile, del bene
comune, della giustizia sociale, della verità, della libertà, della democrazia,
della sussidiarietà, quella per la quale i nostri Padri Europeisti hanno
lottato e sperato.
Certo è inutile
negarlo, oggi più di ieri, i problemi da affrontare e risolvere sono tanti e
non facili.
E allora, oggi più di ieri, è
inevitabile chiederci: il grande progetto dell’unione dei popoli europei sì è
infranto definitivamente? L’unione politica europea ha ancora un futuro? Ci
sono ancora oggi gli spazi e la volontà di ripartire con lo stesso entusiasmo
di un tempo? Quali sono i rimedi possibili e necessari per ricominciare con
rinnovato vigore?
5.
IRRINUNCIABILITÀ DEL PROGETTO EUROPEISTA. L’EUROPA UNITA CONDIZIONE
IMPRESCINDIBILE DI PACE, LIBEERTÀ E SVILUPPO
Nonostante la crisi, nonostante gli
immensi problemi che abbiamo di fronte, penso che il progetto europeista, oggi
più di ieri, non sia soltanto irrinunciabile ma anche e soprattutto condizione
imprescindibile di pace, libertà e sviluppo.
Oggi siamo fermamente convinti,
specialmente chi come noi crede fermamente negli ideali dell’unione dei popoli
europei, che non ci sono alternative. Nessuno s’illuda che il vero processo di
unione dei popoli europei possa avere alternative praticabili senza il rischio
di pericolosi salti nel buio.
Oggi gli europei devono affrontare
questa ennesima impasse uniti e
compatti.
Occorre che ogni europeo, senza
pessimismi o facili ottimismi, senza pensare di voler «curare le delusioni con
le illusioni», come soleva dire Gaspare Ambrosini - un altro grande siciliano
regionalista ed europeista - ma con realismo e fiducia, si convinca, prima di
ogni cosa, che senza
l’Europa unita, la pace, la libertà e lo sviluppo economico-sociale potrebbero
essere irrimediabilmente compromessi.
Siamo consapevoli, peraltro, che pace,
libertà, sicurezza e sviluppo sono legati indissolubilmente.
“O
l’Europa si unisce o l’Europa perisce”, ben potrebbe essere l’ammonimento da
ricordare costantemente e che deve accompagnare il nuovo cammino.
Robert Schumann il 9 maggio 1950, data
che diede origine al processo d’integrazione europea, dichiarava solennemente
che: «la pace mondiale […] potrà essere salvaguardata solo con il contributo
che un’Europa organizzata e vitale può apportare.[…..] L’Europa non potrà farsi
in una sola volta, né sarà costruita tutta insieme; essa sorgerà da
realizzazioni concrete che creino anzitutto una solidarietà di fatto».
Il Presidente della Repubblica Giorgio
Napolitano il 15 maggio 2006, in occasione del suo giuramento come Capo dello
Stato a Montecitorio con le Camere riunite in seduta comune, affermava
solennemente che: «… non esiste, dinanzi alle sfide del futuro, alcuna
alternativa al rilancio della costruzione europea». E sottolineava che: «… con
il processo di unificazione europea, non solo si è portata a compimento la più
grande impresa di pace del secolo scorso nel cuore dell’Europa, non solo si è
realizzato uno straordinario e duraturo avanzamento economico e sociale, civile
e culturale nei paesi che si sono via via associati al progetto, ma si sono
poste le radici di un irreversibile moto di avvicinamento e integrazione tra i
popoli, le realtà produttive, i sistemi monetari, le culture, le società, i
cittadini, i giovani delle nazioni europee».
Sul tema della pace, mi piace ricordare
ancora un passo dell’intervento di Gaetano Martino pronunciato in
occasione della ratifica del Trattato
sull’ampliamento dell’U.E.O. Nella tornata del 12 ottobre 1954, il Ministro
Martino affermò testualmente: «… credo di poter dire con coscienza che a Londra
abbiamo lavorato per la pace. La pace non si predica, ma si costruisce, e si
costruisce eliminando via via le cause dei dissensi che dividono i popoli, e
apprestano validi strumenti per la loro più intima collaborazione. […..] Noi
non possiamo avere speranza di potere salvare la pace ammettendo di potere
rinunziare alla libertà; ma nemmeno possiamo pretendere di serbare la libertà perdendo
la pace. La difesa della pace e della libertà é solidale ed indivisibile».
