ANGELO LO VERME, Il nostro migliore amico



Caro Peppino, sono quasi certo di poter dire anche a nome di tutti i presenti, che tu sei stato il nostro migliore amico. Un amico discreto, fidato, intelligente, buono, profondo; in poche parole, un amico saggio, un’anima elevata. Ognuno qui avrà un aneddoto da raccontare su di te.
L’aneddoto che io voglio condividere qui, semplicemente è che il più importante e significativo è stato il momento in cui ho avuto l’onore e la gioia di conoscerti. Da questo momento se ne sono susseguiti tanti altri, ma grazie a questo è nata la nostra grande amicizia. Ci siamo conosciuti il 9 giugno dello scorso anno alla Badia, in occasione della presentazione della tua bellissima raccolta di Poesie e dell’esposizione dei tuoi magnifici quadri. Le tue opere e la tua personalità di uomo molto colto e nel contempo molto umile mi hanno subito affascinato. Ci conosciamo soltanto da un anno, ma è come se ci conoscessimo da sempre; e forse è così, e così sarà, anche dopo questo evento che noi umani chiamiamo troppo sbrigativamente morte! Morte! Morte semmai del fragile involucro che per alcuni decenni avvolge le nostre immortali anime!
  Ora tu sei lassù, e la tua anima staccatasi dal greve e malato corpo adesso si libra nell’aria leggera e gaia come una farfalla. Adesso da lassù la tua lotta contro l’oscurità sono certo che continuerà, seppur in modi diversi, più agguerrita ed efficace. Poiché questo fondamentalmente è un Poeta: un combattente al servizio della Luce, della Verità e dell’Amore. Con questo innato e Umano Spirito di Servizio si supera il paradosso e l’ossimoro dell’Attivo Riposo Eterno. Dunque Buon Riposo caro Peppino, ma anche Buona Lotta per il Bene dell’Umanità senza il fardello della sofferenza fisica. Continua a seguirci da lassù con lo stesso Amore che praticavi quaggiù. Grazie ancora Peppino per la nostra breve ma intensa e sincera Amicizia!
  Adesso voglio leggere ai presenti una tua significativa Poesia, molto indicativa del tuo Personalissimo e Doloroso percorso esistenziale.
  Si intitola

DELIRIO E RICORDI

Cadean le foglie...,il vento
le percuoteva
con furia, sbattendo
i giovani rami fra loro.
Parea si divertisse a svolazzarle
 in alto... in  alto..., per poi
 precipitarle  così per gioco.
Come una stanca farfalla
cui manchi
improvvisa la vita
sbatté violenta
sui vetri una foglia.
Come una rosa sfiorita
un’altra foglia per caso
precipitò dentro un vaso.
Il gelido vento la faccia
mi percuotea: scottavo!
la febbre altissima: deliravo.
Ma volevo vedere.
Mi piace vedere le foglie cadere.
M’affacciai tremante, mormorai:
- Quante farfalle gialle...!
Quante gialle... morte farfalle...! -
Poi il delirio riprese
violento.
Mi lamentai...
- Dove sei? Ti scongiuro! -
invocai:
- Ritorna qui!
Perché m’hai lasciato sì solo...
hai tutto scordato? -
Avea tutto scordato;
dal dolore volevo morire.
Chi asciugò il sudore
che m’imperlava la fronte?
Forse era mia madre.
Era così buona mia madre
che pregava il Signore
per non farmi soffrire.

Poi tutto si tacque.
Il silenzio
annunziava la morte
ma, essa non venne,
m’avea chiuse le porte:
il mio turno deve venire.
Lei lo sa
che debbo ancora
su questa terra soffrire.
Cadon le foglie..., il vento
le percuote
con furia, sbattendo
i giovani rami fra loro
come il Fato i mortali
cui toglie ogni affetto
e arreca i mali
così per diletto.

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