GIOVANNI TESE', L’unione dei popoli europei, pur tra crisi e timori, resta sempre una grande speranza ed un progetto irrinunciabile

SOMMARIO: 1. Introduzione – 2. Gaetano Martino, un politico siciliano che seppe guardare lontano – 3. I Padri fondatori dell’unione dei popoli europei – 4. La crisi attuale del processo di unificazione europea – 5. Irrinunciabilità del progetto europeista. L’Europa Unita condizione imprescindibile di pace e sviluppo – 6. Dalla crisi deve rinascere la speranza – 7. Un nuovo modo di concepire l’Europa – 8. Il ruolo della Sicilia – 9. La cultura, i giovani, la scuola, l’università – 10. Poniamoci all’opera.

 

1. INTRODUZIONE

 

«Mi auguro che in questa Conferenza aggiungeremo un’altra pietra alle fondamenta della costruzione europea». Con queste parole, il primo giugno del 1955, Gaetano Martino inaugurò i lavori della conferenza di Messina che rilanciò il processo di unificazione europea, dopo la brusca interruzione causata dal rifiuto dell’Assemblea Nazionale francese di approvare il progetto di costituzione della Comunità Europea di Difesa (C.E.D.).

Lasciate che anch’io, mutuando la storica espressione di Gaetano Martino, manifesti l’augurio e la speranza che con l’incontro di questa sera, qui a Racalmuto, si possa aggiungere un’altra pietra preziosa, se pur piccola che sia, per la costruzione dell’unione dei popoli europei; uno straordinario cantiere aperto da oltre sessant’anni.

Innanzitutto credo che sia doveroso rivolgere al nostro Enzo Sardo un sentito grazie per l’opportunità data a noi tutti di confrontarci sul passato, sul presente e soprattutto sul futuro della nostra cara vecchia Europa.

Desidero rivolgere ancora a Enzo Sardo un sentito ringraziamento anche a nome dei tantissimi giovani che hanno voluto partecipare a questo incontro ed in particolare mi sia consentito porgergli il saluto e la gratitudine da parte dei ragazzi dell’I.T.C.G. “G. Galilei” di Canicattì che con la loro partecipazione vogliono testimoniare i loro ideali europeistici e nello stesso tempo la fiducia e la speranza in un avvenire di pace e di giustizia sociale.

Enzo Sardo, individuando nel processo di unificazione europea la condizione primaria ed essenziale per la pace e lo sviluppo economico e sociale delle nostre popolazioni, molto opportunamente, ha voluto affidare le sue riflessioni ad un interessante volume: L’Europa e Gaetano Martino – Un lungo cammino verso la pace, che questa sera abbiamo il piacere di presentare.

Nelle centonovanta pagine di questo volume, distinte in tre capitoli e considerazioni finali, Enzo Sardo, in modo agile, semplice, scorrevole e non paludato, offre al cittadino comune, e soprattutto ai giovani, l’opportunità di ripercorrere con dovizia di particolari le tappe più importanti del processo di unificazione europea, uno straordinario progetto caratterizzato da crisi e timori ma soprattutto da grandi speranze.

L’Autore riesce a descrivere esaustivamente gli organi istituzionali ed i capisaldi del diritto comunitario e non manca, con le considerazioni finali, alcune condivisibili e altre meno, ma pur sempre interessanti, di stimolare un costruttivo confronto sulle prospettive politiche ed economiche del nostro Continente.

Enzo Sardo, apre e chiude il suo libro guardando ai giovani.

«Scavare nella storia per fare emergere alcune verità positive diventa un lavoro faticoso, ma utile e necessario per la giusta formazione delle nuove generazioni», è l’incipit con il quale l’Autore apre il suo libro. E lo chiude così: «Infine, voglio ricordare che questo volume vuole rappresentare soltanto un piccolo contributo da sottoporre alla riflessione di quei giovani che costituiranno la futura classe dirigente della nostra società, ai quali voglio rammentare che per condurre una vita libera e dignitosa non si possono trascurare i valori della dignità umana, della famiglia, della legalità, della speranza, della sapienza, della solidarietà e della redenzione. Sarebbe oltremodo stupendo studiare, lavorare ed operare per trasformare la speranza in realtà, la difficoltà in possibilità e la democrazia e la pace in benessere sociale».

Nel ripercorrere la genesi e le asperità del lento ma inarrestabile cammino del processo di unificazione europea, il nostro Autore si è fatto accompagnare, idealmente, da uno tra i più grandi Ministri degli Esteri che l’Italia repubblicana abbia conosciuto: Gaetano Martino.

 

2. GAETANO MARTINO, UN POLITICO SICILIANO CHE SEPPE GUARDARE LONTANO

 

Il Ministro Martino, nostro illustre conterraneo, siciliano di Messina, poco conosciuto dalle nuove generazioni, purtroppo è stato ed è, inspiegabilmente, dimenticato ed addirittura ignorato dalla gran parte degli storici. Tutto ciò, secondo la professoressa Gabriella Portalone Gentile, rappresenta «uno dei tanti misteri della storiografia più recente».

Eppure Gaetano Martino fu uno dei Padri Costituenti più stimati ed apprezzati dai suoi contemporanei per la sua serietà e la sua competenza.

L’illustre politico siciliano fu un autonomista e un regionalista convinto ma soprattutto fu un “profeta” dell’unione dei popoli europei. «Il siciliano che vide l’Europa», disse di lui Federico Orlando.

Gaetano Martino per la sua lungimiranza politica, per le sue doti diplomatiche e, perché no, anche per la perfetta conoscenza di ben cinque lingue che gli consentiva di dialogare direttamente e senza intermediazioni con i protagonisti europei del suo tempo, fu sicuramente, tra il 1954 e il 1957, una delle espressioni più alte della politica estera ed uno tra gli artefici principali del processo d’integrazione e dell’unione degli Stati nazionali della nostra Europa.

