ANGELO LO VERME, Politicamente orfani



Come tanti credo ricorderanno, un tempo era molto più facile definire i confini ideologici in politica. Molto semplicisticamente, se si riteneva giusto che non dovessero esistere la proprietà privata e il sistema capitalistico che la sostiene in quanto considerati come la causa principale delle disuguaglianze sociali, allora ti sentivi e soprattutto eri un comunista o un socialista, pur nelle loro varie correnti. Insomma, si era di Sinistra e si stava da una parte ben definita che in politica, nel corso dei decenni, una volta abbandonato il tragico estremismo iniziale e adeguando l’ideologia all’evoluzione sociale, si traduceva in riforme realmente progressiste.

  Di contro, sempre molto semplicisticamente, se si riteneva che l’economia e il sistema produttivo dovessero liberarsi più o meno completamente dalle pastoie dello Stato per potere emergere le singole capacità imprenditoriali e professionali, badando un po’ meno alle fasce sociali deboli e di più al profitto, allora si era di Destra. Insomma, si stava esattamente dall’altra parte che politicamente, dopo gli opposti (rispetto al primo) e tragici estremismi dei regimi fascisti e nazisti della prima metà del Novecento, si traduceva in atti tesi a conservare e ad affermare i valori della patria, della fede, della famiglia e della libertà individuale (quest’ultima sostenuta sempre da positivi valori di ordine e legalità), ed economicamente tesi ad applicare quelle ricette liberiste più idonee per fare emergere le capacità imprenditoriali e professionali dell’individuo. A differenza di oggi, il tutto avveniva in una cornice democratica e legalitaria.
  Due legittime e, appunto, contrapposte visioni politiche, economiche ma soprattutto esistenziali, che per un quarantennio hanno caratterizzato a vicende alterne il  dopoguerra mondiale. La visione liberista caratterizzato il dopoguerra in maniera più stemperata dopo la Grande Crisi del 1929 e i totalitarismi di destra, specie col diffondersi delle ricette keynesiane contrapposte a quelle della Scuola Austriaca. Quella riformista, avuta la sua occasione nel dopoguerra, nell’Est Europa lo ha caratterizzato negli stessi modi funesti dei predecessori, laddove lo statalismo fu soppiantato dal culto della personalità di un solo capo. Insomma, entrambe le visioni purtroppo hanno avuto la loro possibilità di imporsi in due tempi diversi attraverso l’aspetto umano più oscuro e malvagio. In questo quarantennio nel mondo c’è stato di tutto: guerra fredda, erezioni di muri, guerre più “calde”, rischi di disastrosi conflitti nucleari, sofisticati nuovi imperialismi operanti a tutt’oggi, “moderni genocidi”, complotti mondiali, abbattimenti di muri, ecc.: il tutto gestito più o meno bene o più o meno peggio da queste due distinte visioni. Quantomeno però, raggiunto un certo equilibrio tra i due schieramenti o blocchi, ideologicamente ci si orientava meglio, la ricchezza veniva in un certo qual modo distribuita e il benessere era molto più diffuso di oggi.
  Durante questo quarantennio e la inevitabile evoluzione sociale che economicamente si esplicava in una nuova visione di mercato, quello globale (la famigerata globalizzazione), si andava imponendo un modello liberista molto più virulento: il neoliberismo o iperliberismo allergico alle regole teorizzato dalla Scuola di Chicago, il cui principale esponente fu l’economista statunitense e Premio Nobel Milton Friedman. Nell’arco di poco più d’un secolo, sembra esserci una seconda occasione per l’ideologia conservatrice di cambiare il mondo secondo una prospettiva liberista, la cui ascesa fu favorita anche dalle notizie che andavano trapelando, e cioè che anche l’ideologia comunista, esplicata dai suoi più atroci regimi, non era stata quella salvifica del genere umano tanto sbandierata per decenni. La nuova forma di liberismo ha attecchito molto bene nel tessuto sociale ed è riuscita a insinuarsi nelle menti come l’unica cultura in grado di elevare economicamente e socialmente chiunque ne abbia le capacità, esasperando al massimo l’idea che lo Stato con le sue regole e le sue leggi è l’unica entità che può impedire questa realizzazione. Realizzazione a quanto pare priva di una qualsivoglia dimensione o limite. Ciò ha comportato quasi il disprezzo per gli Stati, le sue regole e finanche le sue proprietà (privatizzare qualsiasi bene o servizio è diventato il mantra di questa nuova travolgente e insidiosa cultura), e un’enorme disparità sociale. Questa nuova iperclasse dominante e arcicapitalistica ora è sempre più abbarbicata e tenace nel difendere ciò che onestamente non può più chiamarsi diritto alla libertà individuale, bensì egoistico immenso privilegio personale.
