GIOVANNI TESE', Il 150° anniversario dell’Unità d’Italia

Celebriamo il 150° anniversario dell’Unità d’Italia ripartendo dai principi e dai valori fondamentali della Costituzione Repubblicana.

Sono entrate ormai nel vivo, in ogni parte d’Italia, le innumerevoli iniziative programmate per celebrare il 150° anniversario dell’Unità d’Italia.
L’importantissima ricorrenza, straordinaria occasione per ricordare la genesi e la fondazione del nostro Stato nazionale sorto giuridicamente e formalmente con la legge 17 marzo 1861 n. 4671 con la quale fu attribuito al sovrano il titolo di re d’Italia, è stata ed è caratterizzata da un lato da penose e pericolose polemiche accompagnate finanche da minacce di secessione e dall’altro, talvolta, da affrettate enfatizzazioni.
Bene ha fatto il Capo dello Stato Giorgio Napolitano, che dal 5 maggio 2010 ha avviato gli eventi celebrativi con le visite nei “luoghi della memoria” Quarto e Marsala, a richiamare tutti al senso di responsabilità e a riportare il dibattito occasionato dalle celebrazioni in parola in un alveo più equilibrato, sereno e costruttivo.
In quest’ottica e con spirito propositivo anche noi da quest’estremo lembo d’Italia, da questa nostra Sicilia, ponte ideale tra Europa e Africa e cuore del Mediterraneo, consapevoli del ruolo svolto dai siciliani nel processo dell’unificazione italiana e coscienti del contributo che nel corso dei secoli hanno dato per le conquiste di democrazia e di libertà dei popoli e per l’affermazione dei diritti inviolabili della persona umana, desideriamo cogliere l’opportunità che un evento così significativo e importante ci offre per contribuire a stimolare una seria riflessione e un proficuo confronto teso a ricercare e valorizzare le ragioni che ci uniscono e per progettare insieme il nostro avvenire.
Siamo convinti che ciò sia possibile farlo ripartendo responsabilmente dai principi e dai valori fondamentali sanciti nella Costituzione Repubblicana.
È proprio nella nostra Costituzione, infatti, che vi sono immessi i nostri ideali, le nostre radici, le nostre glorie, il sangue dei nostri connazionali che hanno sacrificato la vita per la libertà, per la democrazia e per l’unità della nazione, la millenaria storia di tutta l’Italia, la nostra cultura e crediamo anche il nostro futuro.
È proprio nella Carta Fondamentale del 1948 che le nostre Madri e i nostri Padri Costituenti sono riusciti a realizzare la sintesi migliore e più alta della cultura e delle esperienze giuridiche e costituzionali italiane precedenti.
 La Costituzione della Repubblica di Bologna del 1796, la Costituzione della Sicilia del 1812 redatta da un’Assemblea Costituente e votata dal Parlamento Siciliano, la Costituzione del Regno delle due Sicilie del 1848 adottata dal “General Parlamento” costituitosi a seguito della rivoluzione iniziata a Palermo il 12 gennaio 1848, lo Statuto Albertino del 1848 e la Costituzione della Repubblica Romana del 1849 rappresentarono sicuramente alcune delle “Carte” più significative del costituzionalismo italiano e i riferimenti più concreti per le Madri e i Padri Costituenti eletti il 2 giugno 1946 dalle italiane e dagli italiani a suffragio universale diretto.
Il riconoscimento e la garanzia dei diritti inviolabili e delle libertà fondamentali della persona umana, la tutela e la promozione della famiglia, l’istruzione e la buona cultura, un fisco sostanzialmente giusto e orientato a favorire sviluppo, l’universalità e l’uniformità dell’imposizione tributaria, l’uguaglianza sostanziale di tutti i cittadini, la tutela della salute, il pluralismo, i valori della pace, della giustizia giusta, del lavoro, della democrazia politica ed economica, nonché i doveri “inderogabili” di solidarietà politica, economica e sociale costituirono e costituiscono i principi fondamentali e i pilastri intangibili ai quali l’intera Costituzione Repubblicana s’ispira.
