SALVATORE SULLI, Maria Messina: una scrittrice a lungo dimenticata

Maria Messina è una scrittrice nata a Palermo nel 1887 alla quale ormai la critica ha riconosciuto il suo posto nella letteratura del Novecento. 

Verista in rapporti epistolari con Giovanni Verga, apprezzata e recensita da un altro grande scrittore siciliano Giuseppe Antonio Borgese, la sua notevole produzione letteraria fu pubblicata dalle più importanti case editrici dell’epoca. Eppure per tanti anni è precipitata nell’oblio. Ignorata dopo la sua morte dai critici e dagli storici della letteratura fino a quando Leonardo Sciascia negli anni 80 la riportò alla luce e le sue opere furono ripubblicate dalla casa editrice Sellerio e tradotte nelle principali lingue europee. Anche la critica di recente ha cominciato ad interessarsi della sua opera.

Maria Luisa Gristina, neo laureata in lettere moderne all’Università “La Sapienza” di Roma, ne ha fatto oggetto di una attenta ricerca sotto la guida e le cure della Prof. Maria Serena Sapegno discutendo la tesi di laurea su questa autrice, dando così un suo piccolo/grande contributo allo studio critico delle opere di questa straordinaria e sensibile donna “fragile ma con una forza d’animo non comune”.  E non è un caso che abbia scelto proprio la scrittrice siciliana. C’è infatti un quid communisfra Maria Luisa Gristina, nata e cresciuta a Roma, e Maria Messina: un luogo identitario, Prizzi, dove è nata, come la sua, la madre della scrittrice che si chiamava Gaetana Traina. 

Gaetana Traina nata a Prizzi nel 1863, appartenente a una facoltosa famiglia borghese, sposò nel 1880 Gaetano Messina maestro elementare e poi ispettore scolastico, di più modeste condizioni originario di Alimena, paese delle Madonie. Da questa unione nacquero due figli Salvatore, nel 1882 a Prizzi, e Maria nel 1887 a Palermo.

A differenza del fratello che seguì un regolare corso di studi, laureandosi in giurisprudenza, Maria non andò a scuola e fu educata in famiglia dalla madre e anche dal fratello che molto la seguì e la incoraggiò nella sua attività di narratrice.

La professione del padre obbligò la famiglia a continui spostamenti. Visse, nei primi anni del Novecento a Mistretta, in provincia di Messina, luogo da cui trasse ispirazione per alcune sue novelle. Morì a Pistoia in piena guerra nel 1944 a soli 57 anni per una grave malattia. Mistretta per onorare la memoria della scrittrice verista ha istituito nel 2003 un premio letterario in suo nome. Le sue spoglie, insieme a quelle della madre, riposano nel cimitero monumentale di Mistretta, di cui è cittadina onoraria. 

Si diceva dell’oblio che ha avvolto la scrittrice perché – scrive Maria Luisa Gristina - la critica ha costruito attorno a Maria Messina un’immagine romantica, lontana dalla realtà urbana ed esclusa dagli ambienti letterari del suo tempo. Soltanto la critica più recente ha rivalutato la sua scrittura, sottolineando ora il pessimismo dell’autrice, che non prospetta alcuna soluzione alla crisi sociale e individuale evidenziata nelle sue opere, ora la capacità dell’autrice di mettere a fuoco, in una fase di transizione, il passare della vita di tanti individui dall’ombra alla luce, dal silenzio alla parola o la complessità delle interazioni psicologiche tra i personaggi dei suoi romanzi o ancora la grande potenza di rappresentazione della scrittura di Maria Messina nei riguardi della condizione femminile. L’indagine di Maria Luisa Gristina si è focalizzata su quest’ultimo aspetto attraverso una compiuta analisi di quelli che sono i rapporti familiari presenti in due dei suoi romanzi Primavera senzasole del1920 Le pause della vita del 1926, recentemente ripubblicati dalla casa editrice Croce di Roma. 

Ma ancor prima Maria Luisa Gristina bene evidenzia come storicamente il dominio degli uomini sulle donne abbia influenzato la società e la cultura, mantenendo in vita una gerarchia familiare fondata sulla autorità del padre. Ma la paternità più che una entità naturale è piuttosto una costruzione storico sociale fondata sulla autorità e la supremazia. Insomma un potere patriarcale che manca di qualsiasi attributo paterno in quanto esso “non protegge la vita, non educa il figlio che cerca protezione, ma lo domina e lo distrugge, schiaccia le figlie femmine, usa le donne e disprezza la loro sofferenza” come nota Maria Serena Sapegno 

Ma già nell’Ottocento con l’affermarsi della società borghese questo modello entra in crisi fino a essere completamente superato negli anni settanta del Novecento allorquando il concetto di autorità paterna si inclina e si ha una nuova ridefinizione dei ruoli dei genitori e dei rapporti degli stessi all’interno della famiglia. 

