Tindaro La Grua è un romanzo complesso nella trama ma accattivante nella lettura, ed è profondo nel pensiero, un valore aggiunto non sempre riscontrabile nella narrativa contemporanea. Un’opera in cui il piacere della lettura non si esaurisce alla fine della lettura stessa, quando il lettore trova risposta agli intriganti quesiti che l’evolversi della vicenda narrativa pone. Anzi, è al termine della lettura che inizia il vero piacere: il piacere del pensieroche la lettura suscita, che porta il lettore amante del pensiero alla rilettura.
Comprendere a fondo cosa sia questo «edonismo del pensiero» e quale importanza abbia, è possibile solo se conosciamo la biografia intellettuale del suo sostenitore. E per questo, il mio intervento non verterà su questo romanzo, di cui si parlerà negli altri interventi, ma appunto su questa biografia.
In essa ho individuato due parole chiavi: utopia e spiritualità, che utilizzo come categorie interpretative della intera produzione letteraria dell’autore e del suo essere e del suo agire nel mondo per cambiarlo.
L’utopia e la spiritualità sono quasi costantemente presenti, seppur con aggettivazioni profondamente diverse, nei tre tempinei quali si articola il percorso di formazione intellettuale di Guadagnino: il primo è il tempo della spiritualità cattolica, il secondo dell’utopia comunista, il terzo dell’utopia del pensieroe della spiritualitàlaica.
1. La spiritualità fideistica della vaneddra
La sua prima formazione avviene in famiglia e nell’ambiente popolare della vaneddra, angusto luogo d’iniziazione alla vita dei fanciulli nella Canicattì degli anni cinquanta.
Guadagnino segue, obbediente e fideistico, la tradizione religiosa cattolica, della quale sono maestre la mamma e la nonna. Con loro si reca nell’umile chiesa della vaneddra, dove, specialmente durante le lezioni di catechismo, incontra, una signorina che lo incanta con la parola di cui s’innamora: la signorina è Graziella, la parola è spiritualità.
Ma maturando trova quella spiritualità troppo formale, istituzionalizzata, insomma «da pulpito».
Essa non regge alla esplosione della rivoluzione culturale del Sessantotto, che spinge Guadagnino verso il pensiero laico e critico.
Testimonianza di questo passaggio sono i versi di A Cristo, una delle sue prime poesie, scritta per «l’eretico che scese / dal pulpito per dire / amore con la vita». Nasce dunque eretico Guadagnino, un’eresia volta all’amore e alla redenzione dell’umanità crocifissa.
2. L’utopia comunista
Ora, nel suo secondo tempo eretico e del pensiero autonomo e critico, abbraccia il marxismo, un’ideologiache lo affascina per la carica utopico-egalitaria e per la pratica di lotta volta al riscatto terreno dell’umanità sofferente, che si confà al suo adolescenziale spirito disobbediente e critico.
Una testimonianza della sua prima e autonoma elaborazione intellettuale sono alcune composizioni poeticheche hanno per tema la fratellanza, il 25 Aprile e il Primo maggio, Portella delle Ginestre, l’emigrazione, i negri che muoiono nel Vietnam, Ho Chi Minh e Che Guevara.
Nel 1970 collabora al giornale semiclandestino "Il Punto" del prof. Vincenzo Sena, pubblicandovi diversi micro-saggi in cui avanza una critica radicale al potere sia capitalistico che sovietico, all’alienante società consumistica occidentale e alla sempre più pervasiva tecnologia. Il suo spirito utopico è espresso nell’articolo Realisti e utopisti ovvero sfruttatori e sfruttati, mentre testimonianza dei suoi interessi letterari è l’articolo Majakowskj e il Futurismo.
Al culmine del decennio dell’utopia è autore di una commedia ironicamente intitolata Canicattì, regina dell’uva. In essa parla delle deleterie conseguenze dell’inaspettata ricchezza economica portata a Canicattì dalla produzione dell’uva e della relativa «ideologia consumistica», sulle quali scrive parole di fuoco che non risparmiano neanche il Partito comunista, che ora sostiene i ricchi e affaristi produttori di uva. E non risparmia neanche la chiesa locale che, assecondando le «devozioni materiali» popolari (nel passato denunciate dal prete Angelo Ficarra), finisce per sostenere involontariamente l’accumulazione capitalistica e il consumismo.
La fine del lungo Sessantotto e la concomitante crisi delle ideologie mettono fine ai sogni di quell’«astratta gioventù» di cui Guadagnino è stato parte.
