Mi sentirei a disagio se nascondessi che mi sarebbe
piaciuto affidare all’incipit di questo articolo le parole che Paola Nicita,
ancora in preda all’emozione per la scomparsa del Maestro, scrisse nel dicembre
1999 per il giornale Oggi Sicilia: «A Francesco Carbone noi tutti dobbiamo
qualcosa», aggiungendo che i primi debitori erano «i giovani artisti,
presentati a centinaia nel corso della sua lunga, prolifera attività di critico
d’arte, artista, teorico, promotore della cultura nel suo senso più completo e
profondo.
E anche i giovani critici che muovevano i primi passi, costantemente
incoraggiati con inesauribili prove di affetto e stima». Ma avrei riferito cose
note, sin troppo scontate. Tanto vale allora cominciare l’articolo ricordando
che ho conosciuto Ciccino quando avevo sei anni e lui giocava come terzino
sinistro nella squadra di calcio di Villafrati.
A miei occhi di bambino sembrava un gigante. Ma non
sapevo che quel giovane calciatore fosse nato in terra d’Africa e avesse
mangiato lì per diversi anni il pane degli emigrati. Meno che mai potevo
immaginare che un atleta della sua tempra stesse per assurgere al ruolo di
capopopolo per dare finalmente voce ai contadini della sua Godrano affamati di
terra e di giustizia sociale. Ha, però, ragione Giusy Bertini: «Pochi tratti
basterebbero a segnare il percorso di una esperienza intensa, eletta dalla
sperimentazione costante di circostanze di vita, come la sua nascita in Libia,
a Cirene, da genitori siciliani, il suo soggiorno in Argentina, i suoi viaggi
in Svizzera, Francia e Spagna, il suo pellegrinaggio per l’Italia, che
concludono le proprie fila a Palermo, sede di nuove occasioni esponenziali,
vissute in sintonia con Godrano. Perché Godrano? Proprio perché è terra di
origine e di progenie, diventa il punto fermo, la sommatoria di ogni tensione
vitale, oltre che l’osservatorio antropologico per eccellenza delle sue
ricerche sociali, letterarie ed artistiche».
Godrano, Rocca Busambra: punti focali dei nessi e
dei rimandi dell’impegno culturale di Francesco Carbone, epicentri su cui Egli
ha elaborato la propria teoria sul territorio, destinata a diventare presto
anche mia e di tanti altri come me allora impegnati nelle nuove frontiere dello
sviluppo locale in funzione del mercato globale. Un concetto di territorio
unicum-continuum tra la città e la campagna che si sostanzia come «dimensione
del pensato e del vissuto, riferita ad un’area sia mentale che fisica, entro
cui il quotidiano di ciascuno di noi diventa vita e memoria, storia individuale
e collettiva». Ma forse è il caso di procedere con ordine.
La sua permanenza a Bengasi, quasi ai margini del
più grande deserto del mondo, gli ha fatto mutuare i valori di solidarietà
comunitaria affiorante dagli stili di vita dei beduini, mitizzati
dall’immaginario favoloso di un ragazzino che amava mettere a confronto gli usi
e i costumi del luogo in cui viveva con quel poco che conosceva della terra
d’origine attraverso il racconto dei genitori, necessariamente edulcorato,
tipico della piccola borghese rurale della Sicilia arcaica. Ma, per
frammentarie che fossero le informazioni ricevute in famiglia, a Ciccino non
sfuggiva che Godrano era un paesino pittoresco di poco più di mille anime
all’ombra dell’imponente mole della Rocca Busambra, ma fin troppo inquinato da
prepotenze d’ogni sorta, e teatro di una cruenta faida fra due clan mafiosi: i
Barbaccia e i Lorello, che si contendevano il controllo dei ricchi pascoli del
bosco della Ficuzza, dove venivano nascoste prima di portarle al macello le
mandrie rubate tra Corleone e Palermo. Gli risultava anzi per certo che neanche
il fascismo aveva potuto o voluto comporre quel sanguinoso conflitto che già
allora aveva provocato decine di morti.
Malgrado questo, Ciccino moriva dalla voglia di
andare a vivere a Godrano, che considerava una sorta di terra promessa. Ma
quando il suo sogno sì avverò, dovette accontentarsi di abitarci quasi
esclusivamente nel periodo estivo, dovendo studiare a Palermo fino al
conseguimento del diploma di maestro elementare. Frattanto la faida tra i due
clan sembrava esser finita; ma si trattava solo di una tregua, come si
sarebbero presto incaricati di dimostrare i fatti. A voler credere a certi
rapporti ufficiali, la pax mafiosa a Godrano si raggiunse nel 1944, grazie alla
mediazione degli occupanti americani. A quell’epoca nel resto d’Italia
infuriava la guerra, ma in Sicilia era finita.
