"Postfazione" a G. Augello, Caleidoscopio canicattinese, Edizioni Cerrito, Canicattì 2023
L’autore e l’opera omnia
Gaetano Augello, è un intellettuale profondamente legato alla sua città natale, Canicattì, in cui ha svolto diverse attività professionali, politiche e culturali: docente, dirigente scolastico, amministratore comunale, scrittore e animatore culturale dell’UNITRE, prestigiosa istituzione di cui è stato Presidente. Per questo viscerale amore ha rivolto il suo interesse storiografico - emerso già nella sua tesi di laurea: Condizioni demografiche ed economiche del Comune di Canicattì (1965-66) - esclusivamente a Canicattì.
Sebbene la sua opera omnia sia stata interamente prodotta e pubblicata nel nuovo Millennio, essa risente dello spirito dell’uomo e dello studioso formatosi nel clima socioculturale dei primi decenni del secondo Novecento, quando ancora non c’era sentore di quella rivoluzione tecnologico-informatica che ha prodotto un notevole gap culturale fra le generazioni: dalla Generazione silenziosa, cui l’autore appartiene, alla Generazione Alpha.
È una produzione cospicua e varia, che spazia dalla storia generale alle biografie, ai saggi tematici, fino ad approdare a due raccolte di scritti brevi di varia umanità: Canicattì in 138 pillole e Caleidoscopio canicattinese. Con essa l’autore ha dato un contributo rilevante alla storiografia locale che, fino alla metà del secolo scorso, era quasi inesistente (condizione che contrasta con la ricca e plurisecolare storia della città).
L’opera è il risultato dello studio di documenti materiali che tanti canicattinesi gli hanno donato come riconoscimento del suo impegno storiografico e di altri digitalizzati tratti dal sito “Canicatti-centrodoc.it” del “Centro di Documentazione della Città di Canicattì”, ideato e diretto con spirito di servizio dal dott. Giuseppe Brancato.
Essi, selezionati e filtrati dal suo spirito laico e ironico, gli hanno permesso di costruire anche le numerosissime narrazioni di Caleidoscopio canicattinese sulla vita comunitaria nei suoi molteplici aspetti, la cui lettura, se esercitata con il bene irrinunciabile della «ragione critica», può produrre qualcosa di più del mero diletto o della semplice curiosità per le memorie cittadine: l’amore per la Storia e la passione per i valori morali e civili.
I caratteri identitari della comunità canicattinese
Le caratteristiche e i «percorsi di lettura» di quest’opera si possono ritrovare già delineati nel nostro Saggio introduttivo alla precedente raccolta, Canicattì in 138 pillole. In questa Postfazione, invece, vorremmo soffermarci su un aspetto cruciale della nostra epoca: l’identità comunitaria. Partendo da alcune parole chiavi interconnesse: identità e comunità, memoria e storia, che danno senso non solo a questa raccolta ma all’intera opera di Augello, vogliamo offrire ai lettori, specialmente giovani, spunti di riflessione utili per poter «dire la loro» come cittadini di una piccola comunità sulla crisi e i rischi che il mondo odierno sta attraversando.
È un mondo irreversibilmente globale, o glocale nel senso ricavabile da una puntualizzazione di Luciano Gallino in una recensione a un saggio di Bauman: «La globalizzazione tocca la vita quotidiana e il destino di miliardi di individui. Perciò questi devono avere la possibilità di dire la loro… Zygmunt Bauman coglie con non comune acutezza come il globale finisca sempre per diventare locale e individuale».