Non solo, i Costituenti del 1948 - superando le pressioni centralizzatrici dello Stato nazionale e vincendo una plurisecolare resistenza opposta dai fortissimi apparati burocratici statali accentratori, sopravvissuti allo Stato assoluto che tanto Minghetti quanto Cavour già nel 1859, alla vigilia della proclamazione del regno d’Italia, tentarono, ma senza successo, di demolire - hanno introdotto nella nuova e per certi versi rivoluzionaria organizzazione statuale repubblicana, libera e fondata sulla partecipazione popolare, i principi delle autonomie locali, del regionalismo e del decentramento amministrativo coniugandoli mirabilmente con i valori e con le scelte di unità e d’indivisibilità del nuovo Stato italiano.
Il disegno autonomista e regionalista voluto dalle Madri e dai Padri Costituenti e fortemente sostenuto in particolar modo, seppur con sensibilità giuridiche e politiche diverse, da Luigi Sturzo, da Giuseppe Alessi, da Giovanni Guarino Amella, da Gaetano Martino, da Gaspare Ambrosini - uno tra i Costituenti più convinti assertori della valenza democratica delle “autonomie locali” e della “autonomia regionale” come elemento caratteristico di un tipo di Stato diverso da quello “unitario” e da quello “federale” classicamente intesi - e da tantissimi altri politici, sociologi e giuristi, fu consacrato tra i principi fondamentali della Costituzione repubblicana e portato successivamente a compimento con la legge costituzionale n. 3 del 18 ottobre 2001 che riformando integralmente il titolo V della parte seconda della Costituzione ha posto sullo stesso piano Comuni, Province, Città metropolitane, Regioni, Stato e concretizzato in tal modo la forma più ampia di autonomia e di decentramento.
Con detta riforma costituzionale si è anche accolto nel nostro ordinamento giuridico, il principio di “sussidiarietà”, già prospettato da S.S. Pio XI nella “Quadragesimo anno” del 1931, secondo cui le competenze e le funzioni devono essere attribuite al livello di governo più prossimo ai cittadini: il Comune.
I valori del regionalismo - sia a Statuto ordinario sia a Statuto speciale come la Sicilia - e delle autonomie locali, sanciti nel nostro ordinamento costituzionale, rappresentarono e rappresentano pertanto le risposte più concrete e organiche alle esigenze di promuovere e di tutelare le specificità e le peculiarità delle singole comunità locali e nello stesso tempo di garantire l’unità e l’indivisibilità dello Stato veramente libero e democratico. 
Siamo convinti al riguardo che le radici della democrazia e della libertà saranno più forti, salde e radicate soltanto se liberi e forti saranno gli ordinamenti delle autonomie locali.
Orbene alla luce di quanto fin qui evidenziato, emerge inequivocabilmente che nella nostra Carta Costituzionale ancora oggi, peraltro, in gran parte da attuare, ci sono tutti gli strumenti giuridici e valoriali per riprendere nella nostra Italia, se si vuole veramente, con fiducia e serenità, un cammino di progresso e sviluppo nella solidarietà e nell’unità.
Eppure in un periodo storico in cui in ogni parte del pianeta si fa sempre più forte la consapevolezza che le nuove sfide in ogni campo possono e devono essere affrontate solo con il concorso e la solidarietà di tutti, nel nostro Paese, di contro, assistiamo a maldestri tentativi, fortunatamente solo da parte di pochi, di dividere l’Italia, di fomentare meschine e pericolose contrapposizioni o secessioni surrettiziamente qualificate come “riforme in senso federalista”, di escogitare falsi progetti di “federalismo fiscale” che in concreto mirano soltanto ad arricchire sempre di più le regioni più forti in danno delle regioni più deboli e di proporre modifiche alla nostra Costituzione presentandole come panacea dei mali del Paese ma che in realtà tendono solo a svuotare le grandi conquiste di democrazia e di libertà del popolo italiano.
