Poi, il tema tornò a intrigarmi quando stavo preparando la tesi di laurea, ma stavolta senza intenti devozionali. Anche le mie ambizioni si erano ridimensionate e dal poema ero passato a un più modesto e realistico saggio. Leggevo con vorace passione Ernesto De Martino, Mircea Eliade, Raffaele Pettazzoni, Claude Lévy-Strauss, e tutto quello che trovavo in materia di storia delle religioni. Volendo mettere a profitto le mie acquisizioni cognitive, avevo pensato al nostro cappuccino, che ora definivo non più “santo” ma “taumaturgo locale morto agli inizi del secolo”, trattandolo alla stregua di una sorta di stregone del villaggio, un uomo-ponte tra il naturale e il soprannaturale, insomma una presenza benefica interna alla comunità. Passai alcuni mesi alla ricerca di notizie utili a ricostruire la vita di quel tempo lontano a Canicattì. Ma anche questa volta il progetto era destinato a sfumare nel nulla.
A sollecitarmi il ricordo di quei tentativi, adesso è nientemeno che un fumetto, ma un fumetto speciale perché ha come teatro la nostra città e perché l’autore è il mio ex compagno di banco alla “Verga” Pietro Campo, Pio o meglio ancora Piuzzu per gli amici, da anni trapiantato a Brescia, dove è titolare di un prestigioso studio di consulenza del lavoro.
A portarsi il paese natale per decenni dentro la memoria si finisce per farne un luogo mitico, al riparo dal mutare inesorabile del tempo. E questo ricavare luoghi reali da una dimensione personalmente mitica mi ha riportato ai miei propositi di ricostruire Canicattì com’era più di un secolo prima nel mio cimentarmi col frate carismatico della Madonna della Rocca. Immagino lo stesso sarà accaduto a lui, a giudicare da questo lavoro antimafioso dal titolo che più esplicito non poteva essere: Pronto Marescià, Don Calogero Sugnu…
La storia raccontata, infatti, è quella di un boss con tutti gli ingredienti del genere, omicidi, attentati, estorsioni, corruzione, traffico d’armi, amori trasgressivi, tombe appariscenti e lapidi infiorate... senza dimenticare, nel contesto, la figura rassicurante e positiva del beato Livatino. A fare da sfondo è un paese mai nominato; ma nel fluire dei disegni emergono piazze palazzi e chiese di Canicattì, fino all’imporsi di una panoramica che si direbbe quella che il fumettista, ragazzo, vedeva dai paraggi della via Enrico Toti dov’era ubicata la casa parentale.
Nello spazio della memoria Campo ha conservato intatto anche l’idioma originario, con cui fa parlare i propri personaggi con effetti incisivi e tratti di comicità camilleriana.
È la prima volta che la nostra città viene celebrata con un fumetto, tecnica narrativa a cui, dopo il Poema a fumetti di Dino Buzzati e i saggi di Umberto Eco, che l’hanno sdoganata in ambito letterario, nessuno più contesta il rango di arte a pieno titolo.
Diego Guadagnino
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