Il tema della condizione e del futuro delle comunità locali nel mondo globale è così rilevante da stimolare gli appetiti del fondatore di “Facebook” Mark Zuckerberg, interessato all’utilizzazione delle reti sociali on line per costruire una comunità globale umana, e le attenzioni dello storico dell’umanità Yuval Noah Harari, che nel suo saggio 21 lezioni per il XXI secolo ha intitolato la quinta lezione «Comunità». In essa scrive che «il genere umano è lontano dal costituire una comunità armoniosa, ma siamo tutti membri di un’unica turbolenta civiltà globale» e «per poter prosperare, abbiamo ancora bisogno di trovare i nostri riferimenti fondamentali nel contesto di piccole comunità». Egli sostiene che «i gruppi umani … riescono a inventarsi matrici identitarie tanto antiche quanto fantasiose grazie alle loro abilità narrative»; ma nel contempo afferma anche che, di fronte all’inefficienza delle nazioni nella gestione dei problemi della contemporaneità, «abbiamo bisogno di una nuova identità globale»: per inventarla ci sarà bisogno di smisurate e fantasiose «abilità narrative»!
Di diverso indirizzo storiografico è Giuseppe Carlo Marino che nel saggio Contro l’inverno della memoria (e della Storia) si sofferma ampiamente sull’importanza della memoria, di cui esplicita il nesso con l’identità comunitaria, nella costruzione dialettica di un nuovo mondo globalizzato. Egli sostiene, riferendosi a una comunità nazionale, che le «“memorie collettive” sono necessariamente indivisibili dagli sviluppi socioculturali delle comunità organizzate», le quali «conseguono e mantengono nel tempo le loro specifiche e autonome “identità”» per mezzo di queste memorie.
A livello di comunità locale, la presenza e il valore della memoria e dell’identità sono rintracciabili, con una lettura attenta e mirata, nell’opera omnia di Augello e segnatamente in Caleidoscopio canicattinese. Anche in questa raccolta troviamo infatti le narrazioni utili per individuare quei caratteri identitari che sono strettamente legati alle memorie collettive storicamente determinatesi nell’agire socioculturale e che concorrono a costruire la filosofia del «senso comune» della comunità canicattinese
È utile a questo punto precisare, con Marino, che la memoria collettiva non è una memoria «passiva» (intendendo questa come «un mero flusso di ricordi», che talvolta si trasforma in «una sorta di patologia […] come quando per la memoria storica dei reduci il ricordare consiste nella sensazione di potere o di dovere ripetere il passato») ma «attiva», cioè quella il cui esercizio, applicando il metodo dialettico, «ci libera dal passato in misura della capacità con la quale lo si recupera, ma rielaborandolo, superandolo, e aprendolo all’idea di futuro».
Ma quali sono i caratteri identitari della comunità canicattinese? Ci soffermiamo di seguito su quelli di particolare rilevanza.
Un primo fondamentale elemento identitario è il dialetto, le cui peculiarità grammaticali in passato sono state studiate da Fausto Curto. Oggi il Centro di Documentazione sta cercando di conservarne la memoria attraverso la pubblicazione imminente del Vocabolario della Città di Canicattì e della sua zona linguistica. Augello, da parte sua, vi contribuisce con una raccolta di nomignoli (Li ‘ngiurii), qui pubblicati sotto il titolo Quando i soprannomi dicevano più dei nomi.
Un secondo aspetto è rappresentato dal pragmatismo economico, che ha radici secolari. Sue espressioni sono le attività nei settori agricolo, commerciale e bancario. È un pragmatismo che ha suscitato ammirazione (specialmente quello che ha determinato il boom dell’uva Italia nel periodo 1970-90 circa), ma talvolta anche critiche come quelle argute e pungenti in cui ci s’imbatte nella brillante commedia di Diego Guadagnino: Canicattì regina dell’uva. Anche questo frutto dorato è assurto a elemento simbolico identitario avendo determinato tanta ricchezza da far entrare allora la città fra i cento Comuni più ricchi e produttivi d’Italia. Oggi quel mito è per alcuni solo il nostalgico ricordo della perduta opulenza; per i più la liberazione da una fonte d’inquinamento assai pericolosa per la salute della natura e dell’uomo; per la chiesa la liberazione dalle imbarazzanti e affatto spirituali richieste devozionali degli agricoltori impauriti dal “diabolico” maltempo che attenta alla salute della vigna. A tal proposito, negli anni del boom dell’uva un giornalista scrisse che l’arciprete celebrava sovente «messe speciali per invocare il bel tempo», messe quindi dal palese fine utilitaristico.