Non vi è alcun dubbio che la storia d’Italia è stata ed è segnata da secolari divisioni che hanno fatto prevalere le identità locali su una comune identità nazionale, ma è altrettanto vero che con l’unità del 1861 - i cui metodi, tuttavia, sono stati e restano assai discutibili - si è riusciti a trovare, anche se ancora oggi non compiutamente, un denominatore comune alle molteplici anime culturali e a fare assurgere le diversità in risorse. 
Sappiamo bene che il momento è difficile e che le sfide che ci attendono sono gravide d’incognite. Specie nel Sud e in particolare in Sicilia - ove, nonostante i proclami di ripresa, la crisi economica e finanziaria ristagna, ove la precarietà è la regola, ove i nostri giovani, stante la cronica crisi occupazionale, come unico e vero progetto di vita hanno quello di emigrare, ove il reddito medio pro-capite è di molto al di sotto della media europea, ove le banche fanno incetta di raccolta a costi irrisori e negano o addirittura revocano il credito già concesso, peraltro a tassi esorbitanti, alle piccole e medie imprese, ove il reale diritto allo studio comincia a diventare un privilegio di pochi, ove le infrastrutture, i servizi e le vie di comunicazioni sono di gran lunga al di sotto della media italiana - la situazione è gravissima.
Si ripropone con forza e con drammaticità una nuova “QUESTIONE MERIDIONALE”. La Sicilia e i siciliani - certamente non immuni da colpe e responsabilità - sono stati sempre e purtroppo continuano a essere fortemente penalizzati e mortificati. Ci limitiamo al riguardo - non per polemica bensì per ossequio alla verità ed al solo scopo di evitare il ripetersi o il perpetuarsi di simili “errori” per l’avvenire - ricordare soltanto due aspetti significativi.
Pensiamo al modo assolutamente inqualificabile con il quale nel 1860 ai siciliani, autonomisti e unionisti, venne impedito - nonostante le legittime rivendicazioni sintetizzate nel famoso memorandum “sul giusto modo di intendere l’annessione della Sicilia al resto d’Italia” e inviato da Francesco Ferrara a Cavour - di manifestare con il voto liberamente espresso l’adesione della Sicilia alla nuova costituzione unitaria.
Pensiamo ancora all’attuale ingiustificata e severa riduzione - in dispregio alle chiare ed inequivocabili disposizioni dell’art. 38 dello Statuto Siciliano - del contributo di solidarietà nazionale che lo Stato è tenuto a corrispondere alla Sicilia e alle inique e penalizzanti disposizioni relative all’assegnazione del gettito dell’I.V.A., delle accise e così via.
È ora di dire basta e di tornare decisamente ai valori ed al rispetto della Costituzione Repubblicana.
Unità, solidarietà e responsabilità devono essere le “parole guida”.
Occorre abbandonare e se necessario isolare ogni forma di egoismo e di intolleranza, così come occorre stigmatizzare con forza ogni tentativo teso a perseguire disegni di “piemontesizzazione” o di “padanizzazione” del Paese. Con l’egoismo e le divisioni nessun traguardo di libertà e di sviluppo potrà essere ordinatamente ed organicamente raggiunto.
Occorre ricominciare con i sentimenti che animarono le nostre Madri e i nostri Padri Costituenti - personalità di diversa formazione politica, culturale, ideale e religiosa, provenienti da ogni parte d’Italia, da nord e da sud, da est e da ovest, dalle isole e da terre di confine, in gran parte giovani - che abbandonando ogni integralismo ideologico ed ogni misero ed egoistico interesse di parte e di partito, guardarono soltanto, con spirito solidaristico ed unitario, all’interesse ed all’avvenire di tutto il Popolo Italiano.
