SALVATORE VAIANA, Le riflessioni della compagna Ficarra sul sicilianismo

La recente benefica condanna a 7 anni di reclusione dell’on. Totò Cuffaro ha suggerito all’amica e compagna Giuseppina Ficarra, sensibile alla tematica sulla neorazzistica criminalizzazione dei siciliani come popolo culturalmente mafioso tout court, un interessante parallelismo con il processo all’on. crispino Raffaele Palizzolo, indiziato per l'assassinio del direttore del Banco di Sicilia Emanuele Notarbartolo.
Evidenziamo che: a differenza di oggi, la magistratura purtroppo assolse l’on. Palizzolo; e, a differenza di allora, non è sorto un comitato reazionario pro-Sicilia, ma un movimento democratico contro-Cuffaro dentro il quale ci piace ricordare i compagni di “Ad Est”, combattivo giornale di Raffadali, paese di Totò Cuffaro.
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Una nota: non ci sembra che La Ficarra possa assimilarsi a quel «filone giustificazionista “di sinistra”», come scrive Nando Dalla Chiesa in una recentissima antologia sulla mafia da lui curata, «originato vuoi dalla “centralità” della critica del capitalismo (la mafia come “figlia del capitalismo”) vuoi dalla diffidenza verso lo Stato centrale, colpevole di opprimere le masse del sud; da cui la tesi della mafia come fenomeno di ribellione popolare all’ingiustizia di classe».

Un suggerimento: per una più ricca lettura e maggiori elementi di riflessione riportiamo anche un illuminante passo del prof. Giuseppe Carlo Marino, storico accademico ed esperto della questione mafiosa cui ha dedicato oltre 45 anni di studi da L’Opposizione mafiosa all’attesa Globalmafia. Il brano è tratto da Storia della Mafia, Newton Compton Editori, 2008, p. 83.

«Nel corso del procedimento – che aveva coinvolto in qualità di testi numerosi esponenti dell’estabilishment siciliano – si era appieno evidenziata l’ampiezza degli intrighi politico-affaristici della borghesia mafiosa, L’intera vicenda, in un paese ormai pervenuto alla svolta liberalprogressista del governo Zanardelli-Giolitti, aveva assunto le dimensioni di un caso nazionale. Su tutti i giornali, non si parlava d’altro che di mafia e dei suoi rapporti sistemici con la politica, in un crescendo di riprovazione morale che parve riversarsi sulla classe politica siciliana, già allarmata dalle paventate aperture ai socialisti del nuovo corso (Renda, 1972, pp. 377-419).
La risposta del fronte baroni-borghesia mafiosa non si fece attendere. E fu così clamorosa e coinvolgente, soprattutto a Palermo, tra i commercianti e la plebe, da fare temere una rivolta. L’arma usata per la mobilitazione fu quella tradizionale del sicilianismo. Si attribuì alla sentenza di Bologna il carattere e la volontà di un attentato alla Sicilia. Il Palizzolo fu innalzato a simbolo dei “diritti” siciliani offesi dai settentrionali (Lupo, 1997, pp. 103-110).
Baroni e personaggi di “rispetto” di varia collocazione sociale, sostenuti dai loro intellettuali, costituirono un folto Comitato pro Sicilia il cui manifesto fu redatto dal noto studioso Giuseppe Pitrè. Tale comitato, guidato da sei deputati (tra i quali un altro ben noto figuro, l’onorevole Avellone), oltre a numerosi cavalieri, avvocati e notai, annoverava latifondisti di antica condizione aristocratica, quali Gaetano Tasca, il conte Monroy, il principe di Monforte, il principe di Resuttano, il conte Galletti, il Marchese Bellaroto, il barone Bocardo. Tutta quella gente perbene si diede a starnazzare con un crescendo di pubbliche esibizioni, lasciando intendere – come intuì bene il prefetto De Seta – di essere disposta a compiere l’estremo passo della rottura del “patto” con lo Stato nazionale.
Il ricatto secessionista era implicito nell’accorata difesa dei diritti siciliani. […]
Come sedare, allora, la rivolta della classe dirigente siciliana? Certo il caso Palizzolo era questione da tribunali e anche a quei tempi la magistratura si diceva gelosa della sua indipendenza. D’altra parte la politica ha le mani lunghe. E, sarà stato per quelle mani o per altro, ma è certo che la Cassazione annullò la sentenza dei giudici bolognesi e il Palizzolo, nuovamente sottoposto a processo, questa volta a Firenze, fu frettolosamente assolto per “insufficienza di prove” come si conveniva a un perfetto mafioso. Subito i suoi protettori siciliani ne fecero un eroe e gli organizzarono un pubblico trionfo».