Quest’ultimo accadimento ci suggerisce un altro elemento identitario: la religiosità. Essa si fonda su pratiche devozionali antiche e non immuni dagli aspetti utilitaristici appena accennati. Le tradizioni devozionali del popolo siciliano, e segnatamente canicattinesi, sono state studiate agli inizi del Novecento dal vescovo Angelo Ficarra in Le devozioni materiali (per la sua biografia cfr. Angelo Ficarra - La Giustizia negata). In quest’opera il prelato utilizza, per descriverle, parole forti e contrastanti come nell’espressione «materializzazione dell’idea religiosa». «Si ha bisogno della pioggia?» si chiede Ficarra, «ricorriamo a S. Giuseppe o a qualche altro santo, che si considera come una specie di Iuppiter pluvius». Andando dietro alle paganeggianti devozioni, conclude lo studioso, «molti cristiani perdono di vista ogni pura idealità e danno un’impronta utilitaria anche a tutte le pratiche religiose». Oggi la religiosità appare ancor più esteriore e lontana dalla «rinnovazione interiore del proprio essere» auspicata allora dal vescovo: espressioni di profonda crisi spirituale sono lo svuotamento delle chiese e la penuria di preti, mentre si riempiono i molti centri dell’edonismo. È una crisi che Canicattì condivide con l’ecumene cristiano-occidentale. La causa di ciò è da addebitare al materialismo consumistico sollecitato dai subdoli mezzi di condizionamento, al servizio del «finanzcapitalismo», delle masse globali. Un materialismo edonistico trionfante, nonostante la voce ferma ma inascoltata degli ultimi tre papi lo abbia costantemente denunciato.
Di contro a queste devianti tendenze, la città ha dato i natali a personalità di profonda religiosità che, assieme ad altre rilevanti per caratteristiche diverse, rivestono nel loro insieme un altro carattere identitario per la comunità. Fra le più notevoli, oltre al mite e santo vescovo Ficarra, martire di una fede genuina e quindi aliena dai compromessi, si distinguono l’umile frate Gioacchino La Lomia votato a un’integrale vita spirituale (cfr. Gioacchino La Lomia. Il frate degli ultimi) e il giovane giudice Rosario Livatino vittima della mafia (cfr. in Appendice la Relatio in re historica), tre persone assai diverse nella storia biografica, di cui solo il terzo beatificato. Altre personalità rilevanti sono lo scienziato ideatore della fototerapia Antonino Sciascia, il giudice Antonino Saetta, anche lui vittima della mafia (cfr. infra l’opera omnia di Augello), il filantropo Francesco Lombardo (cfr. Il barone Francesco Lombardo Gangitano) e l’eccentrico e gaudente barone La Lomia (cfr. Agostino La Lomia. Un Gattopardo nella Terra del Parnaso).
Valore identitario si è tentati di dare all’Accademia del Parnaso Canicattinese, ma si tratta solo di un interessante «fenomeno di costume» espressione dello spirito canzonatorio di una vivace élite culturale del primo Novecento. Rappresentativi della sua anima artistica sono i poeti Peppi Paci e Francesco Macaluso, la cui poesia è assai lontana da quelle più recenti di Diego Guadagnino (poesia la sua che definisce «reattiva e di contestazione di un mondo versato ossessivamente nella materia»), e di Domenico Turco, due poeti ma anche pensatori profondi a giudizio di un’ampia e qualificata critica. Guadagnino è stato anche un prefatore attento di due rilevanti opere di Augello. All’Accademia questi ha dedicato la sua prima pubblicazione, L’Accademia del Parnaso e la poesia di Peppi Paci (2001).
