ENNIO PINTACUDA, "Prefazione" a "Una storia siciliana fra Ottocento e Novecento" di Salvatore Vaiana

Il presente lavoro di Salvatore Vaiana è un’accurata ricostruzione degli eventi sociali, politici ed economici che sono accaduti in un paese dell’interno della Sicilia, Barrafranca, centro agricolo situato in quello che nella consolidata tradizione siciliana è stato e continua ad essere considerato il triangolo, economicamente, più depresso dell’isola e che abbraccia il territorio delle provincie di Agrigento, Caltanissetta ed Enna.

L’Autore è un puntiglioso ricercatore delle fonti storiche e prima di scrivere sui fatti ha instancabilmente attinto a tutto ciò che c’è di reperibile e riguarda il paese di Barrafranca. La sua ricerca abbraccia un arco di tempo che va, all’incirca dal 1882 al 1922. Un periodo, pertanto, ch’è a cavallo tra la fine del secolo scorso e l’inizio del presente. Un ventennio, circa, dell’Ottocento ed il primo ventennio del Novecento.
In queste note introduttive, prima di fare alcune brevi considerazioni che mi sono scaturite dalla lettura attenta del lavoro, desidero per prima cosa esprimere il mio personale plauso all’Autore perché si è impegnato in un settore dell’indagine storica che io reputo sempre tra i più importanti e tra quelli ai quali ci si debba, oggi, maggiormente dedicare.
Bisogna, cioè, recuperare la memoria storica dei fatti sociali, economici e politici che sono accaduti nelle città e nei paesi della Sicilia dalla metà del secolo scorso ai nostri giorni. E penso sia necessario studiare, attentamente, tale periodo attingendo in modo completo ed esauriente alle fonti. Bisogna ricercare e descrivere in modo disarticolato e particolare gli eventi che sono accaduti.
Infatti dai vari ed approfonditi spezzoni delle storie locali siciliane si potrà avere finalmente una completa storia della Sicilia che sia meno approssimativa e distorta di talune che sono state pubblicate e che hanno attinto soltanto a spezzoni di fonti e, pertanto, a notizie incomplete, con la conseguenza di avere fatto “storie” e non “storia”.
È auspicabile che si moltiplichino innanzitutto i lavori di ricerca delle storie locali, dei personaggi che sono stati protagonisti degli avvenimenti, dei vari soggetti politici dei movimenti.
Per la verità negli ultimi anni c’è stato un certo risveglio in questa traiettoria. Lo storico Giuseppe Carlo Marino, recentemente, ci ha dato uno spaccato molto approfondito, nel suo volume: “Vita politica e martirio di Nicola Alongi contadino socialista”, di un periodo della storia di Prizzi ch’è coevo a quello che Vaiana esamina per Barrafranca. Così pure le commemorazioni fatte a S. Stefano di Quisquina di Lorenzo Panepinto e di Bernardino Verro a Corleone hanno ridestato il ricordo delle difficoltose azioni di riscatto dei movimenti e delle persone che ne sono state protagoniste.
Salvatore Vaiana con questo studio prosegue nel solco di queste iniziative e stimola, con il suo esempio, altri ricercatori ad intraprendere tali fatiche in modo da accrescere la conoscenza e la valorizzazione dei processi storici avvenuti in Sicilia. Possiamo verificare, in tal modo, quel dubbio che ci attanaglia talvolta e ci fa temere che ci sia una costante nella storia siciliana per cui viene bloccato, ad un certo momento, il cammino di sviluppo sociale e si vanifica o si riduce l’opera degli uomini e dei movimenti che hanno fatto nascere e crescere una coscienza sociale nella gente emarginata e sfruttata. Una costante per cui, nonostante i successi ottenuti, divengono perdenti coloro che si sono contrapposti, con successo, a chi detenendo il potere economico, politico, ecclesiastico, giudiziario lo usano per opprimere i deboli.
Ci sono fatti come tanti di quelli descritti in questo saggio e che, peraltro, continuano a ripetersi che fanno sorgere il dubbio che ci sia una specie di atavica condanna per cui chi ha speso la propria vita per il progresso della Sicilia venga assassinato o messo da parte ed emarginato.
Continua a ripetersi, infatti, l’uso della violenza e dell’assassinio come normale strategia e come strumento per eliminare chi mette in atto tentativi per far prevalere la giustizia; operare un’equa redistribuzione del potere è per migliorare le sorti delle classi sociali più povere.