  Un illuminante saggio dal titolo “Il Mostro mite – Perché l’occidente non va a sinistra” di Raffaele Simone, dà a questa idea liberista esasperata il nome appunto di Mostro Mite, cioè il volto sorridente del Leviatano ora rappresentato dalla Neodestra che culturalmente spinge al consumismo sfrenato, anche se non si è ancora raggiunta una posizione tale da potere spendere così tanto. L’idea è, anzi era, che fosse solo questione di tempo, le nuove regole, o l’assenza di esse, come una sirena annunciavano che prima o poi chiunque poteva arricchirsi e consumare smodatamente, e che intanto si poteva ricorrere al credito per soddisfare i molteplici nascenti nuovi desideri. Germinava così la disastrosa economia basata sul debito, che in qualche decennio ha contagiato persino gli Stati e gli enti minori in cui sono suddivisi amministrativamente. Oggi non rischiano il fallimento solo i bilanci domestici e aziendali, ma anche quelli statali, regionali, provinciali e comunali. Una follia collettiva  indifferente alla rinuncia e all’altruismo, che ha svuotato e di fatto distrutto gli ideali autentici della sinistra.
  In questa seconda occasione del Nuovo Millennio dunque, il concetto di liberismo esasperato si è allontanato da quello della Destra tradizionale, che comunque nella propria visione non perdeva mai di vista i valori della legalità, dell’ordine e di un minimo di giustizia sociale, se non altro per creare una domanda per i beni e i servizi da loro stessi prodotti. Oggi invece, una massa di avventurieri senza scrupoli ha sposato  l’idea liberale unicamente per soddisfare, in maniera smisurata, brame di potere e arricchimento oltre ogni senso della legalità e dell’ordine, questi piegati strumentalmente ai voleri e le esigenze di simile ristretta cerchia. Lo strumento più efficace è stata la finanza allegra e senza regole, che in meno di due decenni ha spostato buona parte del flusso del denaro dall’economia produttiva o reale al mondo della speculazione finanziaria. Perché rischiare investimenti industriali e simili con i rischi della saturazione dei beni e le altre tante rogne, che vanno dai lavoratori ai sindacati, dalle tasse esose alle regole di mercato? Meglio immergersi anima e corpo nel caliginoso mondo della finanza priva di regole e tassata molto meno rispetto a quello dell’economia reale. Non serve nemmeno più avere una pur minima distribuzione della ricchezza, dato che i nuovi padroni del mondo non producono né beni né servizi, bensì soldi fini a se stessi, e quindi semmai conviene dare ai cittadini il minimo per sopravvivere e poter pagare i debiti che sono costretti a contrarre. I nuovi padroni producono soldi da prestare, e in definitiva quindi grande indebitamento, anche per gli Stati che vanno perciò perdendo sempre più sovranità.