Anche per queste considerazioni siamo
fortemente convinti che pur tra timori e speranze, tra paure ed ottimismo, tra
accelerazioni repentine e soste talvolta lunghissime, la strada maestra è e
rimane quella dell’impegno europeistico, un impegno serio e responsabile scevro
da egoismi e soprattutto volto alla solidarietà e al bene comune.
6. DALLA CRISI DEVE RINASCERE LA SPERANZA
Nel 1955 Albert Einstein scriveva testualmente: «Non pretendiamo che le cose cambino, se
facciamo sempre la stessa cosa. La crisi è la migliore benedizione che può
arrivare a persone e Paesi, perché la crisi porta progressi. La creatività
nasce dalle difficoltà nello stesso modo che il giorno nasce dalla notte
oscura. È dalla crisi che nascono l’inventiva, le scoperte e le grandi
strategie. Chi supera la crisi supera se stesso senza essere superato. Chi
attribuisce alla crisi i propri insuccessi e disagi, inibisce il proprio
talento e ha più rispetto dei problemi che delle soluzioni. La vera crisi è la
crisi dell’incompetenza. La convenienza delle persone e dei Paesi è di trovare
soluzioni e vie d’uscita. Senza crisi non ci sono sfide, e senza sfida la vita
è una routine, una lenta agonia. Senza crisi non ci sono meriti. È dalla crisi
che affiora il meglio di ciascuno, poiché senza crisi ogni vento è una carezza.
Parlare della crisi significa promuoverla e non nominarla vuol dire esaltare il
conformismo. Invece di fare ciò dobbiamo lavorare duro. Terminiamo
definitivamente con l’unica crisi che ci minaccia, cioè la tragedia di non
voler lottare per superarla».
Ebbene la lezione di Einstein oggi più che mai è valida,
attuale ed utile per affrontare le sfide che ci attendono.
Non possiamo rinunciare alla lotta, alle sfide, alle
competizioni che la storia ci presenta. Sarebbe assurdo darci per vinti. Specie
i giovani non possono tirarsi indietro.
Gaspare Ambrosini sosteneva che: «… la fede nell’avvenire
è il primo elemento della vita e del
progresso. I giovani non possono essere scettici e pessimisti …».
In quest’ottica sentiamo di grande attualità il pensiero
e l’opera di Gaetano Martino, di Alcide De Gasperi, di Altiero Spinelli e dei
Padri fondatori che dinanzi alla situazione drammatica lasciata dalla guerra
che aveva visto gli stati europei, ancora una volta, l’un contro l’altro
armati, non si arresero mai nel portare avanti il loro progetto europeistico.
Aveva ragione Jacques Delors, anch’egli
uno dei padri fondatori dell'Europa, quando in relazione alle modeste
prospettive politiche a lungo termine per l'Europa, affermava: «Abbiamo perso
la memoria di dove veniamo, come possiamo avere un’idea di dove andare?»
E noi non dobbiamo perdere la memoria.
Dobbiamo volgere lo sguardo al passato per vivere e capire meglio il presente e
guardare con fiducia l’avvenire.
Occorre allora riprendere il cammino fiduciosi
e consapevoli che il processo di unificazione europea, seppur a piccoli passi,
come dicevano Monnet e Schumann, o come sono in tanti a dire facendo “due passi avanti ed uno indietro”, dovrà
andare sempre avanti.
Per fortuna le società europee sono
molto più unite di quanto non pensino le élites politiche ed
economiche europee. Di ciò bisogna che la politica ne prenda atto.
L’Erasmus, uno straordinario progetto
che sta caratterizzando generazioni di giovani studenti europei, e le tante
compagnie aeree low cost che, di
fatto, hanno annullato ogni distanza, sono soltanto due dei tanti elementi di
un’Europa che considera ormai superate ed obsolete le frontiere nazionali.
Certamente al tempo di De Gasperi,
Schumann e Adenauer parlare di Europa Unita era solo da folli sognatori.
Allora fu la politica a portare l’Europa
nella società. Oggi è la società che deve riportare l’Europa nella politica.
