Raffaele Puccio,
Il Giardino dei Mirti,
Tipolitografia Dipasquale e Pennacchio, Ragusa 2013
E’ centrata su un nodo
fondamentale dell’esistenza umana, i sentimenti che vanno oltre l’esistenza
terrena sebbene siano immersi in essa, la recente fatica letteraria (“Il
Giardino dei Mirti”, Tipolitografia Dipasquale e Pennacchio, Ragusa 2013, pp.
232) di Raffaele Puccio, scrittore e poeta ibleo, che regala ai lettori una
storia gradevole, ben strutturata, dove gli affetti confluiscono e si
intersecano attraverso i due protagonisti.
Giarratanese doc, uomo dal
carattere mite e di poche parole, ambientalista accanito, Puccio, già docente
di materie letterarie, è buon conoscitore della lingua latina (sue le “Liriche
d’amore della latinità”, una ponderosa antologia di brani di poeti latini con
traduzione italiana in versi). Ama trascorrere le giornate in bici tra la
marina ed il suo fazzoletto di terra lontano dal caos tumultuoso della giungla
urbana. In prosa ha esordito con “La
capra d’oro e altri racconti” (2010), affettuoso omaggio al paese natio e alla
tradizione culturale iblea. Recentemente ha pubblicato, in collaborazione, il
volume “Colapesce” ampia rivisitazione
della nota leggenda e “Arcobaleni” (2013) silloge poetica in cui denuda
la sua anima in versi semplici ma molto profondi dove emergono i valori più
veri che segnano un legame forte con le sue radici.
“Il Giardino dei Mirti” ha come elemento
principe l’incontro di due giovani, Giulio e Viviana, attorno cui ruota l’intreccio
impregnato di tenerezza senza debordare nel sentimentalismo. Due anime, due
cuori, che con compostezza si amano raccontandosi della loro vita esibita come
un libro aperto. La loro fiamma resiste dinanzi alle inevitabili difficoltà che
vengono superate attraverso una dimensione esistenziale vitale. L’autore, però, non lascia nulla al
caso. Anche i nomi dei due protagonisti hanno una loro peculiarità semasiologica.
Viviana può in parte derivare da Bibiana
il cui significato è “colei che ha vita”, oppure continuare il latino
imperiale Vivianus, augurale
basato sul verbo vivere. Il nome Giulio potrebbe derivare dalla parola greca hylé
ossia bosco, e quindi significare “del bosco”. Del resto il titolo dato al
romanzo, “Il Giardino dei Mirti”, ha proprio il sapore di un luogo edenico. Il
mirto, che deriva dal greco myrtos (essenza
profumata), “è pianta sacra ad Afrodite, dea dell’amore” come specifica il
prefatore Federico Guastella.
Anche i tredici tasselli in cui
si snoda il peculiare sentiero narrativo posseggono una loro armonia. Nella
geometria sacra il numero “tredici” simboleggia l’eterna distruzione e
creazione della vita. Tredici ha anche un significato astrologico in quanto la
somma dei primi 13 numeri dà come risultato 91 che è il numero di giorni di una
stagione. La stagione dell’amore, dell’incontro tra Giulio e Viviana. Ma è
anche la stagione della primavera, momento in cui tutta la natura si risveglia
essendo gravida di nuovi fermenti. Anche il periodo in cui si svolge il romanzo,
gli anni Sessanta, è un momento pieno di fermenti sociali e politici “che si
manifestavano – scrive Puccio - in modo problematico, tale da destare forti
perplessità”. In tale contesto si snoda la vicenda dei due innamorati che
diventa anche il racconto di quella società nel suo svolgersi.
Altra peculiarità
è rappresentata dai titoli dei capitoli e dalle
citazioni poste in esergo. Tale mutua simbiosi costituisce l’impronta che Puccio ha voluto
dare all’intera architettura narrativa caratterizzata da una scrittura che
“deve moltissimo agli studi umanistici dell’autore, raffinato traduttore di
classici latini, ed essa non manca di farsi colta, pur mantenendo tonalità di
freschezza e di visionarietà poetica”, come delicatamente annota il prefatore.
La partitura strutturale è
bilanciata dalla coerenza della misura stilistica, dalla omogeneità dei toni e
degli accenti, in un peculiare intreccio narrativo dal sapore autobiografico in
cui la scrittura s’inarca in uno strenuo sforzo di oggettivazione delle
percezioni visive tendendo a riprodurre l’evidenza cromatica e la perspicuità
dell’immagine e dispiegandosi in una prosa dalla tessitura iconica e delicata.
La pagina scritta parla sempre,
coinvolge i suoi lettori, li trasferisce in una tensione partecipativa
continuamente rinnovabile nel tempo e nello spazio dove finezza di analisi
psicologica e scavo interiore si susseguono, pagina dopo pagina, creando così
un romanzo intimo dove i raccordi esplicativi e le giunture discorsive
obbediscono ad un’accorta strategia affabulativa posta in essere dall’io
narrante di Raffaele Puccio.
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