Grazie all’impegno di politici lungimiranti come il nostro Ministro Martino, infatti, i rappresentanti di sei Stati nazionali europei, da sempre in conflitto tra loro, per la prima volta in oltre due mila anni di storia, senza ricorrere alla brutalità delle armi e della guerra, bensì, come afferma lo storico inglese Paul Anthony Ginsborg, utilizzando solo la forza della «persuasione e del consenso», seppero mettere finalmente in comune le loro risorse e rinunciando, almeno in parte, alle rispettive sovranità nazionali, crearono le premesse e le condizioni per garantire la pace, lo sviluppo e la sicurezza sociale nel nostro Continente.

Gaetano Martino, coerentemente con la linea tracciata da Alcide De Gasperi di cui fu grande amico, fu il Ministro degli Esteri italiano che nell’ottobre del 1954 contribuì a risolvere l’annosa questione di Trieste e nel dicembre del 1955 riuscì ad ottenere l’ingresso dell’Italia all’ONU.

Il 14 dicembre 1955, infatti, dopo otto anni e mezzo di mortificante ed ingiusto ostracismo, per l’incessante e convincente azione diplomatica del nostro illustre conterraneo, col voto unanime del Consiglio di Sicurezza e dell’Assemblea Generale, l’Italia, finalmente, entrò a far parte dell’Organizzazione delle Nazioni Unite.

Anche in occasione della Conferenza dei maggiori Paesi europei, tenutasi a Londra nel settembre del 1954, Gaetano Martino, dimostrando straordinarie capacità diplomatiche e col suo intervento risolutore, riuscì a sbloccare la situazione d’empasse venutasi a creare anche in quella circostanza.

Il Ministro Martino propose con successo, nonostante la ferma opposizione del francese André François-Poncet, un incontro di soli politici senza funzionari. Grazie a quell’incontro fu possibile rilanciare l’Unione Europea Occidentale (U.E.O.), contribuendo così a far ripartire ancora una volta l’agognato cammino verso l’integrazione dei popoli europei.

Fu un piccolo e significativo passo avanti. Una nuova seria speranza.

Fu sempre grazie all’intelligenza politica e alle capacità di mediazione di Gaetano Martino che seppe ideare, ispirare e organizzare la Conferenza Intergovernativa di Messina, ormai nota come la Conferenza del Rilancio europeo, che si riuscì a rimettere in moto il processo di unificazione europea.

A tal riguardo Nicole Claude Marie Fontaine, Presidente del Parlamento Europeo dal 1999 al 2002, parlando di Gaetano Martino disse che: «il suo capolavoro fu senz’altro l’organizzazione della Conferenza di Messina dell’1 e 2 giugno 1955, grazie alla quale il motore europeo tornò a girare e il Mercato comune si realizzò».

Con la Conferenza tenutasi a Messina e Taormina, perché, come disse lo stesso Martino, i partecipanti «respirassero la cultura millenaria del Mediterraneo e ispirassero alla sua eredità la Costruzione della Nuova Europa », ed alla quale vi parteciparono i ministri degli esteri dei sei paesi membri della CECA, il francese Pinay, il belga Spaak, il lussemburghese Bech, l’olandese Beyen, il sottosegretario tedesco Hallstein e ovviamente il nostro Ministro degli esteri Gaetano Martino, fu possibile, infatti, riprendere il cammino per l’unificazione europea.  

Un cammino che portò alla firma dei trattati di Roma, istitutivi della Comunità Economica Europea e della Comunità dell’energia atomica.

Gaetano Martino, insieme al Presidente del Consiglio Antonio Segni, il 25 marzo del 1957, ebbe l’onore di essere tra i firmatari di quei Trattati che, di fatto, sancirono l’atto di nascita dell’unione dei popoli europei.

La cerimonia della firma si tenne solennemente in Campidoglio nella sala degli Orazi e Curiazi del Palazzo dei Conservatori, la stessa, dove il 29 ottobre 2004 i rappresentanti dei venticinque Paesi membri dell’Unione hanno firmato la Costituzione per l’Europa.

Basterebbe solo questo per additare alle nuove generazioni il nostro conterraneo Gaetano Martino, quale fulgido esempio di politico e di statista illuminato e lungimirante.

I Trattati di Roma, prevalentemente di natura economica, costituirono la prima tappa fondamentale del processo di unificazione europea, anche se non rappresentarono l’obiettivo vero di Gaetano Martino che insieme ai Padri fondatori sognava un’Europa di popoli uniti nella pace e nello sviluppo equo e solidale.

 

3. I PADRI FONDATORI DELL’UNIONE DEI POPOLI EUROPEI

 

Enzo Sardo nel suo volume non tralascia di indicare, specie ai giovani, le monumentali figure di altri grandi europeisti e dei Padri fondatori dell’Unione dei popoli europei.

Ne ricorda tantissimi e lo fa ripercorrendo le tappe significative della loro vita, del loro vissuto, delle loro famiglie, della loro cultura, riportando, seppur in modo necessariamente sintetico ma esaustivo ed eloquente, le loro biografie.

Tra queste ricordiamo quelle dei francesi Robert Schumann, Jean Monnet, e Antoine Pinay, dei tedeschi Konrad Adenauer, Walter Hallstein, Willy Brandt ed Helmut Kool, del belga Paul - Henri Spaak, del lussemburghese Joseph Bech, dell’olandese Jan Willem Beyen, degli italiani Alcide De Gasperi, Luigi Sturzo, Altiero Spinelli, Ernesto Rossi, Luigi Einaudi, Emilio Colombo, Gaspare Ambrosini e naturalmente di Gaetano Martino.

Straordinarie, significative ed opportune sono le biografie di Alcide De Gasperi, Robert Schumann e Konrad Adenauer che l’Autore ci propone.