  Ancor più che nel mondo dell’economia produttiva, in quello della finanza speculativa, dove bastano pochi e immediati clic al computer e non capannoni e complessi meccanismi economici per agire, i pesci sempre più grossi divorano quelli più piccoli, secondo l’eterna e crudele legge naturale; cosicché oggi il mondo è costituito da pochi famelici squali e molteplici ma sempre più innocui pesciolini. Un mondo però così costituito non sembra destinato a durare ancora a lungo; tutte le storture e le contraddizioni stanno venendo a galla come cadaveri decomposti sullo specchio immondo di questo ormai innaturale oceano: i pesci piccoli devono pur mangiare e alla lunga si rivolteranno contro i pochi famelici pesci grossi. Cioè, fuor di metafora, non converrà ai nuovi padroni continuare ad affamare i “consumatori” dei loro servizi finanziari: intanto, questi avranno tanta fame che saranno tentati di divorare i loro aguzzini; e poi come faranno a restituire i debiti? Le insolvenze creano crisi spaventose anche per i nuovi padroni o strozzini. I fallimenti dei colossi bancari statunitensi nell’autunno del 2008 sono stati un’avvisaglia che però tarda ad essere recepita in Europa. Un’Europa unita di fatto solo dalla moneta ma composta da Stati a diversissime trazioni economiche e dove quindi vigono devastanti particolarismi economici, che prima o poi esploderanno in tutta la loro tragica portata sociale. Alba Dorata in Grecia e Front National di Marine Le Pen in Francia, sono lì che aspettano la loro occasione.
  Ad ogni modo, in un tale piattissimo oceano, anche le ideologie di cui si parlava all’inizio si sono appiattite, confuse, amalgamate, purtroppo al ribasso tra gli ingredienti peggiori capaci di dissipare quelli migliori. Specie in Italia, particolarismo dentro il particolarismo europeo, tutto ciò ha portato nell’ultimo ventennio a una crisi dei partiti senza precedenti, ridotti al ruolo di ratificatori ed esecutori degli ordini altrui e non delle esigenze dei loro elettori; ruolo svolto fra l’altro all’interno di un sistema corruttivo sempre più vergognoso e famelico, tale che gli indagati di Mani Pulite al confronto erano agnellini. Il crescente assenteismo elettorale, oltre ad essere dovuto al discredito costante che i partiti sono stati capaci di guadagnarsi con le loro malefatte, è causato anche dalla incomprensibile commistione tra le diverse ideologie, uniformate nella loro azione politica ed economica dai dettami della troika (UE, BCE e FMI). Il culmine di tale amalgama è confluito nelle cosiddette larghe intese inaugurate dal Presidente Giorgio Napolitano nel novembre del 2011 col governo Monti e proseguito, con motivazioni diverse, con quello di Enrico Lella. Il primo ha fatto del rigore la sua battaglia di governo per far scendere lo spread e ridare fiducia ai mercati, il secondo ha assunto come cavallo di battaglia la stabilità di governo, che qualche giornale straniero paragona alla stabilità dei cimiteri, dato che non ha prodotto nulla di significativo sul piano economico, solo figuracce varie e qualche pateracchio tipo quello dell’abolizione dell’IMU (per non scontentare l’alleato in vena di ricatti) sulla prima casa, che invece molti dovranno pagare, anche qualcuno che ne era esentato, in seguito all’aumento dell’aliquota apportata da 600 comuni. Certo che i geni, alcuni assurti pure a saggi, ne sanno combinare delle belle per scontentare l’elettorato! Passiamo alla bocciatura da parte della Consulta del Porcellum, che ha giudicato incostituzionale il premio di maggioranza e le liste bloccate senza voto di preferenza. Un governo risultato incostituzionale con questa sentenza, quale autorità può avere per fare una nuova legge elettorale? Probabilmente tale tentativo, mai avviato per anni, ora servirà a prolungare le ormai stanche intese e l’agonia degli italiani che si allontaneranno sempre più dalla politica, la quale non sembra nemmeno accorgersi del crescente malcontento e del disagio economico e sociale dei cittadini. Aspettano forse i forconi per iniziare a cambiare realmente qualcosa?