La crisi che stiamo vivendo non deve
portarci, quindi, allo scoramento e all’immobilismo. Anzi serve al più presto un segnale di risveglio ed è proprio dalla crisi che deve rinascere la
speranza.
Molto, anzi moltissimo, deve essere
fatto. Molto potranno fare i giovani ai quali affidiamo questo messaggio di
speranza.
Molto potremo fare tutti noi, nel nostro
piccolo, nel nostro quotidiano, per contribuire affinché il sogno dell’unione
dei popoli europei diventi realtà.
Speriamo che anche quello di oggi possa
essere un piccolo passo avanti in questa direzione.
7. UN NUOVO MODO DI CONCEPIRE L’EUROPA
Bisogna
pensare, però, ad un nuovo modo di concepire l’Europa, non più fondata sul solo
interesse economico, cinico, freddo e spesso disumano.
Bisogna
cambiare radicalmente rotta rispetto a quella in atto intrapresa che condurrebbe
solo alla disgregazione con conseguenze disastrose.
Bisogna
avere il coraggio di dire “no” all’Europa dei mercanti e un grande “sì”
all’Europa dei popoli.
Bisogna
pensare a un nuovo progetto di pace, sviluppo e cooperazione ed impegnarsi con
il massimo sforzo per la promozione culturale, sociale, politica ed economica
di ogni persona umana e per tutelare la sua dignità e la sua libertà.
Occorre
adoperarsi per rimuovere concretamente quel deficit
democratico che ha caratterizzato gli organi europei sin dalla loro nascita
e che inevitabilmente ha contribuito a generare forti disaffezioni per gli
ideali europeistici.
Purtroppo la democrazia delle
istituzioni europee è stata costruita in gran parte sulla sabbia. Jacques
Maritain soleva dire che: «La tragedia delle democrazie moderne è che non sono
ancora riuscite a realizzare la democrazia».
Occorre, quindi, rivitalizzare innanzi
tutto la democrazia delle istituzioni europee cercando di connettere
rappresentanza e partecipazione, economia e politica, famiglia ed istituzioni.
Gaetano Martino in occasione del
discorso tenuto nella seduta del 25 marzo 1963 al Parlamento Europeo, sostenne
che: «Non basta la fredda ragione dei governi per costruire l’Europa; occorre
necessariamente la passione dei popoli […..] occorre che la vela della ragione
governativa sia gonfiata dal vento della passione popolare. Occorre, in altri
termini, che l’opera dei governi possa fondarsi sulla fedele e sincera adesione
degli europei. Ecco perché […..] l’elezione a suffragio universale diretto del
Parlamento Europeo, è di importanza fondamentale per il progresso e per il
consolidamento del processo che è in atto …».
Passarono sedici anni da quel discorso
perché i cittadini dei nove Paesi aderenti alla Comunità Europea, tra il 7 e il
10 giugno 1979, potessero scegliere, per la prima volta, a suffragio universale
diretto, i 410 rappresentati degli stati membri in seno al Parlamento europeo.
Sempre al riguardo mi piace ricordare
che grandi europeisti come Jean Monnet e Altiero Spinelli che auspicavano, con il
necessario coinvolgimento popolare, istituzioni comuni in grado di consentire
agli Europei di parlare con una sola voce nel mondo: la Federazione europea.
Jean Monnet sosteneva che: «… i
cittadini europei e i loro rappresentanti, ad ogni livello territoriale e in
ogni ambito del sistema economico sociale e culturale, sono chiamati a far
sentire la loro voce in ogni sede e con ogni interlocutore politico esistente
per chiedere che le loro rivendicazioni, i loro problemi, le loro proposte per
un mondo migliore trovino recepimento anche in un vero governo federale
europeo, organo esecutivo di una democratica entità statuale sovranazionale
aperta a tutti i paesi europei».
Oggi noi abbiamo il diritto-dovere di
rivendicare a gran voce, nel solco tracciato quasi cinquant’anni fa da Martino
e dai Padri fondatori, una grande competizione democratica che porti almeno
all’elezione a suffragio universale diretto di un Presidente dell’Unione Europa
ed un Parlamento con pieni poteri legislativi, almeno su determinate materie.