Vaiana dedica questo suo libro alla memoria di Alfonso Canzio, ultimo protagonista del riscatto di Barrafranca il cui assassinio conclude l’interessante periodo esaminato e pieno d’iniziative e di realizzazioni per il progresso sociale. Un martirio senza quel tributo di gloria che spetta a chi dà la vita a conclusione di una sfiancante guerra di liberazione.
Alfonso Canzio, vicepresidente della Lega di miglioramento, stimato per la sua irreprensibile condotta e per l’intransigenza nell’affermare la legalità viene descritto dall’Autore come la figura più autorevole del movimento contadino. Egli nacque il 3 luglio 1872. Socialista componente della Congregazione di carità, fece aderire la Lega di Barrafranca alla “Federazione delle cooperative agricole siciliane”.
La data del suo assassinio è significativa, il 27 Dicembre 1919, quando aveva appena cinquant’anni. Come avvenne per Alongi e Rumore a Prizzi, l’attività di Canzio fu stroncata da mano omicida in una piccola strada di Barrafranca. Dopo questo delitto, con l’amministrazione del Sindaco Onofrio Virone, abile autore del trasformismo che aveva coinvolto la Lega nel governo del Paese, si vanificarono i successi elettorali del movimento contadino. Fu completata l’opera di normalizzazione e si spianò la strada per il passaggio al Fascismo. Prevalse, ancora una volta, il blocco di potere formato dal ceto agrario borghese, dal gruppo del clero possidente e corrotto e dagli amministratori che erano subordinati alle famiglie dominanti. Tutti costoro furono dopo legittimati e rafforzati dal fascismo. Con esso non ebbero più bisogno di ricorrere alla violenza omicida ed assassina. Lo stato totalitario divenne violenza esercitata in ogni aspirazione democratica. Oltre quello di Alfonso Canzio, nello stesso periodo ci fu una vera falcidie nei paesi della Sicilia. Il 29 Gennaio 1919 venne ucciso a Corleone Giovanni Zangara, segretario della sezione del partito socialista, il 221 Settembre a Prizzi Giuseppe Rumore ed il 29 febbraio 1920, nello stesso paese fu assassinato Nicolò Alongi, presidente della Lega di miglioramento. Giovanni Orcel, segretario della FIOM di Palermo chiuse, il 14 ottobre 1920, la lista dei martiri.
Il periodo trattato dal Vaiana è quello che vide l’esilio dall’Italia di Don Luigi Sturzo, sacerdote siciliano, grande statista, esule prima a Londra e poi negli Stati Uniti, e lo scioglimento del Partito popolare da lui fondato.
Ci fu, anche, l’assassinio dell’on. Giacomo Matteotti e la fine della presenza del movimento socialista in Italia.
La morte di Alfonso Canzio fece morire a Barrafranca la presenza della Lega. Soffocò quel che era rimasto di quelle voci coraggiose che riuscirono ad organizzare non solo i contadini ma anche le donne casalinghe, a farle scendere in piazza per manifestare per il riconoscimento dei diritti fondamentali nelle campagne, per la giustizia sociale e contro l’esosità delle tasse.