Restavano solo le macerie dei bombardamenti
anglo-americani sulle città costiere e l’eco, nei paesini della Valle del
Milicia (Godrano, Cefalà Diana, Villafrati, Mezzojuso), della sola bomba
piovuta dal cielo (pochi mesi prima dello sbarco degli alleati) nell’ex feudo
Scorciavacche.
A Godrano la vita riprendeva il vecchio andazzo
dell’Ottocento, quando i pascoli e il traffico degli animali razziati erano
controllati da una sola famiglia: i Barbaccia. La popolazione attiva era nella
stragrande maggioranza dedita all’allevamento brado dei bovini. Si calcola che
su una superficie territoriale di 3.887 ettari pascolassero circa 8.000 mucche da
latte. E c’erano (a differenza di adesso) ancora diversi greggi di pecore e
capre e tanti maiali che si nutrivano di ghiande e radici nel vicino Bosco
della Ficuzza. Tra le altre attività agro-pastorali era fiorente quella della
preparazione del carbone che i produttori andavano a vendere con i muli nei
paesi vicini, assieme al caciocavallo e alla ricotta. I mesi scorrevano
monotoni per animarsi solo pochi giorni l’anno a cadenza fissa: in occasione
della festa padronale e il 19 marzo, quando si allestiva la Tavulata a
beneficio dei poveri e gloria del Patriarca San Giuseppe. Ma c’erano pure le
sacre rappresentazioni della Settimana Santa celebrative della Morte e passione
di Cristo sul modello del settecentesco Mortorio di Orioles, che però non si
svolgevano tutti gli anni.
Altri spettacoli erano offerti dalle scene di vita
quotidiana. Le donne anziane portavano quasi tutte il lutto e, fin quando
avevano la forza per farlo, erano loro che andavano a svuotare nei letamai il
cantaru, la «vagante latrina» immortalata sul finire dell’Ottocento dalla penna
di Salvatore Salomone Marino. Le vedove, anche se giovani e desiderose di
trovare un nuovo compagno, non potevano assistere alle stesse funzioni
religiose delle altre rappresentanti del gentil sesso. Per assolvere ai loro
doveri religiosi dovevano andare alla «messa delle cattive», cioè delle vedove,
che si concludeva prima del sorgere del sole. E si noti che quando Ciccino
arrivò a Godrano, non c’era né luce elettrica né rete idrica, le strade erano
polverose d’estate e fangose d’inverno. Ma nulla può dare un’idea realistica
sulla Godrano di quegli anni meglio di una frase confidata ad un amico dal
poeta futurista Giacomo Giardina, che allora sbarcava il lunario facendo il
venditore ambulante di biancheria con una «bardinella» sulle spalle e recitando
poesie nelle feste di matrimonio e di battesimo, che si svolgevano dopo l’Ave
Maria: «Con il mio passo lungo – raccontava –, venendo verso questa casa, nel
buio, essendo attento per non sporcarmi, pensavo a scavalcare un monte di
concime, ma invece mi sono trovato “a cavallo” di una vacca».
È appena il caso di aggiungere che Ciccino divenne
presto suo amico intimo. Lo incontrava spesso a Palermo e, quando venne a
sapere che nel 1931 Giacomo era stato notato e segnalato come poeta futurista
da Marinetti, accarezzò l’idea di farlo uscire dall’oblio, cosa che potrà fare
solo nel 1971 recensendo e facendogli pubblicare un libro di poesie avente come
titolo Quand’ero pecoraio.
Ma a metà degli anni Quaranta il dialogo con
Giardina aveva quasi sempre come oggetto la condizione dei contadini e i
pastori del luogo e il ruolo esercitato dalla mafia nella zona. Grazie ai suoi
rapporti con gli abitanti di Villafrati, allora impegnati in un duro scontro
con l’amministrazione del principe di Mirto e i suoi campieri armati, Ciccino
si iscrisse al Pci e cominciò a darsi da fare, assieme a Giardina, per
costruire un minimo di organizzazione sindacale capace di guidare l’occupazione
delle terre demaniali di Valle Maria e Alpe Cucco da assegnare ai sensi di
legge ai contadini. Entrò così in contatto con i massimi dirigenti provinciali
della Cgil.