  Gli italiani dunque, mai come prima hanno così tanti dubbi su chi votare; quelli che ovviamente ancora si recano alle urne, cioè poco meno della metà degli elettori. I due principali partiti, Pd e Pdl (ora scisso in Forza Italia e Nuova Destra), e quelli minori, ormai si sono screditati davvero parecchio, altri sono praticamente scomparsi. Il Pd con le primarie di oggi 8 dicembre si appresta a cambiare Segretario, e dei tre candidati, quello che più sembra rappresentare una maggiore discontinuità col vecchio apparato di partito, rimanendo a sinistra, è Pippo Civati; ma come farà eventualmente a convivere con l’anima centrista? La discontinuità, anzi, la rottamazione di Matteo Renzi poi, sarà meno facile a realizzarsi se diventa Segretario; e poi ancora, rimanendo più aperto verso il centro, raccogliendo simpatie persino tra elettori ex berlusconiani, come farà a convivere con la sinistra? Gianni Cuperlo sembra invece rappresentare, pur nella sua figura aristocratica, gentile e pulita, la continuità del vecchio apparato di sinistra; e come farà a convivere con le altre due istanze che rappresentano, detto molto semplicisticamente, la nuova sinistra di Civati e il nuovo centro di Renzi? E’ un doppio scontro tra vecchio e nuovo, e tra visioni di sinistra e di centro, non facile da dirimere. Tutto ciò è molto più che un dilemma.
  Dalle elezioni del febbraio scorso poi c’è il Movimento 5 Stelle chiamato a rappresentare una grossa fetta dell’elettorato (circa un terzo, come gli altri due partiti maggiori), ma che non ha la maggioranza, ad oggi, per potere governare da solo, dato che si preclude qualsiasi possibilità di alleanza con chicchessia. I grillini possiedono la sincera volontà di cambiare radicalmente le cose, ed essendo il nuovo che avanza nessuno può ancora avere elementi di sfiducia in tale volontà. Vengono tacciati di populismo e in effetti il loro indiscusso (in senso letterario, come nel Centrodestra) leader è molto abile a radunare le folle e a riscuotere consensi. Molto ambiguo poi sono il ruolo e soprattutto gli obiettivi del loro stravagante guru, Gian Roberto Casaleggio. A parte queste ombre, nel M5S si aggiunge il fatto di rappresentare contrapposte istanze economiche, avendo tra gli elettori i delusi della Sinistra e della Destra. L’unico importante fattore che accomuna i suoi elettori è la protesta e la forte esigenza di un radicale cambiamento della politica. Cambiamento che non possono certamente più intestarsi i partiti tradizionali, dato che ne hanno combinate davvero troppe, e per di più continuano imprudentemente, temerariamente a sfidare il sentimento comune, dalle politiche economiche alla gestione degli scandali, non ultimo ma il più eclatante, quello del Ministro Annamaria Cancellieri. E’ opportuno che il Ministro della Giustizia si interessi delle sorti della detenuta Giulia Ligresti in quanto amica di famiglia, con tante, troppe telefonate per poter credere che lo facesse con tutti i carcerati che rifiutano il cibo in carcere e chiedono i domiciliari? Ed è opportuno lasciarla continuare ad occupare la sua delicata carica? Con lei si è inteso salvare le larghe intese, le quali non sono più tanto larghe con Forza Italia all’opposizione.
  Per chi vuole che le cose cambino e preferisce una rivoluzione incruenta per mandare i vecchi partiti a casa, il M5S è l’ideale; con l’incognita però di che cosa avverrà dopo, ammesso che riuscirà in questa rivoluzione. Nel caso in cui andassero al Governo, anche loro dovranno sostenere al loro interno intese larghe? O le diverse, o addirittura contrapposte anime verrebbero ammansite dalla volontà forte di Beppe Grillo?
  Oggi non è affatto facile decidere se andare a votare e soprattutto chi votare. In giro pare esserci un diffuso sentimento simile a quello di chi è rimasto orfano: politicamente orfano, dopo la lunga agonia della politica italiana.

Angelo Lo Verme

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