Ed ancora, bisogna lavorare per il
rispetto delle peculiarità locali. Solo con una forte valorizzazione delle
peculiarità locali si potranno superare vecchi e nuovi nazionalismi.
Per guardare concretamente all’avvenire
dell’Europa, a quel futuro che riguarda ognuno di noi, non si potrà fare a meno
nel bene e nel male, nell’identità e nella differenza, di ripensare la comune
tradizione che lega gli uomini, le donne, i giovani dei paesi europei e il
passato della nostra civiltà. Solo così potremo renderci conto dell’importanza
imprescindibile dell’unione dei popoli europei.
Occorre ancora ripensare ad un’Europa
fondata sui fondamentali valori della nostra civiltà: la libertà, la
democrazia, la tutela della dignità della persona umana, il carattere sacro
della vita, il ruolo centrale della famiglia e delle formazioni sociali,
l’importanza dell’istruzione e della cultura, la libertà di pensiero, di parola,
di coscienza e di religione, la cooperazione, il bene comune, l’amore sociale
ed il lavoro in funzione dell’uomo ed inteso come partecipazione all’opera del
Creatore, come ebbe a dire un altro Grande Europeista Giovanni Paolo II,
parlando nel 1989 ad Uppsala.
Bisogna pensare un’Europa capace di
promuovere azioni positive volte all’inclusione attiva poiché nessun paese può
sottrarsi alle conseguenze della crisi globale che ci penalizza.
Il 2010 è l’anno europeo della lotta
alla povertà e all’esclusione sociale. È
necessario quindi continuare anche oltre quest’anno che va a concludersi nell’opera
di sensibilizzazione sui problemi dell’esclusione sociale.
Nel frattempo si devono consolidare le
basi di un’Unione europea dei cittadini e per i cittadini, convinti come siamo
che solo un’Europa unita potrà essere punto di riferimento e di equilibrio per
la pace ed i destini del pianeta.
Da eurocentrica
e colonialista, la politica europea si deve trasformare in planetaria ed
altruistica.
Solo con un grande senso di solidarietà
si potranno superare vecchi e nuovi squilibri. La vocazione della nuova Europa
deve essere “la condivisione della
solidarietà”. Solidarietà con chi soffre, con chi ha bisogno, con gli
altri, con i deboli in qualunque parte d’Europa e del mondo si trovino.
Occorre che l’Europa dei popoli e delle
autonomie locali si debba costruire su una filosofia diversa, non più basata
sul primato dell’io, ma sul primato
dell’ altro.
L’altro
per l’Europa è l’Asia, l’America Latina, la Russia, il Sud e l’Est d’Europa.
L’altro
per l’Europa, oggi più che mai, è rappresentato dall’Africa; un’Europa
federata, forte sia in campo industriale sia in campo agricolo e proiettata nel
Mediterraneo, avrebbe nell’Africa un’attiva interlocutrice.
Appare pertanto, necessario ed
improcrastinabile riattivare seriamente e concretamente un dialogo serio e
responsabile con i paesi dell’Africa bagnati dal Mediterraneo.
Osservava acutamente Jean Martin: «l’Europa
avente per sua natura una vocazione universale, dovrà creare un ponte con
l’Africa e dare vita ad un grande complesso euro- africano».
8.
IL RUOLO DELLA SICILIA
In questo contesto é proprio la Sicilia che potrebbe
diventare l’ideale cerniera ed interlocutrice.
Sono convinto che la Sicilia, crocevia di mille culture,
ponte ideale tra Europa ed Africa, non rappresenta, come vogliono far credere,
l’estremo lembo d’Europa povero e parassitario, ma potrà rappresentare il
centro propulsore della nuova Europa del terzo millennio, capace di costruire
un autentico progetto di pace, sviluppo e cooperazione.
Mi piace da qui lanciare l’idea di costituire un grande
movimento per candidare la Sicilia ed Agrigento con la sua cultura millenaria,
quale capitale dell’Europa euro - mediterranea, la capitale della nuova Europa
del terzo millennio.
9.