Tre grandi uomini di frontiera, tre grandi cristiani, tre giganti della storia che conobbero anche il carcere per i loro ideali di pace, di giustizia e di solidarietà. Tre uomini, tra i migliori d’Europa, che grazie al loro impegno, ai loro ideali e alla loro fede riuscirono a fare dell’Europa, dopo secoli di guerre fratricide, una terra di pace e di sviluppo.

Questi tre grandi politici democristiani, l’italiano Alcide De Gasperi, il francese Robert Schumann ed il tedesco Konrad Adenauer, autentici Padri dell’Europa contemporanea, devono sicuramente essere additati alle nuove generazioni come modelli da seguire e da imitare.

E mi sia consentito riproporre anche in quest’occasione l’eloquente interrogativo che Giovanni Paolo II quando parlava di loro si poneva: «Non è significativo che tra i principali promotori dell’unificazione del continente europeo vi siano uomini animati da profonda fede cristiana?»

 

4. LA CRISI ATTUALE DEL PROCESSO DI UNIFICAZIONE EUROPEA

 

Questo nostro incontro cade in un periodo nel quale la grande tensione ideale e politica per un’Europa dei Popoli, così come immaginata dai Padri fondatori, e il grandioso progetto per un’Europa senza frontiere, dagli Urali all’Atlantico, così come auspicava il Santo Padre Giovanni Paolo II, registrano un notevole arretramento.

Il Gigante Europa sembra immobile, sonnecchiante, melanconico, incapace di scuotersi dal suo torpore. Tutti sembrano indifferenti, rassegnati, financo sdegnati.

Ancora una volta il processo di integrazione dei popoli europei sta subendo l’ennesima battuta d’arresto. Ancora una volta è crisi e i timori prevalgono su tutto.

Invero il cammino del processo di unificazione europea si è allontanato notevolmente dalla giusta direzione e la strada intrapresa non va sicuramente verso l’unione dei popoli europei nella solidarietà e nella giustizia.

Le diverse realtà sociali, le aggressioni speculative, il debito dei Paesi membri, le diverse velocità dell’economia e le tattiche politiche nazionali stanno facendo emergere molte contraddizioni.

Ad aggravare la situazione è quel liberismo sfrenato, egoista, senza etica e senza freni morali che ormai impera in Europa e che genera disuguaglianze, sacche di marginalità, nuove povertà e, ancor più grave, potrebbe avere sviluppi imprevedibili e forse anche violenti.

Le incomprensioni ed i pericoli di una paralisi non sono pochi.

Il progetto europeista vive sicuramente un periodo convulso, contraddittorio, complesso e difficile. Ormai è scontro aperto tra chi ritiene che l’Unione Europea sia un obiettivo da perseguire e tra chi ritiene che sia un processo da fermare.

Oggi l’Europa, specie nel sud, viene percepita dai cittadini come un’entità lontana e addirittura ostile.

Oggi l’Europa è vista come la strega cattiva e malvagia, sempre pronta a bacchettare, a bastonare, a punire. “L’Europa non vuole”, “L’Europa lo vieta”, “L’Europa non lo consente” e via via di questo passo; così è percepita oggi l’Europa.

L’Unione Europea per la direzione intrapresa, secondo moltissimi cittadini, non è più quel grande sogno per cui impegnarsi e lottare e non è più quello straordinario grande obiettivo capace di garantire pace, sviluppo sociale, economia sostenibile, bene comune e rispetto della dignità per gli esseri umani.

Oggi l’Europa è vista solo come un manipolo di potenti e di banchieri cinici e senza scrupoli che hanno il solo intento di sottomettere il popolo socialmente, economicamente e politicamente.

La percezione negativa è generalizzata. E purtroppo, ahimè, ahinoi, non si tratta solo di una percezione, bensì l’amara constatazione di una triste realtà.

Chi governa oggi l’Europa ha deragliato dalla via maestra e dal sogno dei Padri fondatori che sicuramente si sentirebbero traditi da scelte che mirano ad obiettivi decisamente opposti da quelli da loro voluti.

Oggi lo scenario europeo che si presenta ai nostri occhi è caratterizzato da una crisi economica globale, da una disoccupazione, specie quella giovanile, che sta raggiungendo livelli senza precedenti nella nostra Unione e da una pressione tributaria, specialmente in Italia, ingiustificata e insostenibile.

La crisi economica e finanziaria internazionale del 2008 comincia a far sentire i suoi effetti e potrà avere conseguenze pesantissime per la crescita e l’occupazione nell’UE e saranno, ovviamente e come sempre, i Paesi e le persone più vulnerabili a pagarne il conto.

Ed è proprio in questa difficile fase del percorso, in cui il riproporsi prepotente di atavici e pericolosi egoismi nazionali e di facili populismi che si rischia di precipitare in un baratro con conseguenze inimmaginabili.

Oltre a tutto ciò, non possiamo non evidenziare il desiderio revanscista e sciovinista mai sopito di frange fanatiche ancora operanti nella nostra Europa che insieme ad un cinico atteggiamento dei Paesi economicamente più forti e ad un sempre crescente e pericoloso deficit di libertà e democrazia, mettono ancora una volta in pericolo il sogno dell’unione libera e democratica dei popoli europei.

Nel 2004, ultime stime disponibili, nell’Unione, ben settantotto milioni di persone risultavano esposte al rischio di povertà e circa ventiquattro milioni di cittadini si trovavano a dover tirare avanti con meno di dieci euro al giorno. Ed anche l’Italia non è immune da questi rischi. Oggi il nostro Paese si trova a misurarsi con oltre l’11% di disoccupati e con percentuali ben più alte ed allarmanti nel sud d’Italia ove riemerge lo spettro di una nuova bomba sociale e di una nuova “questione meridionale”.

C’è chi sperpera e chi non ha nulla.