Nessuno s’illuda che l’Italia, l’Europa o qualsiasi altro Stato del pianeta potrà risolvere i problemi o vivere meglio sbarazzandosi dei più poveri e dei più deboli o peggio ancora utilizzandoli e sfruttandoli.
A coloro i quali che con vili mistificazioni e con argomentazione artatamente imbastite cercano di diffamare e bollare le zone più deboli e meno fortunate del Paese, ricordiamo l’ammonimento di John F. Kennedy: «Se una società libera non riesce ad aiutare i molti che sono poveri, non riuscirà a salvare i pochi che sono ricchi».
Così come nessuno si illuda che i problemi del nostro Paese potranno essere risolti cambiando la vigente Costituzione, anzi siamo fortemente convinti, pur nella consapevolezza che nulla è eterno ed immutabile, che il patrimonio di ideali e valori consacrato nella nostra Carta Fondamentale deve essere tutelato, difeso, arricchito ed attuato.
Le Regioni economicamente forti si devono convincere che senza un concreto sviluppo delle Regioni più deboli e senza il reale riequilibrio delle condizioni economiche non ci potrà essere sviluppo per nessuno.
Le Regioni economicamente deboli, tra le quali la Sicilia, di contro, si devono convincere che non è più tempo né di piagnistei né di rivendicazioni assistenziali e che occorre invece, con spirito nuovo, rimboccarsi le maniche ed organizzarsi responsabilmente per affrontare le prossime difficili sfide.
C’è bisogno di tutti. E tutti dovremo fare la nostra parte con coraggio, senza soste, senza abdicazioni e con grande spirito di solidarietà e senso di responsabilità.
Le chiavi dello “scrigno” sono ancora, in gran parte, nelle nostre mani.
Siamo convinti che non bisogna perdere la speranza; così come siamo consapevoli che occorre dare fiducia soprattutto alle nuove generazioni affinché possano guardare anche all’impegno culturale, sociale e politico non più con distacco o con indifferenza, ma come preciso dovere civile e morale.
Siamo altresì fortemente convinti che saremo in grado di affrontare le prossime poderose sfide con dignità, orgoglio e successo, nonostante le gratuite ed irriverenti affermazioni di qualche giornale “straniero”.
A distanza di 150 anni noi siciliani, ancora oggi autonomisti, unionisti ed europeisti, possiamo dire, nonostante tutto, con orgoglio, di amare la nostra Italia una e indivisibile, con una Costituzione oggi più che mai attuale e punto di riferimento forte ed indelebile di tutti gli Italiani che amano veramente questo Paese.
Queste sono alcune delle ragioni che ci spingono a ritenere che il modo più concreto per celebrare il 150° anniversario dell’Unità d’Italia sia quello di sottoscrivere idealmente un nuovo patto sociale ripartendo dall’inestimabile patrimonio di valori, principi e ideali consacrati nella nostra Costituzione Repubblicana. Ciò non soltanto per riscoprire la memoria e le radici culturali, ideali e morali del passato e per onorare doverosamente tutti coloro i quali sacrificarono e continuano a sacrificare sinceramente anche la vita per l’Italia, ma soprattutto per contribuire a realizzare un’Italia rispettosa e garante delle autonomie e delle peculiarità locali - ma sostanzialmente unita e solidale - in un’Europa libera e democratica e in un Mondo più giusto. Un Mondo ove possano albergare pace, solidarietà, uguaglianza umana, giustizia sociale, democrazia, libertà, felicità, bene comune e verità e ove ogni persona umana possa trovare le condizioni ideali per la sua affermazione culturale, sociale, economica, politica e poter beneficiare dei frutti di uno sviluppo sostenibile per essere veramente Felice, Libera e Forte.

Naro, 16 maggio / 2 giugno 2010


IMMAGINI


Enrico De Nicola firma la Costituzione alla presenza di Alcide De Gasperi e Umberto Terracini
Gaspare Ambrosini

Giovanni Tesè con Giuseppe Alessi

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