3. L’utopia del pensiero e la spiritualità laica
Inizia per lui un percorso di vita nuova: quello che abbiamo chiamato dell’utopia del pensiero.
Del passato ha superato la rigidità ideologica ma non l’abitudine a pensare criticamente e a disobbedire:
«Nessuno che impari a pensare può tornare a obbedire come faceva prima, non per spirito ribelle ma per l’abitudine ormai acquisita di mettere in dubbio ed esaminare ogni cosa.»
Così pensa Hannah Arendt in Alcune questioni di filosofia morale.
Questo terzo tempo è suddivisibile in due fasi: la prima è quella della costruzione della sua autonoma e originale visione della vita, la seconda della rappresentazione letteraria di questa visione.
3.1 La borsa dell’avvocato umanista
Nella prima fase è assai assorbito dall’esercizio della professione di avvocato penalista. Come «professionista» è «assai anomalo»: «campa» di diritto ma «vive di pensiero», infatti nella sua «borsa» le «carte» processuali coabitano con «testi di filosofia e classici della letteratura».
Fra un processo e l’altro la sua riflessione interiore produce uno zibaldone di idee in versi e in prosa, scritti nel taccuino della memoria, che sono i tasselli della nuova visione metafisica della vita, ispirata alla filosofia occidentale (Platone e Seneca, ma soprattutto Benedetto Spinoza) e al pensiero orientale (il Taoismo, l’Induismo e il Buddismo).
Ma non vive solo di lavoro, lettura e meditazione; trova, infatti, anche dei ritagli di tempo per le attività culturali, perlopiù recensioni e presentazioni di opere storiche, letterarie e artistiche. Nel 1980 presenta Dalle parti degli infedeli di Leonardo Sciascia; autore del quale si interesserà ancora nel 2008, nel saggio La santità reietta, pubblicato in un libro dello storico Gaetano Augello; e nel 2019 nel saggio Leonardo Sciascia e la contraddizione, sull’annosa polemica fra Sciascia e il poeta e scrittore spagnolo Gonzalo Alvarez Garcia (l’occasione gliela offre Enzo Di Natali in un convegno del 2019, i cui atti sono stati successivamente pubblicati).
(Un mio pensiero va, in questo momento, a Gonzalo Alvarez Garcia, morto 6 giorni fa, un raffinato intellettuale evoluto da prete cattolico-franchista a intellettuale laico spinoziano. Gonzalo, un tempo grande amico di Sciascia, poi suo implacabile critico; poi grande amico di Guadagnino, e anche mio).
3.2 Il taccuino in tipografia
Con i due saggi su Sciascia siamo già dentro la seconda fase, in cui l’esperienza nell’avvocatura e l’esercizio del pensiero si riflettono nei numerosi saggi pubblicati su riviste culturali e, soprattutto, nella produzione letteraria editoriale.
Produzione che comprende due sillogi poetiche, due romanzi, un volumetto di racconti e un saggio biografico: Trasmutazione pubblicato nel 2007 e riedito nel 2020, La via breve nel 2009, Il fabbro e le formiche e Apocrifi nel 2011, I filosofi della Quarta Sezione nel 2013, Tindaro La Grua nel 2020.
Sono opere che hanno avuto una favorevole e larga accoglienza, sono state infatti prefate e recensite su riviste specialistiche da tanti critici: ricordo in particolare la prefazione a Trasmutazione di Andrea Guastella, critico d’arte e letterario di respiro nazionale, e la recensione a Tindaro La Grua di Salvatore Di Maria, docente di lingua e letteratura italiana in una università statunitense, pubblicata su una prestigiosa rivista accademica.
La via breve contiene racconti ambientati in quella vaneddra a cui ho accennato, che narrano il microcosmo popolare con la sua vita quotidiana e cultura materiale: eventi e aneddoti trasfigurati con maestria letteraria. È un paese ormai per sempre perduto e che l’amore dell’autore consegna alla memoria letteraria.
Guadagnino è anche affascinato dalle lotte di quel mondo popolare contadino, di cui sentiva ancora l’eco negli anni della sua fanciullezza. E per questo recensisce su due riviste regionali, “Pagine dal Sud” e Le Muse”, diverse opere che di quel mondo raccontano appunto le lotte aspre, di cui qualcuna con esito estremamente tragico.