Nondimeno – continua Maria Luisa Gristina -la famiglia all’inizio del Novecento comincia ad assumere una nuova fisionomia, il padre progressivamente comincia a perdere autorità ed al contempo si assiste al tentativo delle figure femminili di liberarsi dalla tutela oppressiva degli uomini. La famiglia pur rimanendo una istituzione portante della società, comincia ad assumere una diversa conformazione, che tende a rompere gli schemi del passato, portando a un ripensamento dei ruoli dei componenti all’interno della stessa. 

In questa cornice storico-sociologica si innesta l’opera di Maria Messina la quale mette in luce non solo la condizione della donna ma anche la struttura ed il funzionamento del sistema patriarcale in questo contesto culturale dell’Italia del nuovo Ventesimo secolo. 

E da scrittrice verista essa dà al lettore una immagine chiara di tale struttura evidenziando altrettanto chiaramente la crisi del sistema patriarcale in cui la donna soggiogata dall’autorità maschile cerca una propria e autonoma indipendenza e collocazione nell’ambito familiare e sociale. 

La narrativa di Maria Messina riflette le contraddizioni di questo momento storico di transizione. E la scrittrice non fa che rendersi portavoce - attraverso le puntuali e circostanziatedescrizioni delle condizioni femminili -di questo mutamento, descrivendo le aspettative e i desideri delle ragazze, che spesso non trovano realizzazione a causa delle barriere familiari, sociali, delle difficoltà economiche e del tentativo, da parte delle figure maschili, di mantenere una posizione nella famiglia che, con la crisi del patriarcato, sta lentamente perdendo stabilità e preminenza. 

Ma nel ritrarre questa fase di transizione in cui gli antichi valori rivelano la loro inadeguatezza non si affacciano all’orizzonte modelli nuovi talché i suoi personaggi rimangono sulla “soglia” del cambiamento. 

Andando ora al cuore della ricerca svolta da Maria Luisa Gristina i due romanzi oggetto della sua indaginetestimoniano il tramonto della figura del padre, rappresentata in tutta la sua fragilità. 

I padri di Primavera senza solee de Le pause della vitacostituiscono l’immagine del mutamento delle dinamiche di potere all’interno alla famiglia e sono descritti come inadeguati o assenti. Maria Messina da forma a questo percorso di perdita della posizione verticistica del padre. Questo emerge in Primavera senza soledal dialogo di papà ‘Ntò con donna Narda in merito al rapporto di Orsola con il nipote Nele. ‘Ntò, padre severo e autoritario, lamenta la perdita di influenza nelle scelte matrimoniali dei figli: “Io dico che non mi piace niente niente questo modo di educare i figli. Anticamente un padre diceva alla figlia: figlia mia, preparati che ti ho trovato uno sposo. E i matrimoni riuscivano […] Oggi i ragazzi, alti un palmo, si scelgono la moglie e viceversa. Dico io, che ci sta a fare il padre?”   

È qui evidente la trasformazione dell’autorità paterna e patriarcale - di cui si è detto - e l’emergere, sulla scena, di nuovi modelli di figure femminili. E di fronte a tale crisi, la reazione di alcuni uomini è quella di assumere una posizione distante o assente dalla famiglia; come ancora in Primavera senza sole, Don Raimondo, padre di Orsola, descritto come un uomo passivo e distaccato poco attento ai bisogni dei propri familiari: estraniato dalle relazioni e dalla realtà circostante si consuma in uno stato di solitudine, dato non dalla mancanza di affetti, bensì dall’assenza di un ruolo.

Altra figura di padre è Ubaldo, nel romanzo Le Pause della vita,uomo introverso e sognatore e per questo in forte contrasto con la moglie: Ubaldo aveva tentato cento occupazioni senza trovarne una che gli garbasse. Ma ogni volta che consegnava alla moglie i suoi guadagnucci erano nuovi rimproveri: “Un uomoche perde il suo tempo per buscare poche lire!!”.Da questa descrizione vien fuori una figura di padre fragile che non riesce a imporsi alla moglie forte e autoritaria, sente di aver fallito con i figli che lo fuggono per obbedire alla madre. E così emigra in Francia proprio perché incapace di accettare la propria condizione di fragilità. Consapevole che il suo ruolo di padre è venuto meno, scappa dalla famiglia, cercando altrove la propria realizzazione come uomo. Una figura in pieno contrasto con lo stereotipo del padre autorevole nei confronti delle figlie e della moglie. 