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Palizzolo, Cuffaro e il Comitato pro-Sicilia
di Giuseppina Ficarra

Nessun Comitato-pro Sicilia si è costituito in difesa di Cuffaro. Qualcosa è cambiato? Non credo. Il parallelismo Palizzolo Cuffaro regge anche sotto questo aspetto. All’epoca del processo al Palizzolo il comitato Pro-Sicilia, lo dice lo stesso nome, cavalcato dai difensori di Palizzolo, viene in verità costituito in difesa della Sicilia. Il processo al Palizzolo infatti era diventato un processo ai siciliani attorno ai quali si disse a quel tempo “quel che Lombroso o Niceforo nei loro libri non osarono mai scrivere”.
Intanto osserviamo che diverso è il clima in cui si svolgono i due processi.

«In effetti, il dibattito processuale che porta alla incriminazione del Palizzolo si svolge in un clima che non si limita alla valutazione di quanto avviene nell’aula, ma trascende in animosità che riflettono ed esasperano le conflittualità esistenti fra Nord e Sud. Un esempio che va oltre il segno è quello di Alfredo Oriani. In un articolo titolato Le voci della fogna, apparso su I! Giorno dell’8 gennaio 1900, scrive che “l’isola è un paradiso abitato da demoni”, che “si rivela come un cancro al piede dell’Italia, come una provincia nella quale né costume né leggi civili sono possibili”. Napoleone Colajanni reagisce rimandando al mittente “l’insulto sanguinoso”, giacché “nella fogna hanno diguazzato allegramente e vi hanno portato un lurido e pestilenziale materiale i Balabbio, i Venturi, i Venturini, i Codronchi, i Sacchi, i Cellario, i Mirri […] nati e cresciuti tutti al di la del Tronto”. Il Colajanni coglie anche l’occasione per rilevare e lamentare che “nella fogna ha voluto diguazzare un poco la magistratura di Milano”. Verso la stessa magistratura meneghina non manca neppure una qualche legittima censura anche sul piano strettamente processuale. Il procuratore generale di Palermo protesta col Guardasigilli per lo spazio che il tribunale milanese dà “all’ignobile e nauseabondo spettacolo di una …privata vendetta”. E ineffabilmente il procuratore generale milanese si giustifica con lo stesso Guardasigilli, argomentando che su certi episodi il giudizio va demandato “alla pubblica opinione, la quale spesso non falla e distribuisce a chi spetta, secondo giustizia, la lode e il biasimo». (Francesco Renda, Storia della mafia, Sigma 1997, Capitolo VI, I processi Notarbartolo, pag.154).
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Da questo clima, come sopra detto, nasce il Comitato pro-Sicilia.
Oggi il processo e la condanna di Cuffaro non ha mai trasceso in manifestazioni di animosità Nord-Sud anche perché il Paese è in ben altre faccende affaccendato. E di conseguenza nessun Comitato pro-Sicilia a conferma che non sorgono in Sicilia pubblici comitati in difesa di mafiosi o collusi con la mafia. Ci aveva tentato Casini a salvare Cuffaro nominandolo senatore!
E a proposito di parallelismo Palizzolo Cuffaro ricordiamo che manifestazioni contro Palizzolo si ebbero allora come oggi contro Cuffaro.
Renda:
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«... infine, il partito antipalizzoliano, [che] a Palermo può finalmente rialzare la testa, e sotto la guida di un comitato diretto dai principi di Camporeale e di Trabia, ma del quale molto significativamente sono partecipi anche i socialisti, promuove una grande manifestazione antimafia, la prima forse della storia, simile a quelle che poi saranno promosse negli anni ‘80 e ‘90. Al corteo che percorre Corso Vittorio Emanuele e via Maqueda, “per onorare la memoria di Emanuele Notarbartolo in senso di affermazione dei principi di moralità e di giustizia, e di protesta contro gli autori dell’esecrato delitto”, ma anche per promuovere “una sottoscrizione per un busto in marmo da collocarsi nell’atrio del Banco di Sicilia e per sostenere le spese del processo, perché il popolo siciliano vuole contribuire direttamente alla scoperta e alla condanna dei rei”, partecipano più di 30 mila persone, 10 mila secondo la polizia» (Renda, op. cit.).
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Oggi si vedano le manifestazioni di giubilo dei palermitani a piazza Politeama per le dimissioni di Cuffaro nel 2008 ("Cuffaro Dimettiti": Siciliani in piazza il 19 gennaio 2008).

LINKS
1. Giuseppina Ficarra, Delitto Notarbartolo alla luce del "Il ritorno del Principe"
2. Giuseppina Ficarra, Parliamo di sicilianismo
3. Salvatore Vaiana, Ideologia sicilianista, sicilianismo, sicilitudine

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