LA CULTURA, I GIOVANI, LA SCUOLA, L’UNIVERSITÀ
Gaetano Martino da docente e da
buon maestro riteneva che compito dei più grandi dovesse essere quello di
creare un ponte indistruttibile con i giovani cui tramandare sapere ed esempi
di rettitudine e di onestà intellettuale. Sosteneva, altresì, che il mondo
avrebbe potuto sperare in un futuro migliore solo se la scuola avesse attuato
universalmente la sua principale missione per la formazione culturale, politica
e morale delle giovani generazioni.
Martino credeva nel ruolo
fondamentale esercitato dalla cultura per forgiare il cittadino europeo ed è
per questo che credeva fortemente nella creazione di una Università europea,
prevista peraltro nel trattato dell’Euratom.
Il Presidente della Repubblica emerito Carlo
Azeglio Ciampi il 18 settembre 2002, in occasione della cerimonia di apertura
dell’anno scolastico, rivolgendosi agli studenti ha detto testualmente:
«…L’istruzione è il motore dello sviluppo; l’altro tema su cui impegnarsi è la
cittadinanza europea. [….] L’Europa cari ragazzi e ragazze, è la vostra
avventura. È un’avventura di vita e di ideali, di conoscenza e di
comportamenti. [….] Per voi è altrettanto importante studiare altre lingue
oltre all’italiano e imparare ad usarle; avere consapevolezza, pur sommaria,
del pensiero e delle espressioni culturali delle altre nazioni d’Europa; conoscere il mondo; parlare con i vostri
coetanei. Ci vogliono nuove iniziative, come l’Erasmus, anche per le scuole
superiori e per le scuole medie. Così si costruisce la comune identità del
futuro. [….] La scuola è il luogo fondamentale per realizzare tutto questo e
dunque deve essere “aperta a tutti” e “i capaci e meritevoli, anche se privi di
mezzi” debbono poter “accedere ai gradi più alti dell’istruzione».
Quanto detto da Ciampi ci spinge
a rivendicare con forza, anche in questa sede, un’Università realmente libera,
aperta ed accessibile a tutti senza distinzione alcuna, senza steccati o
barriere, senza quell’odiosa e discriminante imposizione di passare sotto le
forche caudine costituite da tanto inutili quanto fuorvianti test d’ammissione che
a tutti i compiti assolvono tranne quello di selezionare i veri capaci e i veri
meritevoli. Dobbiamo aspirare ad
un’Università con una grande vocazione sociale e popolare, che sappia guardare
con coraggio al futuro e capace di favorire autenticamente e concretamente la
promozione, culturale, sociale, economica e politica di ogni persona umana.
Dobbiamo fare appello alla
necessità della “buona cultura”, perché anche la coscienza unitaria dell’Europa
si sviluppi e si diffonda.
Siamo consapevoli che l’Europa
dei popoli si costruisce giorno per giorno, rafforzando lo studio e la
conoscenza delle comuni radici culturali e sociali. Si costruisce favorendo
occasioni di confronto tra culture diverse e soprattutto facendo sì che i
nostri giovani possano avere occasioni d’incontro con altri giovani europei per
creare nuovi e più forti legami di solidarietà, di amicizia, di cooperazione e
di pace. Valori questi che in questo inizio di secolo e di millennio, sembrano
acquisiti nella coscienza di ognuno di noi.
È necessario pertanto conoscere e
far conoscere l’Europa, far comprendere che l’Europa “siamo noi”.
Specie i giovani devono conoscere
e diffondere con consapevolezza ed entusiasmo i forti ed incommensurabili
valori dell’Unione dei Popoli Europei, senza più steccati e barriere, senza
egoismi e reticenze e soprattutto in spirito di pace, giustizia e solidarietà.
I giovani dovranno diventare
ambasciatori della nuova Europa Unita e Solidale, moltiplicatori d’opinione e
soprattutto testimoni di pace e di amicizia fra i popoli.
Credo che il Polo universitario di
Agrigento, la terra di Empedocle, della cultura greca, di san Gerlando, con una
visione europeistica e planetaria, possa assolvere a questo importante e
decisivo ruolo.
Tanto ha fatto il Polo
universitario di Agrigento, verso l’europeizzazione e l’internazionalizzazione
dell’università e ritengo ancora moltissimo potrà e farà in questa direzione.
Questa sera, desideriamo
incoraggiare i tanti giovani presenti, alla competizione, alla sfida, alla
lotta.