Il passo successivo fu la collaborazione con il
giornale l’Ora, che gli consentì di diventare corrispondente locale e amico di
Mario Farinella, il miglior cantore delle lotte contadine e dell’antimafia
sociale. Per farla breve, guidato da Francesco Carbone (con il sostegno
logistico della Camera del lavoro di Villafrati) cui faceva cassa di risonanza
il giornale L’ora, il movimento contadino godranese riuscì ad occupare le terre
demaniali e a fare eleggere sindaco il giovane medico Luigi Barbaccia. Un
risultato, questo, di cui Carbone sarà orgoglioso per tutta la vita.
La mafia, marcatamente rurale e locale prima –
scriverà nel 1990 –; poi più apertamente «politica» e transterritoriale, ha
esercitato nel recente passato il proprio potere sul luogo con decisione e
violenza sino a quando, nel 1953, l’avvento di un forte movimento di base
(cittadini e pastori poveri) confluito nel Pci, non causò una decisiva scossa
al fenomeno, togliendo persino alla mafia, per la prima volta nel potere locale,
la gestione del Comune. Le lotte sia politiche che sindacali di quel periodo
(occupazioni di terre da coltivare e di pascoli demaniali, miglioramenti dei
salari, ecc.), determinarono una partecipazione di massa ai fatti sociali e
l’inizio di una presa di coscienza legata alle situazioni contestuali, sia
regionali che nazionali.
Di lì a poco i venti della vecchia barbarie
tornarono a soffiare minacciosi su Godrano. Ponendo fine ad ogni dissidio
interno, «la mafia – cito le parole dello stesso Ciccino – ritornava alla
carica e sferrava una controffensiva basata sulla rabbia e la vendetta, facendo
ricorso nei confronti del movimento popolare e dei suoi dirigenti locali a
mezzi di intimidazione e di rappresaglia quali lo sgozzamento di greggi,
l’avvelenamento di muli, le minacce di morte, le trame giudiziarie per far
finire in galera il rappresentante più deciso dello stesso movimento popolare».
E se non si vide correre subito il sangue nelle trazzere o in mezzo alle strade
del paese, fu solo perché «dopo due anni di dura e ferma resistenza, lo stesso
movimento popolare fu costretto ad attenuarsi». Il dottore Barbaccia non pose
altro tempo di mezzo per correre a rotta di collo altrove, dando così un taglio
netto al suo recente passato di primo cittadino con la tessera del Pci in
tasca. Rimasto isolato, Carbone dovette fuggire alla svelta dalla Sicilia e
imbarcarsi per l’America del Sud.
Arrivato dopo molti giorni di navigazione a Buenos
Aires, il giovane capopopolo entrò subito in contatto con una famiglia di
emigrati siciliani, che gli fece conoscere altri connazionali (veneti,
calabresi, sardi e abruzzesi), uno dei quali alternava il lavoro d’imbianchino
con gli hobby della pittura e della poesia estemporanea. Un bel giorno, ancora
in preda all’ansia di trovare un lavoro che gli consentisse in qualche modo di
sopravvivere, Ciccino si concesse il lusso, invero raro per il suo carattere,
di andare a visitare insieme all’amico imbianchino il malfamato e pur sempre
romantico quartiere della Boca (culla del tango), alla confluenza del Riachuelo
con il Rio de la Plata. E scoprì che quel sobborgo operaio di Buenos Aires,
dove si parlava uno strano dialetto genovese contaminato dallo spagnolo
argentino, stava diventando un museo a cielo aperto per le sue caratteristiche
abitazioni in legno dalle facciate di vari colori (azzurro, verde, arancione,
giallo, ocra). Colori che solo in parte erano frutto di vecchie pennellate di
vernice del cantiere navale: a queste se ne stavano aggiungendo molte altre per
iniziativa del celebre pittore Benito Quinquela Martìn (1870 – 1977), che
peraltro aveva fatto ricostruire nuovi edifici in legno ispirandosi allo stile
delle case popolari (Conventillos) costruite all’inizio del XIX per gli
abitanti della Boca.