Ma accanto alla figura del padre Maria Messina pone la sua attenzione sulla condizione delle giovani donne desiderose di emanciparsi e di definire la propria identità al di fuori della famiglia.  

La scrittrice manifesta la volontà di cambiare lo stato delle cose attraverso una denuncia e la puntuale descrizione della condizione femminile e la ricerca da parte delle donne di una via di uscita dalla gabbia familiare dal baglio, dalla realtà dove sono confinate.

In Primavera senza soleOrsola non può studiare, mentre le sue compagne, in condizioni economiche più agiate, riescono a conseguire la laurea, al pari dei colleghi maschi. Orsola invidia le ragazze che possono uscire dal baglio, mentre lei deve sacrificarsi per i propri cari, e contribuire ai bisogni della famiglia. Paola, personaggio principale del romanzo Le pause della vita,è una giovane donna costretta ad asservirsi alla volontà materna, sostitutiva di un’autorità paterna assente. Ma la madre, assumendo una posizione di comando, non si preoccupa dei sentimenti, dei sogni e delle ambizioni di Paola, che resta così disorientata. E pertanto sorge in lei il bisogno di trovare un altrove dove rifugiarsi e trova conforto nella lettura; alla stessa maniera di come per Orsola l’esperienza del leggere rappresenta l’unico modo possibile per sfuggire alla realtà soffocante di relazioni familiari e sociali. 

Le figure femminili di questi romanzi manifestano una progressiva presa di coscienza, che stride con i paradigmi di moglie e madre, proposti dal contesto sociale e con il sistema di valori dell’inizio del XX secolo. Questa presa di coscienza diventa per le donne consapevolezza amara di una desiderata e impossibile libertà: la solitudine è l’unico spazio che apre la breccia affinché la coscienza della propria condizione si rafforzi e perciò come osserva Maria Serena Sapegno nei testi di Maria Messina, la solitudine “torna [...] ripetutamente come una vera e propria costante del processo di acquisizione di coscienza, come la conseguenza inevitabile di quel passaggio di soglia al di là del quale si è sole”  

 Le donne protagoniste di questi romanzi - vittime di regole di vita arcaiche e pur anche in un contesto dove l’autorità patriarcale comincia a declinare -, cercano la libertà, ma restano soffocate da un destino ineluttabile, incapaci di opporsi a una realtà che non permette alcun riscatto sociale proprio per la difficoltà di esprimere apertamente i propri desideri e perseguire le proprie ambizioni, in una parola per la impossibilità per queste donne di essere veramente libere. Vengono così a trovarsi in una “gabbia […] di ferro” da cui è impossibile liberarsi. 

Rinunce, rassegnazioni sacrifici sono alcuni dei sentimenti delle donne nePrimavera senza sole eLe Pause della vitae non ci sono strade facili per superarli ed è questo il doloroso messaggio che traspare. Ma nell’autrice accanto alla consapevolezza delle difficoltà che la strada della emancipazione della donna non è facile vi è anche la convinzione di non volersi arrendere “mostrando - conclude Maria Luisa Gristina - anche una strada percorribile, pur se non improvvisabile: e cioè che la libertà di essere donne o uomini “come si vuole”può passare solo attraverso una presa di coscienza molto articolata, che decostruisca i modelli che più ci influenzano, e che ci si interroghi sull’idea di autorità e di libertà interiorizzati finora, permettendo di muoverci con più coscienza nella realtà contemporanea”. 

Da parte nostra vogliamo concludere con le parole di una scrittrice francese Anne Bragance, profonda conoscitrice della nostra letteratura, che a proposito della denuncia di Maria Messina nel romanzo La casa del vicolo(ma può valere per gli altri romanzi) della donna tenuta in uno stato di soggezione prossimo alla schiavitù, in un articolo apparso nel 1987 sul quotidiano francese Le Monde,ebbe a scrivere che “la triste casa in cui la scrittrice introduce il lettore con la sua arte, lasciandogli ogni libertà di giudizio, è più edificante, e anche più efficace per la causa della donna, di tutti i manifesti femministi”. Come a dire che Maria Messina è stata una femminista - per restare nella lingua - avant la lettre.

Febbraio 2021 

Salvatore Sulli

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