A proposito di sprechi credo sia doveroso ricordare che proprio oggi a Bologna si celebra la conclusione della Giornata europea contro lo spreco alimentare, iniziata a Bruxelles lo scorso 28 ottobre, che si pone come obiettivo il dimezzamento dello spreco entro il 2025.

Anche in questa direzione mi auguro debba dirigersi il nostro impegno quotidiano.

Non possiamo non evidenziare le problematiche emergenti sul versante della democrazia e della libertà.

In questi ultimi tempi abbiamo cominciato ad assistere al varo di leggi che, di fatto, mutilano la sovranità popolare e limitano i più elementari diritti di libertà.

Certo, oggi, desta non poca preoccupazione apprendere che la libertà di stampa in Italia si colloca al 49° posto della classifica mondiale del 2010, pubblicata da “Reporter Sans Frontieres”.  In tale posizione l’Italia è stata raggiunta dal Burkina Faso. Questo dato dimostra purtroppo l’interferenza del potere politico ed economico sui mass media. Interferenza che, di fatto, limita fortemente la libertà e la democrazia.

A ciò si deve aggiungere il grave “deficit democratico” che caratterizza le modalità di formazione e legittimazione delle Istituzioni dell’Unione Europea nonché del loro funzionamento e delle loro procedure decisionali che rende la situazione sempre più gravida d’incognite e allontana i cittadini sempre di più dal sogno europeista.

Secondo Eurobarometro la fiducia nell’Unione Europea è scesa ai minimi storici.

I sostenitori dell’integrazione sono delusi dall’inconcludenza delle Istituzioni Comunitarie.

Solo il quarantanove per cento degli europei crede che l’appartenenza all’Unione Europea sia «una buona cosa». Quasi il dieci per cento in meno rispetto al 2008, scrive Marco Zatterin su La Stampa.

Il dato è  preoccupante, soprattutto se si considera che il calo non è dovuto all’aumento degli euroscettici, ma alla diminuzione degli euroentusiasti.

Sempre Marco Zatterin sostiene che: «c’è meno gente che pensa che l’Europa sia “una buona cosa” non perché sia contraria all’integrazione, ma perché si sente tradita dai Ventisette e dal modo in cui “maneggiano” il progetto di integrazione. La gente si sente abbandonata dalla politica e dai bassi giochi di potere che si orchestrano fra le capitali e Bruxelles».

La crisi greca ha posto in luce i pareri contrastanti degli Stati europei sui differenti metodi da adottare per cercare di risolvere l’empasse.

La crisi che stiamo attraversando è drammatica e le immagini di Atene che brucia, non fanno altro che accelerare l’inevitabile redde rationem.

È proprio in questi giorni che l’Europa si confronta sulle nuove regole da varare per porre in essere un nuovo, concreto e significativo patto di stabilità.

Il confronto tra euro - intransigenti ed euro- flessibili si acuisce sempre di più. C’è ancora chi si dimostra pessimista ed euroscettico e c’è chi di contro pensa all’Europa come una potenza mondiale in cui la pluriappartenenza e la molteplicità delle appartenenze, è nel DNA di ogni cittadino.

Chi si aspettava che le nuove Istituzioni dell’Unione Europea introdotte dal trattato di Lisbona avrebbero dato una svolta al processo d’integrazione è rimasto deluso. Non solo, alla delusione si aggiunge anche la preoccupazione generata da iniziative che contraddicono l’essenza stessa dello spirito comunitario.

L’espulsione dei rom da parte della Francia di Sarkozy o la mancata accoglienza di tanti immigrati e perseguitati politici che dal sud del mondo vengono verso di noi, ne sono un esempio.

E quest’Europa cosa fa di fronte a questo scenario tutt’altro che incoraggiante? Nulla, anzi continua a bacchettare, a vietare, a inasprire la pressione fiscale in nome di una tanto declamata stabilità che in realtà è diventata solo una mera illusione.

Ebbene, questa Europa così lontana dai problemi della gente, dalle persone, dal bene comune, noi non la vogliamo.

L’Europa che noi vogliamo e per cui siamo disposti a lottare per tutto il tempo che sarà necessario, è un’Europa abitabile, sicura, vivibile a misura della dignità di ogni persona umana, un’Europa dei popoli, dello sviluppo equo, solidale e sostenibile, del bene comune, della giustizia sociale, della verità, della libertà, della democrazia, della sussidiarietà, quella per la quale i nostri Padri Europeisti hanno lottato e sperato.

Certo è inutile negarlo, oggi più di ieri, i problemi da affrontare e risolvere sono tanti e non facili.

E allora, oggi più di ieri, è inevitabile chiederci: il grande progetto dell’unione dei popoli europei sì è infranto definitivamente? L’unione politica europea ha ancora un futuro? Ci sono ancora oggi gli spazi e la volontà di ripartire con lo stesso entusiasmo di un tempo? Quali sono i rimedi possibili e necessari per ricominciare con rinnovato vigore?

 

5. IRRINUNCIABILITÀ DEL PROGETTO EUROPEISTA. L’EUROPA UNITA CONDIZIONE IMPRESCINDIBILE DI PACE, LIBEERTÀ E SVILUPPO


Nonostante la crisi, nonostante gli immensi problemi che abbiamo di fronte, penso che il progetto europeista, oggi più di ieri, non sia soltanto irrinunciabile ma anche e soprattutto condizione imprescindibile di pace, libertà e sviluppo.

Oggi siamo fermamente convinti, specialmente chi come noi crede fermamente negli ideali dell’unione dei popoli europei, che non ci sono alternative. Nessuno s’illuda che il vero processo di unione dei popoli europei possa avere alternative praticabili senza il rischio di pericolosi salti nel buio.