Di contro, valore identitario reale ha rivestito, fino ad alcuni decenni fa, lo spirito di lotta e resistenza, oggi sopito, delle masse contadine. La lunga storia popolare di organizzazioni, lotte dure talvolta sfociate in tragedia ed epici personaggi ha avuto i suoi riti memoriali ed è stata raccontata in una trilogia storiografica: La storia della Camera del lavoro (2007), La strage di Canicattì (2007), Il contadino dirigente (2008).
Il riconoscimento collettivo degli elementi identitarii è testimoniato da monumenti, statue e lapidi disseminate nella città, e anche da associazioni e istituzioni con le quali la comunità esercita periodici riti memoriali (manifestazioni celebrative, attività artistiche e culturali) che producono memoria collettiva, ma sempre più sfumata.
Memoria collettiva e intelligenza artificiale
Oggi i miti e i riti comunitari, e quindi la memoria e l’identità, cominciano ad essere messi in discussione dalla livellatrice cultura tecnologica e globale. Ci avverte Marino che «qualora venisse meno il rito verrebbe meno anche quella specifica “memoria collettiva” a esso corrispondente. Ed è infatti quel che sta accadendo ai nostri tempi a danno della continuità di numerose memorie collettive per gli sviluppi di una “società liquida”, sempre più fluidificata e disgregativa e consegnata a un crescente individualismo, che tende a vedere nel rito nient’altro che un’antiquata retorica da eliminare». La eliminazione della memoria collettiva determinerebbe a sua volta la morte delle comunità civili sia locali che nazionali: «Ogni comunità civile cessa di esistere in quanto tale se viene meno la sua memoria collettiva e questo accade con esiti più vistosi se si tratta di una comunità civile che coincide con un popolo: le vengono meno i riti e i riferimenti simbolici, se ne dimentica la lingua, si interrompe per sempre la tradizione delle sue res gestae, se ne dissolvono i miti».
Al processo che tende all’eliminazione della memoria collettiva corrisponde, paradossalmente, un’espansione della memoria nel web: un’espansione così smisurata che, osserva ancora Marino, «tende a frantumarsi e a perdere qualità in una dinamica di dispersione, determinando una specie di entropia che fa regredire a caos ogni “memoria collettiva”». La memoria informatizzata, sebbene venga organizzata ed elaborata dall’intelligenza artificiale, «costituisce una sterminata materia assai informe ed eterogenea […], mentre l’autentica “memoria collettiva” […] è un processo sintetico aperto che si realizza […] nella concreta vita sociale delle comunità organizzate (con un ruolo privilegiato delle attività culturali e degli storici)»; inoltre, «la memoria immagazzinata dall’informatica è trasformata in una cosa» (cioè reificata) e in quanto tale viene mercificata e di conseguenza venduta e comprata al mercato di Internet. «Questa specie di archiviazione utilitaristica dei contenuti della memoria, sta producendo degli effetti molto vistosi nelle nuove generazioni sempre meno convinte dell’opportunità di farsi carico della memorizzazione e, di conseguenza, sempre meno interessate alla storia».
Ci si avvia, paventa Harari, verso una «scissione tra intelligenza e coscienza» e un graduale indebolimento della capacità umana del ricordo. Inoltre, lo sviluppo dell’Intelligenza artificiale potrebbe condurre a «un mondo dominato da entità super-intelligenti, ma del tutto irresponsabili»: sarebbe la fine di Homo sapiens e la nascita di Homo deus.
È necessaria quindi una presa di coscienza politica globale delle masse, altrimenti condannati all’«irrilevanza» prefigurata da Harari e poi all’estinzione, che s’incarni in grandi movimenti planetari di lotta e resistenza, organizzati e cooperanti. Senza di ciò il dominio delle diversamente colorate élite mondialiste durerà, da Occidente a Oriente, sine die.
Assieme a questo conclusivo appello resistente, rivolgiamo a Gaetano Augello un ringraziamento affettuoso e l’esortazione a continuare ancora, magari con una riflessione sulle sue stesse opere, nell’esercizio della memoria storica locale di cui è riconosciuto maestro dalla sua comunità.
Salvatore Vaiana
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