Barrafranca non fu come altri paesi siciliani che furono trascinati, occasionalmente, dai territori limitrofi ai flussi di cambiamento. Infatti nacquero e si affermarono nello stesso territorio personaggi di notevole spessore politico che riuscirono oltre a mobilitare uomini e donne, anche ad aprire sedi ed avere consenso elettorale. Scrive Vaiana che Barrafranca visse in quegli anni uno dei periodi della storia siciliana di maggiore vivacità sociale. Anche allora la Sicilia divenne un vero e proprio laboratorio politico ricco di elaborazione teorica e di sperimentazione. La proposta politica di Don Luigi Sturzo, collegata con la più valida cultura cattolica, anticipatrice degli ulteriori sviluppi della dottrina sociale della Chiesa, diede vita al movimento politico dei cattolici ed al partito popolare. Don Sturzo fece superare i veti pontifici e permettere una grande presenza di cattolici nel Parlamento e nelle altre istituzioni. Ne scaturirono molteplici iniziative sociali ed economiche, come, ad esempio, le casse rurali, le leghe cattoliche, che si diffusero capillarmente nei vari paesi della Sicilia. L’enciclica di Leone XIII “Rerum Novarum” diede la grande legittimazione all’opera di Don Sturzo ed all’impegno dei vescovi e dei sacerdoti progressisti. Questi, anche se non erano molti, furono molto attivi, profondamente spinti dagli ideali di giustizia sociale; ma anche erano sollecitati a contrapporsi alla grande crescita delle leghe di miglioramento ed al movimento socialista. Queste ultime realtà furono grandemente benemerite a scuotere la coscienza. Gli scioperi, le manifestazioni, improntate alla lotta di classe, furono determinati alla riscossa dei ceti popolari che vivevano nella soggezione e nello sfruttamento. La presenza dei socialisti nel parlamento e nelle varie istituzioni contribuirono in modo decisivo ad emanare leggi e deliberazioni a favore dei ceti sociali più deboli. Il decreto Visocchi, ad esempio, approvato il 2 Novembre 1919 rese possibile la concessione delle terre incolte ai contadini, regolò l’affitto e l’enfiteusi. Esso, nonostante la pochezza della normativa rispetto ai bisogni di riforma, suscitò una dura reazione degli agrari i quali ne ostacolarono l’esecuzione.
Tuttavia, in questo lavoro del Vaiana, non poca perplessità suscita il fatto di trovare una irrilevante presenza del movimento cattolico, il poco influsso rilevato dall’azione di Luigi Sturzo e di sacerdoti formati, culturalmente, dalla dottrina sociale della Chiesa ed operosi nel promuovere organizzazioni come le leghe bianche e le casse rurali. Viene solo citata la Cassa rurale Maria santissima delle Stelle, fondata dal sacerdote Ferdinando Cinque. Invece sono numerosi i sacerdoti menzionati dal Vaiana descritti come uomini che non hanno nulla che li faccia riconoscere come Ministri di Dio. Taluni di loro sono schierati con una fazione politica altri con l’opposta fazione. Molti sacerdoti svolgono attività amministrativa come membri del consiglio comunale. Sono proprietari terrieri e ricchi possidenti, schierati dalla parte opposta alla povera gente, ai contadini, ai proletari ed alle loro organizzazioni. Ad esempio, il sacerdote Raffaele Vasapolli sfrattò la Lega di miglioramento dalla casa che aveva dato in affitto per darla alla società “La Barrese” che difendeva gl’interessi degli agrari.
Alcuni sacerdoti addirittura sono stati accusati di essere stati mandanti di omicidi e processati.
L’Autore ci dice che anche a Barrafranca, come in molti altri paesi della Sicilia, il potere era detenuto da famiglie di possidenti raggruppati in schieramenti opposti e con a capo una famiglia. Essi si scontravano; e per dominare gli uni sugli altri usavano la violenza; commissionavano ed eseguivano delitti. Nel giro di un decennio sono stati uccisi due sindaci. Per i delitti venivano assoldati dei sicari, e tra questi emerge, in modo particolare, la figura del famoso brigante Salamone Giuseppe il quale, come la sua vittima, ha tutte le caratteristiche di un capo-mafia.
Questo brigante inviò nel marzo del 1907 un memoriale al corrispondente del Giornale di Sicilia di Enna intitolato: “Salamone Giuseppe ed il Commendatore Benedetto Giordano, ossia gli abusi fatti da un Sindaco e la giusta vendetta”. Salamone, accusato di parecchi delitti, in riferimento ad uccisioni di altri briganti che erano stati esecutori di omicidi, parla di collegamenti con «l’alta mafia». Egli, infatti, durante il processo per l’uccisione del latitante Failla Mulone, scrive, l’otto Maggio in una lettera al Presidente della Corte d’Assise dell’Aquila: «Tutti così finiscono la maggior parte dei latitanti che non obbediscono agli ordini della mafia e ritengo che dove si trova il cadavere del Failla ve ne sono chissà quanti».
Anche a Barrafranca come in altri paesi della Sicilia i movimenti di progresso dimostrarono fragilità politica e furono strumentalizzati. Si lasciarono coinvolgere nella gestione amministrativa con l’illusione di contare ed influire, ma, nei fatti, furono neutralizzati. La sinistra non riuscì ad essere vera forza di governo. Ed anche allora ebbe la meglio il trasformismo del blocco agrario, del ceto medio e del clero corrotto.