Oggi gli europei devono affrontare questa ennesima impasse uniti e compatti.
Occorre che ogni europeo, senza pessimismi o facili ottimismi, senza pensare di voler «curare le delusioni con le illusioni», come soleva dire Gaspare Ambrosini - un altro grande siciliano regionalista ed europeista - ma con realismo e fiducia, si convinca, prima di ogni cosa, che senza l’Europa unita, la pace, la libertà e lo sviluppo economico-sociale potrebbero essere irrimediabilmente compromessi.
Siamo consapevoli, peraltro, che pace, libertà, sicurezza e sviluppo sono legati indissolubilmente.
 “O l’Europa si unisce o l’Europa perisce”, ben potrebbe essere l’ammonimento da ricordare costantemente e che deve accompagnare il nuovo cammino.
Robert Schumann il 9 maggio 1950, data che diede origine al processo d’integrazione europea, dichiarava solennemente che: «la pace mondiale […] potrà essere salvaguardata solo con il contributo che un’Europa organizzata e vitale può apportare.[…..] L’Europa non potrà farsi in una sola volta, né sarà costruita tutta insieme; essa sorgerà da realizzazioni concrete che creino anzitutto una solidarietà di fatto».
Il Presidente della Repubblica Giorgio Napolitano il 15 maggio 2006, in occasione del suo giuramento come Capo dello Stato a Montecitorio con le Camere riunite in seduta comune, affermava solennemente che: «… non esiste, dinanzi alle sfide del futuro, alcuna alternativa al rilancio della costruzione europea». E sottolineava che: «… con il processo di unificazione europea, non solo si è portata a compimento la più grande impresa di pace del secolo scorso nel cuore dell’Europa, non solo si è realizzato uno straordinario e duraturo avanzamento economico e sociale, civile e culturale nei paesi che si sono via via associati al progetto, ma si sono poste le radici di un irreversibile moto di avvicinamento e integrazione tra i popoli, le realtà produttive, i sistemi monetari, le culture, le società, i cittadini, i giovani delle nazioni europee».
Sul tema della pace, mi piace ricordare ancora un passo dell’intervento di Gaetano Martino pronunciato in occasione  della ratifica del Trattato sull’ampliamento dell’U.E.O. Nella tornata del 12 ottobre 1954, il Ministro Martino affermò testualmente: «… credo di poter dire con coscienza che a Londra abbiamo lavorato per la pace. La pace non si predica, ma si costruisce, e si costruisce eliminando via via le cause dei dissensi che dividono i popoli, e apprestano validi strumenti per la loro più intima collaborazione. […..] Noi non possiamo avere speranza di potere salvare la pace ammettendo di potere rinunziare alla libertà; ma nemmeno possiamo pretendere di serbare la libertà perdendo la pace. La difesa della pace e della libertà é solidale ed indivisibile».
Anche per queste considerazioni siamo fortemente convinti che pur tra timori e speranze, tra paure ed ottimismo, tra accelerazioni repentine e soste talvolta lunghissime, la strada maestra è e rimane quella dell’impegno europeistico, un impegno serio e responsabile scevro da egoismi e soprattutto volto alla solidarietà e al bene comune.

6. DALLA CRISI DEVE RINASCERE LA SPERANZA

Nel 1955 Albert Einstein scriveva testualmente: «Non pretendiamo che le cose cambino, se facciamo sempre la stessa cosa. La crisi è la migliore benedizione che può arrivare a persone e Paesi, perché la crisi porta progressi. La creatività nasce dalle difficoltà nello stesso modo che il giorno nasce dalla notte oscura. È dalla crisi che nascono l’inventiva, le scoperte e le grandi strategie. Chi supera la crisi supera se stesso senza essere superato. Chi attribuisce alla crisi i propri insuccessi e disagi, inibisce il proprio talento e ha più rispetto dei problemi che delle soluzioni. La vera crisi è la crisi dell’incompetenza. La convenienza delle persone e dei Paesi è di trovare soluzioni e vie d’uscita. Senza crisi non ci sono sfide, e senza sfida la vita è una routine, una lenta agonia. Senza crisi non ci sono meriti. È dalla crisi che affiora il meglio di ciascuno, poiché senza crisi ogni vento è una carezza. Parlare della crisi significa promuoverla e non nominarla vuol dire esaltare il conformismo. Invece di fare ciò dobbiamo lavorare duro. Terminiamo definitivamente con l’unica crisi che ci minaccia, cioè la tragedia di non voler lottare per superarla».
Ebbene la lezione di Einstein oggi più che mai è valida, attuale ed utile per affrontare le sfide che ci attendono.
Non possiamo rinunciare alla lotta, alle sfide, alle competizioni che la storia ci presenta. Sarebbe assurdo darci per vinti. Specie i giovani non possono tirarsi indietro.
Gaspare Ambrosini sosteneva che: «… la fede nell’avvenire è il primo  elemento della vita e del progresso. I giovani non possono essere scettici e pessimisti …».
In quest’ottica sentiamo di grande attualità il pensiero e l’opera di Gaetano Martino, di Alcide De Gasperi, di Altiero Spinelli e dei Padri fondatori che dinanzi alla situazione drammatica lasciata dalla guerra che aveva visto gli stati europei, ancora una volta, l’un contro l’altro armati, non si arresero mai nel portare avanti il loro progetto europeistico.
Aveva ragione Jacques Delors, anch’egli uno dei padri fondatori dell'Europa, quando in relazione alle modeste prospettive politiche a lungo termine per l'Europa, affermava: «Abbiamo perso la memoria di dove veniamo, come possiamo avere un’idea di dove andare?»
E noi non dobbiamo perdere la memoria. Dobbiamo volgere lo sguardo al passato per vivere e capire meglio il presente e guardare con fiducia l’avvenire.
Occorre allora riprendere il cammino fiduciosi e consapevoli che il processo di unificazione europea, seppur a piccoli passi, come dicevano Monnet e Schumann, o come sono in tanti a dire facendo “due passi avanti ed uno indietro”, dovrà andare sempre avanti.
Per fortuna le società europee sono molto più unite di quanto non pensino le élites politiche ed economiche europee. Di ciò bisogna che la politica ne prenda atto.
L’Erasmus, uno straordinario progetto che sta caratterizzando generazioni di giovani studenti europei, e le tante compagnie aeree low cost che, di fatto, hanno annullato ogni distanza, sono soltanto due dei tanti elementi di un’Europa che considera ormai superate ed obsolete le frontiere nazionali.
Certamente al tempo di De Gasperi, Schumann e Adenauer parlare di Europa Unita era solo da folli sognatori.
Allora fu la politica a portare l’Europa nella società. Oggi è la società che deve riportare l’Europa nella politica.
La crisi che stiamo vivendo non deve portarci, quindi, allo scoramento e all’immobilismo. Anzi  serve al più presto un segnale di risveglio ed è proprio dalla crisi che deve rinascere la speranza.
Molto, anzi moltissimo, deve essere fatto. Molto potranno fare i giovani ai quali affidiamo questo messaggio di speranza.
Molto potremo fare tutti noi, nel nostro piccolo, nel nostro quotidiano, per contribuire affinché il sogno dell’unione dei popoli europei diventi realtà.
Speriamo che anche quello di oggi possa essere un piccolo passo avanti in questa direzione.