A raccontargli queste cose fu quel giorno stesso un
grande giornalista ligure (che gli fu presentato dall’amico imbianchino):
Ettore Rossi, fondatore e direttore del Correo de los Italianos, che pubblicava
in castigliano e in italiano. Mai incontro fu più provvidenziale di quello. Appena
seppe che Carbone aveva collaborato con il giornale L’ora, Rossi lo volle
mettere alla prova assegnandogli un servizio sugli emigrati italiani residenti
nel quartiere Palermo. Di lì a qualche mese Ciccino divenne uno dei più
accreditati portavoce dell’emigrazione italiana in Argentina, e non senza
dimostrare di condividerne pienamente la sofferenza e la nostalgia per la
patria lontana.
Forte di queste credenziali, ad un certo momento il
nostro potè varcare addirittura la soglia della Casa Rosada e intervistare
Evita Peron, che s’intrattenne in sua compagnia con la stessa cordialità che
solitamente riservava ai diplomatici stranieri di alto rango. Accreditatosi
come giornalista di vaglia, Carbone non incontrò particolari difficoltà per
riprendere le collaborazioni con il giornale L’Ora in qualità di corrispondente
dall’Argentina. E quando un paio di anni dopo tornò in Italia, continuò per
qualche tempo a tenersi in contatto con il Correo de los Italianos.
Un breve soggiorno nella capitale del Canton Ticino
diede slancio alla sua innata sensibilità di poeta e di artista, mettendone in
qualche misura in luce anche le potenzialità di critico militante, che affinerà
dopo a Palermo (dove lavorerà come addetto alla biblioteca dell’Assemblea
Regionale Siciliana) fino ad affermarsi come uno dei più solidi riferimenti
delle neo avanguardie artistiche nazionali. A fornirgliene l’occasione fu la
«Settimana internazionale di nuova musica», che si svolse nella prima decade di
ottobre 1963 all’Hotel Zagarella di Santa Flavia, per iniziativa di Francesco
Agnello. Vi parteciparono anche diversi studiosi di estetica, critici d’arte,
poeti e scrittori, tra i quali Umberto Eco, Nanni Balestrini, Edoardo
Sanguinetti, Achille Bonito Oliva, Renato Barilli. Sull’onda del dibattito di
quei giorni si costituì il Gruppo 63, movimento d’avanguardia letteraria che si
richiamava alle idee marxiste e alle teorie strutturaliste. Uno dei più attivi
animatori di questo gruppo fu appunto Ciccino Carbone. Tre anni dopo fondò a
Palermo il Centro di Ricerche estetiche Nuova Presenza e poi le riviste
Presenzasud, Collage e Marcatrè.
Ma tutto questo, se lo innalzava a livello di
stimato intellettuale (destinato ad assurgere anche al rango di docente
dell’Accademia di Belle Arti di Palermo), non gli dava ancora modo di
contribuire allo sviluppo socio-culturale del proprio paese, che rimaneva
sempre un riferimento privilegiato per le sue interessanti riflessioni sulle
«disastrose conseguenze dell’uomo ridotto ad una dimensione». Citando Marcuse,
Levi-Strauss, «che ha soppiantato Sartre», e chiedendosi se non fosse il caso
di «dare ragione a McLuhan, per il quale il medium è il vero messaggio al punto
che la lavatrice ha la sua responsabilità morale», nel settembre 1969 Francesco
non riusciva a distogliere l’attenzione dalla realtà contraddittoria del suo
paese: «Godrano conta circa 1.100 abitanti, ma nello stesso paese esistono
oltre 800 televisori e più di 300 radio. E siccome questi mezzi e la loro diffusione
sono […] la diretta espressione della società dei consumi, si sa ancora che a
Godrano esistono 40 automezzi, moltissimi frigoriferi, moltissime lavatrici e
cucine a gas. Ma se citiamo qual'è il numero dei giornali quotidiani consumato
in media nello stesso centro la risposta è purtroppo sconsolante. Infatti
appena uno o due copie di giornali quotidiani vengono letti a Godrano». Ciccino
sentiva perciò più che mai il bisogno di riprendere il dialogo interrotto con i
vecchi compagni di lotta del suo paese, che nel frattempo erano tornati ad
essere purtroppo involontari testimoni del riesplodere della cruenta faida
mafiosa.