Il fabbro e le formiche è un saggio storico-biografico su un canicattinese illustre: Domenico Cigna, «avvocato» del foro di Agrigento e «letterato» come Guadagnino, e anche deputato nazionale del Partito socialista e fra i fondatori della Cgil di Agrigento e della Camera del lavoro di Canicattì. Un intellettuale sofferente di nevrastenia da cui tenta di uscire rifugiandosi nel cattolicesimo, che «col suo connaturato manicheismo, gli è congeniale» scrive Guadagnino. Il cattolicesimo, però, «non mette a «tacere la sua mente», e ciò gli impedisce «l’accesso» alla filosofia di Spinoza, che forse lo avrebbe liberato dalla malattia e avvicinato alla ricercata verità, «verità che vive di silenzio» e «silenzio ch’è cenere di brama», come dice Guadagnino in Trasmutazione.
Trasmutazione è la sua prima silloge poetica e riguarda l’attività della coscienza volta a liberare l’anima «dalle interferenze mentali ed emotive», che sono un ostacolo al vero poetare e al «cammino dell’evoluzione umana». In una recensione critica Alvarez paragona Guadagnino al poeta spagnolo Miguel Hernandez: «L’uno e l’altro - scrive - dominano perfettamente l’arte poetica e di essa si servono per offrirci pensieri e passioni». La prima delle 10 sezioni della silloge è intitolata “Kali-Yuga”: “Kali-Yuga”, secondo la tradizione indù, è l’Età Oscura, e per noi è quella attuale, dominata dalla tecnica.
Apocrifi è la seconda silloge e si apre significativamente con la composizione “Della poesia”: vi si dice che la poesia ha un valore in sé, «non ha mercato: questo è il suo valore». Alvarez, che firma la Prefazione, ne coglie lo spirito spinoziano.
Solo con l’esercizio della spiritualità, fondata sul pensiero orientale (che ispira Trasmutazione) e sulla filosofia di Spinoza (che ispira Apocrifi), si può intraprendere il cammino evolutivo verso la verità.
La promozione dell’evoluzione umana è il compito dei filosofi; compito svolto bene da alcuni protagonisti del suo primo romanzo: I filosofi della Quarta Sezione.
3.3 I filosofi della Cabiria dannunziana
Il protagonista-filosofo principale del romanzo è Calogero Vinci, un geometra che abita a Cabiria, immaginaria città somigliante alla Canicattì dell’uva Italia. È un geometra assai anomalo: infatti, «campa di tecnica» e «vive di pensiero», e nella sua borsa «perizie varie e carte del catasto s’incontravano spesso con testi di filosofia e classici della letteratura».
Milita in un Partito che a Cabiria ha tre sezioni. Esauritasi in esse la «tensione dialettica» (sostituita ora con le «chiacchiere» sulle donne e sul calcio e con i «giochi» delle carte e a bigliardo), la militanza si atrofizza e il Partito diviene inadeguato al progetto iniziale di realizzazione della società e dell’uomo nuovi.
Non rassegnato a questa deprimente realtà politica, Vinci decide di aprire con alcuni compagni una nuova sezione. La reazione del Partito è intollerante e anche minacciosa e conduce alla scissione da cui nasce la “Quarta Sezione”.
L’eretica Sezionesi definisce «una libera associazione politica e culturale», per la cui ammissione «è sufficiente avere fede nell’utopia». Nel suo statuto delinea così le sue finalità:
«[La Quarta Sezione è] opera per il conseguimento del massimo grado di elevazione della condizione umana e per la formazione di una società senza frontiere di liberi, di uguali, di filosofi».
Il suo orientamento ideale viene indicato plasticamente da tre ritratti, campeggianti sulla parete della sede, di Spinoza, Marx e Gramsci. Marx ha solo un valore simbolico, ma non è più un riferimento effettivo. Gramsci ha ancora un valore, seppur parziale, perché dà un’«importanza determinante alla sovrastruttura, e cioè alla cultura». Entrambi rappresentano il passato, mentre Spinoza è il filosofo del presente, il «culmine teorico della lotta di liberazione umana». La sua metafisica, negata dal materialismo storico di Marx, è la «metafisica del tutto», dell’identità Dio-Natura: «Deus sive natura». Essa si propone di stimolare (nelle coscienze offuscate della moltitudine) l’«edonismo del pensiero» contrapposto al dominante edonismo materialistico.