7.  UN NUOVO MODO DI CONCEPIRE L’EUROPA

Bisogna pensare, però, ad un nuovo modo di concepire l’Europa, non più fondata sul solo interesse economico, cinico, freddo e spesso disumano.
Bisogna cambiare radicalmente rotta rispetto a quella in atto intrapresa che condurrebbe solo alla disgregazione con conseguenze disastrose.
Bisogna avere il coraggio di dire “no” all’Europa dei mercanti e un grande “sì” all’Europa dei popoli.
Bisogna pensare a un nuovo progetto di pace, sviluppo e cooperazione ed impegnarsi con il massimo sforzo per la promozione culturale, sociale, politica ed economica di ogni persona umana e per tutelare la sua dignità e la sua libertà.
Occorre adoperarsi per rimuovere concretamente quel deficit democratico che ha caratterizzato gli organi europei sin dalla loro nascita e che inevitabilmente ha contribuito a generare forti disaffezioni per gli ideali europeistici.
Purtroppo la democrazia delle istituzioni europee è stata costruita in gran parte sulla sabbia. Jacques Maritain soleva dire che: «La tragedia delle democrazie moderne è che non sono ancora riuscite a realizzare la democrazia».
Occorre, quindi, rivitalizzare innanzi tutto la democrazia delle istituzioni europee cercando di connettere rappresentanza e partecipazione, economia e politica, famiglia ed istituzioni.
Gaetano Martino in occasione del discorso tenuto nella seduta del 25 marzo 1963 al Parlamento Europeo, sostenne che: «Non basta la fredda ragione dei governi per costruire l’Europa; occorre necessariamente la passione dei popoli […..] occorre che la vela della ragione governativa sia gonfiata dal vento della passione popolare. Occorre, in altri termini, che l’opera dei governi possa fondarsi sulla fedele e sincera adesione degli europei. Ecco perché […..] l’elezione a suffragio universale diretto del Parlamento Europeo, è di importanza fondamentale per il progresso e per il consolidamento del processo che è in atto …».
Passarono sedici anni da quel discorso perché i cittadini dei nove Paesi aderenti alla Comunità Europea, tra il 7 e il 10 giugno 1979, potessero scegliere, per la prima volta, a suffragio universale diretto, i 410 rappresentati degli stati membri in seno al Parlamento europeo.
Sempre al riguardo mi piace ricordare che grandi europeisti come Jean Monnet e Altiero Spinelli che auspicavano, con il necessario coinvolgimento popolare, istituzioni comuni in grado di consentire agli Europei di parlare con una sola voce nel mondo: la Federazione europea.
Jean Monnet sosteneva che: «… i cittadini europei e i loro rappresentanti, ad ogni livello territoriale e in ogni ambito del sistema economico sociale e culturale, sono chiamati a far sentire la loro voce in ogni sede e con ogni interlocutore politico esistente per chiedere che le loro rivendicazioni, i loro problemi, le loro proposte per un mondo migliore trovino recepimento anche in un vero governo federale europeo, organo esecutivo di una democratica entità statuale sovranazionale aperta a tutti i paesi europei».
Oggi noi abbiamo il diritto-dovere di rivendicare a gran voce, nel solco tracciato quasi cinquant’anni fa da Martino e dai Padri fondatori, una grande competizione democratica che porti almeno all’elezione a suffragio universale diretto di un Presidente dell’Unione Europa ed un Parlamento con pieni poteri legislativi, almeno su determinate materie.
Ed ancora, bisogna lavorare per il rispetto delle peculiarità locali. Solo con una forte valorizzazione delle peculiarità locali si potranno superare vecchi e nuovi nazionalismi.
Per guardare concretamente all’avvenire dell’Europa, a quel futuro che riguarda ognuno di noi, non si potrà fare a meno nel bene e nel male, nell’identità e nella differenza, di ripensare la comune tradizione che lega gli uomini, le donne, i giovani dei paesi europei e il passato della nostra civiltà. Solo così potremo renderci conto dell’importanza imprescindibile dell’unione dei popoli europei.
Occorre ancora ripensare ad un’Europa fondata sui fondamentali valori della nostra civiltà: la libertà, la democrazia, la tutela della dignità della persona umana, il carattere sacro della vita, il ruolo centrale della famiglia e delle formazioni sociali, l’importanza dell’istruzione e della cultura, la libertà di pensiero, di parola, di coscienza e di religione, la cooperazione, il bene comune, l’amore sociale ed il lavoro in funzione dell’uomo ed inteso come partecipazione all’opera del Creatore, come ebbe a dire un altro Grande Europeista Giovanni Paolo II, parlando nel 1989 ad Uppsala.
Bisogna pensare un’Europa capace di promuovere azioni positive volte all’inclusione attiva poiché nessun paese può sottrarsi alle conseguenze della crisi globale che ci penalizza.
Il 2010 è l’anno europeo della lotta alla povertà e all’esclusione sociale.  È necessario quindi continuare anche oltre quest’anno che va a concludersi nell’opera di sensibilizzazione sui problemi dell’esclusione sociale.
Nel frattempo si devono consolidare le basi di un’Unione europea dei cittadini e per i cittadini, convinti come siamo che solo un’Europa unita potrà essere punto di riferimento e di equilibrio per la pace ed i destini del pianeta.
Da eurocentrica e colonialista, la politica europea si deve trasformare in planetaria ed altruistica.
Solo con un grande senso di solidarietà si potranno superare vecchi e nuovi squilibri. La vocazione della nuova Europa deve essere “la condivisione della solidarietà”. Solidarietà con chi soffre, con chi ha bisogno, con gli altri, con i deboli in qualunque parte d’Europa e del mondo si trovino.
Occorre che l’Europa dei popoli e delle autonomie locali si debba costruire su una filosofia diversa, non più basata sul primato dell’io, ma sul primato dell’ altro.
L’altro per l’Europa è l’Asia, l’America Latina, la Russia, il Sud e l’Est d’Europa.
L’altro per l’Europa, oggi più che mai, è rappresentato dall’Africa; un’Europa federata, forte sia in campo industriale sia in campo agricolo e proiettata nel Mediterraneo, avrebbe nell’Africa un’attiva interlocutrice.
Appare pertanto, necessario ed improcrastinabile riattivare seriamente e concretamente un dialogo serio e responsabile con i paesi dell’Africa bagnati dal Mediterraneo.
Osservava acutamente Jean Martin: «l’Europa avente per sua natura una vocazione universale, dovrà creare un ponte con l’Africa e dare vita ad un grande complesso euro- africano».