Frattanto un fresco venticello di rinnovamento
cominciò a soffiare su Godrano. I primi zefiri si avvertirono il 1° ottobre
1970, quando don Pino Puglisi fu nominato parroco del paese (per restarci fino
al 31 luglio 1978). L’impatto non fu dei più facili per il futuro Beato. L’eco
degli ultimi omicidi non si era ancora spenta, anzi rinfocolava come mai prima
l’odio dalle famiglie divise dal sangue e dalla vendetta. Basti ricordare che
al momento di lasciare i bambini davanti alle scuole molte mamme raccomandavano
ai figli di non sedersi nello stesso banco dei compagni che portavano certi
cognomi. Ma, a poco a poco e con l’aiuto di alcune persone timorate di Dio e
dei volontari del movimento di ispirazione francescana “Presenza del Vangelo”,
che vennero a collaborare con lui da Palermo, don Pino non solo riuscì a
pacificare la popolazione ma potè anche mettere alla porta «i galoppini
politici e i facsimili elettorali».
Se la presenza di quel giovane prete era già un
motivo valido per far tornare Ciccino ad occuparsi della sua Godrano, la crisi
energetica e il rientro degli emigrati, ma anche l’approvazione della legge
nazionale sulla montagna che istituiva le Comunità montane, i provvedimenti
urgenti per la zootecnia, la normativa e il dibattito sulla marginalità
giovanile e la stessa affermazione di un nuovo concetto di bene culturale,
inclusivo di «tutto ciò che costituisce testimonianza materiale avente valore
di civiltà», gli fecero capire che era giunta l’ora di mettere a frutto quanto
aveva studiato e le sue stesse teorie sul territorio per offrire ai suoi
compaesani e alle popolazioni degli altri comuni ricadenti nella vasta area di
Rocca Busambra nuove opportunità di riscatto culturale e di progressiva
affrancazione dal bisogno e dalle prepotenze mafiose. Armato oramai da
duttilità tattica e fermezza strategica, alla prima occasione Carbone si
candidò alle elezioni comunali di Godrano come «cattolico di sinistra» in una
lista guidata da un avvocato democristiano.
Eletto consigliere, chiese ed ottenne l’incarico di
direttore della Biblioteca comunale, che lui stesso aveva contribuito a
«fondare e sviluppare a livello interzonale, arricchendola periodicamente con
l’acquisto di titoli a carattere interdisciplinare», fino a farne un centro di
promozione culturale, laboratorio permanente di dibattiti, seminari, mostre di
arti figurative, proiezioni cinematografiche di altissimo contenuto civile e
rappresentazioni teatrali di rilievo nazionale. Per il suo indefesso attivismo,
che metteva ogni giorno di più in luce la differenza con i vecchi sistemi di
governo della cosa pubblica locale, ad un certo momento Carbone entrò in
conflitto con il sindaco e la giunta, e rassegnò le dimissioni da consigliere e
direttore della Biblioteca comunale.
Ma non si tirò i remi in barca. Al contrario, si
iscrisse di nuovo al Pci e si rimise, assieme ad altri, alla testa di un forte
movimento di allevatori, che scesero in lotta per l’uso razionale dei pascoli e
l’applicazione di una nuova legge sulla zootecnia. Inoltre fondò il Movimento
Comunità di base “Busambra”, fissandone il centro direzionale a Godrano, al
quale attribuì quasi tutti i compiti già disimpegnati dalla Biblioteca comunale
e non senza esaltarne in qualche misura il carattere di struttura polivalente e
multifunzionale. Nello stesso tempo Carbone elaborava una sua teoria sulla
storia, basata «non tanto e non soltanto nella sua presunta linearità, proprio
della storiografia idealista volta a registrare unicamente l’inventario del
tempo», ma atta ad indagare «sull’inventario dello spazio, proprio della
storiografia di base, sorretta dagli ‘indizi’ e dalle ‘spie’, dai particolari
della microstoria che non evoca le grandi epoche, i grandi eventi, i grandi
uomini.
Una storia, cioè, con la “s” minuscola ma
altrettanto interessante e indispensabile; altrettanto completa come può essere
ed è l’etnostoria svincolata dai limiti che le avevano imposto gli etnografi
americani». Una storia di lunga durata che, sul modello degli studi di Braudel
e degli Annales di Parigi, ricostruisse la quotidianità e le strategie di
sopravvivenza delle classi subalterne.