Carissimi giovani bisogna dire
con forza “no” all’indifferentismo, all’egoismo, alla rassegnazione. Bisogna
invece dire “si” alla responsabilità, all’impegno, alla giustizia, alla verità,
alla solidarietà ed alla serietà. Sì alla serietà, «Serietà, poi serietà, ed
infine serietà» soleva dire il nostro Gaetano Martino nei setti mesi in cui gli
fu affidato il Ministero della Pubblica Istruzione nel Governo Scelba.
Punto di partenza allora non possono che essere la “buona
cultura” e una “buona scuola” nella quale i giovani possano finalmente essere
non vasi da riempire bensì fuochi da accendere.
10. PONIAMOCI ALL’OPERA
Nel lontano 1849, Victor Hugo affermava: «Giorno verrà in
cui voi Francia, voi Italia, voi Russia, voi Inghilterra, voi Germania, voi
tutte, nazioni del continente, senza perdere le vostre qualità peculiari e la
vostra gloriosa individualità, vi fonderete strettamente in una unità superiore
e costituirete la fraternità europea […..]. Giorno verrà in cui non vi saranno
altri campi di battaglia all’infuori dei mercati aperti al commercio e degli
spiriti aperti alle idee. Giorno verrà in cui i proiettili e le bombe saranno
sostituiti dai voti….».
Oggi, a distanza di oltre centocinquant’anni,
quell’unione di Stati europei profetizzata da Victor Hugo, pur tra crisi,
timori e speranze, è diventata realtà.
Con Romano Prodi alla Presidenza della Commissione
Europea dal 1999 al 2004, l’Unione Europea ha realizzato il maggiore
allargamento della sua storia.
Oggi, nel primo decennio del XXI secolo, mezzo miliardo
di uomini e donne facenti parte di ventisette stati europei, hanno deciso di
condividere un medesimo percorso fondato sul rispetto e sulla tutela della
dignità della persona umana.
Oggi noi cittadini europei siamo liberi di circolare liberamente
in tutto il territorio dell’Unione Europea.
Oggi, oltre trecentotrenta milioni di europei, nonostante
i profeti di sventura, condividono la stessa moneta. Una conquista, questa, che
va preservata e difesa.
In futuro l’Unione europea dovrà continuare ad accogliere
nuovi Paesi per conciliare la sua storia con la sua geografia.
La rivoluzione tecnologica in corso sta radicalmente
trasformando il mondo industrializzato e nuove sfide, pertanto, si presentano
per l’Europa.
Tra i problemi da affrontare nel prossimo futuro ci sarà
anche quello di decidere, dove fissare le frontiere geografiche, politiche e
culturali.
L’Europa del XXI secolo ha una grande missione da
compiere. Una missione che ha delle priorità improcrastinabili che potranno
essere affrontate in modo efficace solo se uniti e in armonia. Garantire la
pace, la prosperità e la stabilità dei popoli; superare le divisioni del
continente; garantire la sicurezza dei cittadini; favorire uno sviluppo
economico e sociale il più equilibrato possibile; rispondere alle sfide della
globalizzazione e preservare le diversità e le peculiarità dei popoli europei;
sostenere i valori condivisi da tutti i cittadini europei come lo sviluppo
sostenibile, la salvaguardia del creato, il rispetto dei diritti umani e l’economia
sociale di mercato, rappresentano solo alcuni tra gli obiettivi principali di
questo grande sogno.
Mi sia consentito questa sera aggiungere al sogno europeo
un altro grande sogno: quello della costruzione di un “Mondo Unito”, di una grande
comunità mondiale giusta, libera, solidale e in pace.
Dalla nostra Sicilia sin da questa sera dobbiamo cercare di
riprendere il cammino con entusiasmo e vigore.
Il comune sentire, specie delle giovani
generazioni, va proprio in questa direzione.
Il nostro impegno nei prossimi giorni, nei prossimi mesi deve
tendere a diffondere questi ideali e soprattutto non stanchiamoci di coinvolgere
ed educare i giovani alla giustizia, alla pace, alla libertà ed alla verità.
Contribuiamo a riaccendere la speranza.
Madre Teresa di Calcutta soleva dire: «perché una lampada
continui a bruciare bisogna metterci dell’olio».
Con questa consapevolezza, poniamoci all’opera.
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