8. IL RUOLO DELLA SICILIA

In questo contesto é proprio la Sicilia che potrebbe diventare l’ideale cerniera ed interlocutrice.
Sono convinto che la Sicilia, crocevia di mille culture, ponte ideale tra Europa ed Africa, non rappresenta, come vogliono far credere, l’estremo lembo d’Europa povero e parassitario, ma potrà rappresentare il centro propulsore della nuova Europa del terzo millennio, capace di costruire un autentico progetto di pace, sviluppo e cooperazione.
Mi piace da qui lanciare l’idea di costituire un grande movimento per candidare la Sicilia ed Agrigento con la sua cultura millenaria, quale capitale dell’Europa euro - mediterranea, la capitale della nuova Europa del terzo millennio.

9. LA CULTURA, I GIOVANI, LA SCUOLA, L’UNIVERSITÀ

 

Gaetano Martino da docente e da buon maestro riteneva che compito dei più grandi dovesse essere quello di creare un ponte indistruttibile con i giovani cui tramandare sapere ed esempi di rettitudine e di onestà intellettuale. Sosteneva, altresì, che il mondo avrebbe potuto sperare in un futuro migliore solo se la scuola avesse attuato universalmente la sua principale missione per la formazione culturale, politica e morale delle giovani generazioni.

         

Martino credeva nel ruolo fondamentale esercitato dalla cultura per forgiare il cittadino europeo ed è per questo che credeva fortemente nella creazione di una Università europea, prevista peraltro nel trattato dell’Euratom.

Il  Presidente della Repubblica  emerito Carlo Azeglio Ciampi il 18 settembre 2002, in occasione della cerimonia di apertura dell’anno scolastico, rivolgendosi agli studenti ha detto testualmente: «…L’istruzione è il motore dello sviluppo; l’altro tema su cui impegnarsi è la cittadinanza europea. [….] L’Europa cari ragazzi e ragazze, è la vostra avventura. È un’avventura di vita e di ideali, di conoscenza e di comportamenti. [….] Per voi è altrettanto importante studiare altre lingue oltre all’italiano e imparare ad usarle; avere consapevolezza, pur sommaria, del pensiero e delle espressioni culturali delle altre nazioni d’Europa;  conoscere il mondo; parlare con i vostri coetanei. Ci vogliono nuove iniziative, come l’Erasmus, anche per le scuole superiori e per le scuole medie. Così si costruisce la comune identità del futuro. [….] La scuola è il luogo fondamentale per realizzare tutto questo e dunque deve essere “aperta a tutti” e “i capaci e meritevoli, anche se privi di mezzi” debbono poter “accedere ai gradi più alti dell’istruzione».

Quanto detto da Ciampi ci spinge a rivendicare con forza, anche in questa sede, un’Università realmente libera, aperta ed accessibile a tutti senza distinzione alcuna, senza steccati o barriere, senza quell’odiosa e discriminante imposizione di passare sotto le forche caudine costituite da tanto inutili quanto fuorvianti test d’ammissione che a tutti i compiti assolvono tranne quello di selezionare i veri capaci e i veri meritevoli. Dobbiamo aspirare ad un’Università con una grande vocazione sociale e popolare, che sappia guardare con coraggio al futuro e capace di favorire autenticamente e concretamente la promozione, culturale, sociale, economica e politica di ogni persona umana.

Dobbiamo fare appello alla necessità della “buona cultura”, perché anche la coscienza unitaria dell’Europa si sviluppi e si diffonda.