Il suo vero colpo d’ala fu, però, la fondazione del
Centro Studi, Ricerca e Documentazione Godranopoli dotato di un «museo
demologico dell’economia, del lavoro e della storia sociale» dell’area, una
pinacoteca d’arte moderna e contemporanea, una biblioteca di storia e cultura
siciliana, un periodico (Busambra), una rassegna permanente dei mestieri e del
riciclaggio degli attrezzi di lavoro e degli oggetti di uso domestico, spazi
interni di aggregazione, per incontri, dibattiti, congressi e manifestazioni
multimediali. A calamitare la maggiore attenzione dei visitatori è stato, fin
dal 9 settembre 1983, quando il cancello di Godranopli fu aperto al pubblico,
il Museo, nel quale trovano applicazione, a detta dello stesso fondatore, «le
teorie della comunicazione formulate da Marshal McLuhan (quella fredda capace
di maggiore partecipazione recettiva) nonché la distribuzione degli spazi
prossemici rilevati da Edward T. Hall».
Avviandomi alla conclusione, ci tengo a precisare
che Godraopoli è stato per me (allora presidente di Turismo Verde regionale)
per più di un decennio luogo di periodici incontri e occasione di crescita
umana e culturale. Francesco ha scritto una nota in margine alla mia opera prima
e mi è stato vicino tante di quelle volte che è persino difficile ricordarle.
In compenso, io ho avuto l’onore e il privilegio di presentargli il Catalogo
nel salone dell’Accademia Migliore e di contribuire attivamente alla riuscita
di diversi eventi nella sede di Godranopoli, fino a farne indegnamente le veci
(per un suo improvviso malore) in un seminario sulle arti figurative.
Sento infine il bisogno di richiamare alla mia e
altrui memoria ciò che abbiamo fatto insieme per ben cinque anni (a partire dal
1992) in occasione della rassegna primaverile della Medivacanze, quando lo
spazio espositivo da me prenotato per le aziende agrituristiche ospitava anche
reperti del Museo Godranopoli, installazioni rurali dello stesso Carbone,
rassegne di arte antropologica di Giusto Sucato, Calogero Barba, Beppe Sabatino
e altri scultori e pittori cresciuti alla scuola di Francesco.
Qualcosa del genere e forse anche di meglio abbiamo fatto in altre città dell’Isola, tra cui Sciacca, dove abbiamo tenuto un convegno nazionale (assieme all’Ente gestore delle locali terme) sulle nuove prospettive dell’agriturismo e del suo rapporto con il termalismo e la balneazione marina.
Ricordando questi fatti nell’imminenza del novantesimo anniversario della nascita di Francesco, non posso esimermi dal chiedere scusa all’amico e maestro per non aver fatto forse tutto che era nelle mie modeste possibilità per mettere a frutto il ricco patrimonio di cultura e proposta da lui lasciato in eredità alle popolazioni residenti nei comuni attorno a Rocca Busambra.
Conforta però sapere che, anche grazie a Ciccino, in quest’area non mancano le risorse umane capaci di raccoglierne in qualche modo il testimone, cosa che per fortuna è in parte già avvenuto.
Ciao Ciccino, sei sempre vivo nel mio ricordo e in quello di molti altri amici che hanno contribuito a creare Godranopoli fino al punto da setacciare insieme a te i letamai della zona alla ricerca dei segni di un passato agro-pastorale intriso di miseria e di prepotenze mafiose.
Qualcosa del genere e forse anche di meglio abbiamo fatto in altre città dell’Isola, tra cui Sciacca, dove abbiamo tenuto un convegno nazionale (assieme all’Ente gestore delle locali terme) sulle nuove prospettive dell’agriturismo e del suo rapporto con il termalismo e la balneazione marina.
Ricordando questi fatti nell’imminenza del novantesimo anniversario della nascita di Francesco, non posso esimermi dal chiedere scusa all’amico e maestro per non aver fatto forse tutto che era nelle mie modeste possibilità per mettere a frutto il ricco patrimonio di cultura e proposta da lui lasciato in eredità alle popolazioni residenti nei comuni attorno a Rocca Busambra.
Conforta però sapere che, anche grazie a Ciccino, in quest’area non mancano le risorse umane capaci di raccoglierne in qualche modo il testimone, cosa che per fortuna è in parte già avvenuto.
Ciao Ciccino, sei sempre vivo nel mio ricordo e in quello di molti altri amici che hanno contribuito a creare Godranopoli fino al punto da setacciare insieme a te i letamai della zona alla ricerca dei segni di un passato agro-pastorale intriso di miseria e di prepotenze mafiose.
Nel 1944 mio padre, il dr. MASSIMILIANO MAGNO, fu il Segretario comunale di Godrano : Sindaco del comune era ARMANDO BENTLEY. Il papà mio era un uomo di studio, e per questo motivo il giovanissimo CICCINO CARBONE si accostò a lui, con lo spirito proprio di un allievo.
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