Per spiegare la modalità di cambiamento nelle coscienze da un edonismo all’altro usa la “metafora anfiteatro-teatro”: Il piacere diffuso nella società è il «piacere da anfiteatro»:
«La terra ospita, anche, masse umane la cui intelligenza e i cui sentimenti non vengono lievitati dai voli dell’arte, uomini la cui statura morale si ferma all’altezza del ventre. Ebbene, per costoro c’era l’anfiteatro, con i giuochi gladiatori, i combattimenti con le belve, le uccisioni dei cristiani.»
E a proposito di anfiteatro, trovandomi in un ambiente di cultura e spirituale come la Biblioteca Lucchesiana, ritengo opportuno citare un breve passo di papa Francesco del 6 marzo 2022 che mi sembra possa essere condiviso da Diego Guadagnino e dai presenti: è una esortazione ai credenti, soggetti all’«ineludibile destino dei Quattro Novissimi», a non cedere ai diabolici istinti primordiali; ma l’invito è estensibile anche ai non credenti affinché la loro morale non si fermi «all’altezza del ventre»:
«“Il possesso delle cose, il potere, la fama, sono il veleno delle passioni in cui si radica il male”. […]
“Se cediamo alle lusinghe [del diavolo], finisce che giustifichiamo la nostra falsità, mascherandola di buone intenzioni: ‘Ho fatto affari strani, ma ho aiutato i poveri’; ‘ho approfittato del mio ruolo - di politico, di governante, di sacerdote, di vescovo - ma anche a fin di bene’; ‘ho ceduto ai miei istinti, ma in fondo non ho fatto male a nessuno’, e così via". "Per favore: con il male, niente compromessi! Con il diavolo niente dialogo”.» (in “Vaticano news”, 6 marzo 2022)
È necessario, quindi, «educare gli uomini» ai «piaceri del teatro», cioè al piacere del pensiero filosofico. Nel teatro greco classico:
«La tragedia e la commedia mettono l’uomo sulla via della conoscenza di sé, lo stimolano al pensiero, lo inducono a porsi i grandi perché dell’esistenza».
Il compito pedagogico del travaso della moltitudine dall’anfiteatro al teatro è affidato non ai filosofi contemplativi, ma ai filosofi dell’azione, ai filosofi militanti come Spinoza:
«L’opera del filosofo consisteva in una paziente preparazione di travasi di quote d’umanità sempre più grandi dall’anfiteatro al teatro.
Era quello che aveva fatto Spinoza, proponendosi non solo di trovare la felicità per sé, ma anche di renderla trasmissibile attraverso il linguaggio matematico. […] Aveva fondato la geometria dell’umano percepire, gettando le basi di una filosofia militante e di una militanza filosofica.»
Con I filosofi della Quarta Sezione l’autore ci invita espressamente non solo all’edonismo del pensiero, ma anche a riflettere sull’odierno processo di scissione e contrapposizione fra cultura classico-umanistica e cultura scientifico-tecnologica, rappresentate metaforicamente da due fratelli, Sapiens e Faber, che dovrebbero essere collaborativi e invece sono in lotta fra loro. È necessario, quindi, riportare alla collaborazione i due fratelli, riportare a unità la cultura umanistica e quella scientifico-tecnologica; insomma, ricomporre in una sintesi superiore la contrapposizione uomo-tecnica.
Alla stessa riflessione ci invita Guadagnino in Tindaro La Grua quando parla del passaggio, nell’avvocatura odierna, dal vecchio penalista che si nutriva sia di cultura umanistica che giuridica al penalista odierno che si alimenta quasi esclusivamente di cultura tecnico-giuridica.
È un processo questo che potrebbe avere come esito il predominio totale e definitivo della tecnica sull’uomo.
«Il mondo in cui noi oggi viviamo, e in cui tutto si decide sopra le nostre teste, è un mondo tecnico, al punto che non possiamo più dire che, nella nostra situazione storica, esiste tra l'altro anche la tecnica, bensì dobbiamo dire: la storia ora si svolge nella condizione del mondo chiamata “tecnica”; o meglio la tecnica è ormai diventata il soggetto della storia con la quale siamo soltanto “costorici”.»
Così Günther Anders in L’uomo è antiquato, pubblicato nel 1956.
Oggi la realtà di quel mondo è terribilmente confermata, anzi si è più aggravata: c’è il rischio, settant’anni dopo circa la pubblicazione di quest’opera profetica, che con la tecnica non saremo neanche «costorici».
Se questo processo (e progetto) tecnocratico si dovesse compire, sarebbe la fine di ogni utopia dell’emancipazione sociale e della possibilità di evoluzione dell’uomo. E sarebbe anche la fine di ogni forma di spiritualità.
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