Siamo consapevoli che l’Europa dei popoli si costruisce giorno per giorno, rafforzando lo studio e la conoscenza delle comuni radici culturali e sociali. Si costruisce favorendo occasioni di confronto tra culture diverse e soprattutto facendo sì che i nostri giovani possano avere occasioni d’incontro con altri giovani europei per creare nuovi e più forti legami di solidarietà, di amicizia, di cooperazione e di pace. Valori questi che in questo inizio di secolo e di millennio, sembrano acquisiti nella coscienza di ognuno di noi.

È necessario pertanto conoscere e far conoscere l’Europa, far comprendere che l’Europa “siamo noi”.

Specie i giovani devono conoscere e diffondere con consapevolezza ed entusiasmo i forti ed incommensurabili valori dell’Unione dei Popoli Europei, senza più steccati e barriere, senza egoismi e reticenze e soprattutto in spirito di pace, giustizia e solidarietà.

I giovani dovranno diventare ambasciatori della nuova Europa Unita e Solidale, moltiplicatori d’opinione e  soprattutto testimoni di pace e di amicizia fra i popoli.

Credo che il Polo universitario di Agrigento, la terra di Empedocle, della cultura greca, di san Gerlando, con una visione europeistica e planetaria, possa assolvere a questo importante e decisivo ruolo.

Tanto ha fatto il Polo universitario di Agrigento, verso l’europeizzazione e l’internazionalizzazione dell’università e ritengo ancora moltissimo potrà e farà in questa direzione.

Questa sera, desideriamo incoraggiare i tanti giovani presenti, alla competizione, alla sfida, alla lotta.

Carissimi giovani bisogna dire con forza “no” all’indifferentismo, all’egoismo, alla rassegnazione. Bisogna invece dire “si” alla responsabilità, all’impegno, alla giustizia, alla verità, alla solidarietà ed alla serietà. Sì alla serietà, «Serietà, poi serietà, ed infine serietà» soleva dire il nostro Gaetano Martino nei setti mesi in cui gli fu affidato il Ministero della Pubblica Istruzione nel Governo Scelba.

Punto di partenza allora non possono che essere la “buona cultura” e una “buona scuola” nella quale i giovani possano finalmente essere non vasi da riempire bensì fuochi da accendere.

10. PONIAMOCI ALL’OPERA

Nel lontano 1849, Victor Hugo affermava: «Giorno verrà in cui voi Francia, voi Italia, voi Russia, voi Inghilterra, voi Germania, voi tutte, nazioni del continente, senza perdere le vostre qualità peculiari e la vostra gloriosa individualità, vi fonderete strettamente in una unità superiore e costituirete la fraternità europea […..]. Giorno verrà in cui non vi saranno altri campi di battaglia all’infuori dei mercati aperti al commercio e degli spiriti aperti alle idee. Giorno verrà in cui i proiettili e le bombe saranno sostituiti dai voti….».
Oggi, a distanza di oltre centocinquant’anni, quell’unione di Stati europei profetizzata da Victor Hugo, pur tra crisi, timori e speranze, è diventata realtà.
Con Romano Prodi alla Presidenza della Commissione Europea dal 1999 al 2004, l’Unione Europea ha realizzato il maggiore allargamento della sua storia.
Oggi, nel primo decennio del XXI secolo, mezzo miliardo di uomini e donne facenti parte di ventisette stati europei, hanno deciso di condividere un medesimo percorso fondato sul rispetto e sulla tutela della dignità della persona umana.
Oggi noi cittadini europei siamo liberi di circolare liberamente in tutto il territorio dell’Unione Europea.
Oggi, oltre trecentotrenta milioni di europei, nonostante i profeti di sventura, condividono la stessa moneta. Una conquista, questa, che va preservata e difesa.
In futuro l’Unione europea dovrà continuare ad accogliere nuovi Paesi per conciliare la sua storia con la sua geografia.
La rivoluzione tecnologica in corso sta radicalmente trasformando il mondo industrializzato e nuove sfide, pertanto, si presentano per l’Europa.
Tra i problemi da affrontare nel prossimo futuro ci sarà anche quello di decidere, dove fissare le frontiere geografiche, politiche e culturali.
L’Europa del XXI secolo ha una grande missione da compiere. Una missione che ha delle priorità improcrastinabili che potranno essere affrontate in modo efficace solo se uniti e in armonia. Garantire la pace, la prosperità e la stabilità dei popoli; superare le divisioni del continente; garantire la sicurezza dei cittadini; favorire uno sviluppo economico e sociale il più equilibrato possibile; rispondere alle sfide della globalizzazione e preservare le diversità e le peculiarità dei popoli europei; sostenere i valori condivisi da tutti i cittadini europei come lo sviluppo sostenibile, la salvaguardia del creato, il rispetto dei diritti umani e l’economia sociale di mercato, rappresentano solo alcuni tra gli obiettivi principali di questo grande sogno.
Mi sia consentito questa sera aggiungere al sogno europeo un altro grande sogno: quello della costruzione di un “Mondo Unito”, di una grande comunità mondiale giusta, libera, solidale e in pace.
Dalla nostra Sicilia sin da questa sera dobbiamo cercare di riprendere il cammino con entusiasmo e vigore.
Il comune sentire, specie delle giovani generazioni, va proprio in questa direzione.
Il nostro impegno nei prossimi giorni, nei prossimi mesi deve tendere a diffondere questi ideali e soprattutto non stanchiamoci di coinvolgere ed educare i giovani alla giustizia, alla pace, alla libertà ed alla verità. Contribuiamo a riaccendere la speranza.
Madre Teresa di Calcutta soleva dire: «perché una lampada continui a bruciare bisogna metterci dell’olio».
Con questa consapevolezza, poniamoci all’opera.

 

 
Il Presidente Segni e il Ministro Martino firmano i Trattati di Roma

 


* Intervento scritto per la presentazione del libro di Enzo Sardo: L’Europa e Gaetano Martino – un lungo cammino verso la pace -  Racalmuto – Teatro Margherita - 30 ottobre 2010.

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