Le due potenti famiglie che si contrapponevano e si alternavano nel potere: i Giordano e i Bonfirraro, erano anche abili nel mimetizzarsi e fingersi, secondo l’occasione e per opportunismo elettorale, come vicini al popolo. I Giordano, infatti, da sempre reazionari ed oppressori passati all’opposizione della giunta Bonfirraro, finirono con il guidare i contadini. E l’avvocato Bonfirraro, per contrapporsi ai Giordano, scrive, addirittura, nel suo diario: «Combatterò sempre e con tutte le mie forze per il bene dei poveri, degli afflitti, degli oppressi e di tutti i diseredati che par non siano per altro nati che per piangere e dolorare in omaggio ed esclusiva soddisfazione degli epuloni».
I gruppi dominanti ebbero il sostegno dei deputati eletti al Parlamento nazionale nel collegio di cui faceva parte Barrafranca, con il modello di riferimento ch’è quello degli altri paesi siciliani. I Bonfirraro, ad esempio, furono sostenuti dai deputati massoni Calogero Cascino Rosario Pasqualino Vassallo e Pietro Lanza di Scalea mentre i Giordano dall’on. Marescalchi. Si parla, anche, di magistrati e di forze dell’ordine che sostenevano l’una o l’altra fazione.
Come già notavo sopra, sorprende in questo libro il numero di sacerdoti coinvolti nella corruzione amministrativa ed in azioni delittuose. Una schiacciante maggioranza rispetto alle scarse citazioni di nomi di buoni sacerdoti. Questa situazione è propria di Barrafranca od, anche, di altri paesi? E come mai avviene tutto ciò, nonostante grandi figure di vescovi come Mons. Guttadauro a Caltanissetta e Mons. Sturzo a Piazza Armerina?
I quattro fratelli sacerdoti Vasapolli, ricchi possidenti erano un potente gruppo di potere, consiglieri comunali ed uniti ai Bonfirraro. Due di essi furono accusati ed incarcerati per l’omicidio Giordano. Il sacerdote Privitelli fu incarcerato per essersi appropriato del grano della baronessa Angilella Sgadari di cui era custode. Egli fu condannato dal Presidente Tommaso Mercadante ad un anno di carcere e 500 mila lire di multa. Fu complice di Giordano in atti illegali. Il sacerdote Raffaele Paternò fu processato per minaccia a mano armata in difesa del Giordano. Il sacerdote Luigi Piazza fu sospettato di essere uno dei mandanti dell’omicidio Bonfirraro. Molti furono i sacerdoti eletti e presenti nel consiglio comunale. Oltre a quelli riportati sopra ci furono anche Angelo Guerreri e Gaetano Milino. Invece troviamo come mosche bianche solo tre esponenti del clero, liberali ed aderenti alla carboneria: Bonfirraro, Ippolito e Iambè.
Viene da pensare quanto vantaggioso sarebbe stato per la Sicilia e come si sarebbero potute diffondere le idee e le iniziative volute dalla “Rerum Novarum” di Leone XIII se non ci fosse stato un clero come quello che viveva a Barrafranca ed in altri paesi della Sicilia ai tempi di Don Luigi Sturzo. Fu un periodo nel quale nacquero uomini di grande statura morale e politica e movimenti con forti tensioni ideali. I protagonisti dello sviluppo umano e sociale pagarono di persona, furono martiri ovvero andarono esuli. L’ideologia totalitaria vinse soprattutto per colpa dei corrotti e dei trasformisti. E proprio in questi nostri giorni che seguono la fine di questo secolo e del millennio, più che mai abbiamo bisogno di riproporre alla memoria gli eventi storici come quelli. Attraverso la lezione della storia, infatti, possiamo avere sempre presenti le insidie ed i modo subdoli con cui operano le loro alleanze corrotti e trasformisti per bloccare la crescita della società e delle fasce sociali più deboli.
L’impegno della nostra vita è prova che noi non crediamo che nella storia siciliana ci siano forze ataviche che riescono sempre a bloccare il progresso e la crescita democratica. Per questo, non dimenticando il passato lontano e recente, dobbiamo ereditare il coraggio degli eroi che ci hanno preceduto, ma acquisire più capacità strategica per snidare i pericoli ed andare avanti per raggiungere traguardi di giustizia e democrazia.

Padre Ennio Pintacuda

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